di Franco Pezzini
Marilù Oliva, Atlante della Magna Grecia. Italia del Sud e Sicilia tra mito e archeologia, pp. 224, € 29, Rizzoli, Milano 2023.
La Magna Grecia fu un mondo particolarissimo, mutevole, mai scontato, variegato, nato dalla bellezza dell’integrazione. Sincretismi tra popoli che non si conoscevano e che non sempre si accolsero, relazioni pacifiche o burrascose che portarono comunque a un’assimilazione su diversi fronti. […] l’arte rimasta ci rivela quanto magma creativo ci fosse alla base di tali novelle comunità. Quanta voglia di realizzarsi, di affermarsi, quanti progetti: […] siamo di fronte a comunità reattive. Gente consapevole che si giocava il tutto per tutto sul nuovo territorio e voleva conservare i traguardi conquistati. […] Questo Atlante è una mappatura di luoghi che ora sembrano sopiti, perché gli archeologi li hanno restituiti alla luce dopo secoli in disuso, in cui sono stati sepolti o dimenticati.
E dunque apriamolo, questo Atlante che ridà voce a un triste silenzio e inizia con una citazione fulminante dai Fasti di Ovidio, “Ciò che chiamano Italia era Magna Grecia”. Non male ricordarlo, in un’epoca in cui sgomitano da poltrone e poltroncine i tronfi e ignoranti epigoni della pretesa “razza” italiana e del mascellone romano, “che assoggettò la Magna Grecia, trascinando il Sud Italia in un processo di decadenza devastante”.
Dopo aver rinarrato con la vivacità e i colori propri della sua penna le vicende di Odisseo e di Enea (2020 e 2022), Marilù Oliva ha proseguito la sua immersione nei miti classici attraverso formule di scrittura ulteriori e variegate. Cosciente che certe storie meritino di essere ri-offerte collettivamente – e sembra un esito importante e nobilissimo da parte di chi prima ha mostrato di saper costruire in proprio una ricca produzione di solidi romanzi, ponendosi poi al servizio di fonti antiche –, ha così pubblicato in rapida successione I divini dell’Olimpo. Quattro incontri con gli dèi (Solferino, 2022), Il viaggio mitico (con Matteo B., suo figlio, e illustr. Claudia Plescia – che pure presenta una parte narrativa autonoma: De Agostini, 2022), Miti straordinari. Storie di eroine, eroi, divinità e creature che non ti aspetti (illustr. Rosaria Battiloro: De Agostini, 2023), con ottimi risultati e un linguaggio consono a un pubblico molto ampio. E ora arriva questo nuovo splendido volume, nei fatti un dettagliato atlante archeologico, di elegante scrittura e dotato di un meraviglioso apparato di foto illustrative.
Dopo una bella Prefazione esploriamo così Campania (Cuma, Pithecusa/Ischia, Poseidonia/Paestum, Elea/Velia, Palinuro), Calabria (Reggio Calabria, Locri Epizefiri, Kaulonia/Monasterace, Scolacium/Squillace, Kroton/Crontone, Petelia/Strongoli, Cirò Marina, Sibari), Basilicata e Puglia (Eraclea, Metaponto, Taranto, Gallipoli, Botromagno), Sicilia (Zancle/Messina, Naxos, Leontinoi/Lentini, Siracusa, Kamarina/Santa Croce Camerina, Gela, Akragas/Agrigento, Selinunte, Segesta/Calatafimi Segesta), con cenni a parecchie altre località.
Zone qui esplorate nelle vestigia archeologiche (colpi d’occhio panoramici sulle singole aree, templi e brandelli di muratura, vasi di straordinaria bellezza, sculture a rilievo, specchi e monete, statue di sirene e teratomachie, mostri marini e laminette orfiche, tavole inscritte, busti di donne, dee o antichi intellettuali barbuti…) come in quelle toponomastiche e mitiche: Cuma da “onda”, Pithecusa da “(Isola) delle scimmie”, Poseidonia da “(Città) di Poseidone”, Zancle da “falce”, Leontinoi da “leone” (forse la pelle di quello nemeo ammazzato da Eracle) e così via, legate alle forme degli insediamenti o ad antiche storie e devozioni dei luoghi.
Poi lo sappiamo, il rapporto tra mito e γεωγραϕία (descrizione della terra) è complesso, elastico ed estremamente variegato – a partire dal fatto che sia il linguaggio del mito (inteso nel senso dell’antropologia religiosa, ma anche nelle accezioni meno tecniche) sia quello geografico si rifanno fondamentalmente all’immaginario, ai suoi sottotesti e implicazioni – compresi stereotipi, paradigmi ideologici, costellazioni valoriali, banali pregiudizi. E per contro il rapporto tra i luoghi e le storie resta sfuggente, affabulatorio. Vero, i miti greci vedono raccordi spesso solidi con i territori di tradizioni e pratiche liturgiche storicamente documentate (Grecia continentale, isole, colonie occidentali – particolarmente, ma non solo, la Magna Grecia – e orientali). Ma a volte si tratta del localizzarsi tardivo di eventi mitici dalla collocazione originaria più sfuggente, magari con uno slittamento a regioni via via più lontane (le Colonne d’Ercole a Gibilterra, per dire, o la destinazione italica di Enea). Ma troviamo anche miti locali per definizione, come quelli legati a eroi eponimi (a volte traghettati con la colonizzazione) e santuari, o a realtà del territorio e relativi fenomeni naturali – per esempio certe peculiarità geografiche o geologiche che sussumono paradigmi teratologici preesistenti, come nella collocazione di Scilla e Cariddi sullo stretto nostrano, o della Chimera in Licia – e insomma il discorso sarebbe molto ampio e costringerebbe a inabissarsi in una casistica capillare.
Resta il fatto che viaggiare con riferimento all’atlante del mito sia possibile, e permetta – come poi per i viaggi informati dalla letteratura o dal cinema – esperienze intellettualmente ed emotivamente forti, a dispetto delle modifiche intervenute nei luoghi a distanza di tempo: emblematico il memoriale vittoriano di George Gissing in una Magna Grecia remotissima da quella offerta dai classici. Anche senza pensare a un’aura speciale dei siti, è indubbio che per chi sia minimamente sensibile il trovarsi in luoghi assurti a veri e propri poli dell’immaginario offra un fascino vertiginoso di secoli (e spesso di bellezza). La studiosa Anna Ferrari, per esempio, ha proposto negli anni una serie di preziosissimi dizionari sul mito e le sue declinazioni anche geografiche, tra i quali un ricco Dizionario dei luoghi del mito (Rizzoli, 2011).
Oliva fa un’operazione diversa, partendo da luoghi reali e cogliendo gli echi. Talora flebili, e torniamo al silenzio citato all’inizio, perché, nonostante gli studi, tanto resta misterioso. Se a volte nomina nuda tenemus perché le antiche storie si sono perdute, per nostra fortuna le biblioteche erudite del mondo classico e postclassico hanno conservato una valanga di dati, versioni anche contraddittorie, minori o (appunto) locali dei miti implicati. Ma cosa racconta la coppa del naufragio del Museo di Pithecusa, con il corpo di un uomo immerso tra pesci e piccole svastiche, forse un cadavere che galleggia come troppi in questo Mediterraneo? A quali idee sulla vita e la morte rimanda la Tomba del Tuffatore di Paestum, con l’affresco oggetto di interpretazioni contraddittorie anche molto recenti?
Agli itinerari offerti seguono Conclusioni, un Dizionario essenziale, Indice e Bibliografia.