di Gioacchino Toni
Stando a una ricerca del 2020 realizzata dalla società di analisi DFC Intelligence, il numero di gamer in ambito videoludico – contemplando tanto chi gioca saltuariamente quanto quella minoranza (ca. 10%) che compulsivamente vi spende una marea di tempo e denaro – supera ampiamente i 3 miliardi a livello mondiale, per un giro di affari che Statista – Digital Market Outlook nel 2020 stimava attorno ai 135,8 miliardi di dollari, divenuti 192,7 l’anno successivo, praticamente il doppio dei 99,7 miliardi di dollari del settore del filmed entertainment casalingo e nelle sale (escluse le piattaforme pay tv), mentre l’ambito della recorded music del periodo si attesta sui 25,9 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda l’Italia, il Rapporto Annuale di IIDEA del 2020 stima per quell’anno la prestanza di circa 16,7 milioni di gamer (il 38% della popolazione compresa tra i 6 e i 64 anni) che hanno dedicato ai videogiochi in media 8 ore a settimana generando un giro d’affari di 2 miliardi e 179 milioni di euro. Se il lockdown pandemico ha sicuramente inciso a livello economico, tanto da contribuire in maniera rilevante a produrre un incremento del 21,9% rispetto all’anno precedente, ciò non ha però determinato un incremento del numero dei gamer in Italia che è infatti restato grossomodo invariato. Insomma, durante il lockdown si è giocato e si è speso di più ma a farlo è stato in buona parte chi già giocava e spendeva.
Il bacino di utenti e il giro di affari prodotto fanno dell’universo dei videogame un sistema di intrattenimento dominante su forme di più lunga tradizione quali la letteratura, il cinema, la televisione e la musica. Alla luce dell’indubbia importanza assunta dall’universo videoludico sia in termini economici che di costruzione dell’immaginario collettivo, e del fatto che, contrariamente a quanto accadeva un tempo, ormai quasi la metà dei gamer è di genere femminile, vale la pena soffermarsi sul volume di Marco Accordi Rickards, Micaela Romanini, Donne e videogiochi. Una questione di genere, Carocci 2023), in cui oltre a essere passate in rassegna l’evoluzione dei ruoli femminili nei videogame e la storia di alcune tra le principali pioniere del settore, vengono ricordate le iniziative volte a valorizzare la diversità di genere in ambito videoludico, un ambito storicamente caratterizzato da una cultura misogina tanto a livello aziendale-produttivo quanto di gamer.
Il volume prende il via passando in rassegna i personaggi femminili che compaiono nei game dalle origini alla fine del secolo scorso soffermandosi sul fenomeno delle “damigelle in pericolo” che attendono di essere slavate – come Pauline in Donkey Kong (Nintendo, 1981), Peach in Super Mario Bros. (Nintendo, 1985) e Zelda in The Legend of Zelda (Nintendo, 1986) – sulle protagoniste nei “picchiaduro” dei primi anni Novanta – come Chun-Li in Street Fighter II: the World Warrior (Capcom, 1991) e Nina Williams in Tekken (Namco, 1994) – focalizzandosi poi su Lara Croft in Tomb Rider (Core Design, Eidos Interactive, 1996), prima protagonista femminile in grado di tener testa ai personaggi maschili, figura che pur presentata con un fisico attraente rompe con l’archetipo della fanciulla in pericolo costretta ad attendere l’intervento salvifico maschile.
Se gli anni Novanta vedono un importante incremento di giocatrici, in parte dovuto a una presenza di figure femminili in ambito videoludico maggiore rispetto al passato e meno subalterne agli eroi maschili, al contempo, grazie anche al perfezionarsi della risoluzione grafica, presentano una maggiore sessualizzate delle figure femminili, una oggettivizzazione palesemente orientata a solleticare il pubblico maschile. Sebbene si tratti di un processo che accomuna l’intero universo mediatico, nelle opere interattive, in cui si agisce attivamente, la questione assume caratteristiche particolari.
I personaggi femminili dei primi decenni del nuovo millennio, scrivono Accordi Rickards e Romanini, si caratterizzano come donne forti e al tempo stesso imperfette, palesando un passaggio «dall’archetipo della damigella in pericolo a un’iconicità da protagonista, chiave per l’evoluzione della storia e spesso testimonianza di coraggio, ambizione, forza di volontà e del fatto che la possibilità di fare qualsiasi cosa è reale e alla portata di tutte». È importante sottolineare come con il nuovo millennio alcuni giochi inizino a offrire la possibilità ai gamer di selezionare il genere del personaggio principale.
Nel libro viene approfondita l’evoluzione di alcune icone femminili nel corso degli anni Duemila all’interno di saghe come Tomb Rider, con la celebre Lara Croft, Final Fantasy (Nintendo dal 1987), con la comparsa di Tifa Lockhart nel 1997 e di Yuma nel 2001 e Assassin’s Creed, (Ubisoft dal 2007), con l’introduzione in rapida successione a partire dal 2015 di Evie, Aya e Kassandra, da cui deriva un nuovo archetipo di eroina in cui sono presenti forza psicologica e determinazione.
Se l’innovazione tecnologica (tanto nelle console che nella grafica) ha inciso in maniera rilevante sulla rappresentazione di genere nei videogiochi, sarebbe auspicabile, sostengono Accordi Rickards e Romanini, che la possibilità di immedesimazione emotiva e fisica si estenda ben oltre gli universi di gioco fantasy o di mondi e dimensioni alternativi, coinvolgendo anche contesti che riproducono la quotidianità.
Passate in rassegna le figure femminili che abitano i game, il volume si concentra sul ruolo femminile nell’ambito creativo e produttivo dell’universo videoludico a partire dagli albori di questo tipo di industria soffermandosi su alcune donne pionieristiche. «La differenziazione dei ruoli professionali all’interno dell’industria e le possibilità di inserimento che si sono affermate nel secondo e nel terzo decennio di sviluppo dell’industria iniziarono mano mano a racchiudere competenze crossmediali e di comunicazione, creando accessi differenziati secondo le specializzazioni nelle diverse aree necessarie per lo viluppo del settore e l’ottimizzazione di prodotti».
Se ai nostri giorni una certa parità di genere è ravvisabile negli ambiti della tecnologia dell’informazione e delle risorse umane, restano decisamente asimmetrici i settori della creazione di contenuti e della programmazione. L’ultima parte del volume è dedicata alle figure femminili nell’industria dei videogiochi nel nuovo millennio prestando particolare attenzione all’affermazione delle businesswomen, al rapporto tra donne ed eSport, al gender gap, alle discriminazioni di genere online e all’attivismo femminile nel settore videoludico orientato a promuovere una concezione della diversità come valore.