Da tempo attendevo la ripubblicazione di Il lavoro Manuale come medicina dell’anima, scritto da Matthew Crawford, saggio apparso in Italia nel 2010, ma ora nuovamente disponibile grazie a Mondadori, nella collana Oscar bestsellers.
È un saggio che affronta il tema del lavoro manuale nella società odierna, che lo ha relegato “in basso” e in opposizione rispetto al lavoro intellettuale, sottraendo alle attività pratiche il riconoscimento sociale che meritano, insieme alle gratificazioni materiali e psicologiche che possono generare in chi le pratica.
L’autore del libro è Mattehw B. Crowford, un meccanico e intellettuale “deviante”. Dopo aver conseguito una laurea in fisica e il dottorato in filosofia politica all’Università di Chicago, ha iniziato a lavorare in ambito universitario come direttore di un think thank a Washington. Ma ben presto ha lasciato l’incarico, perché frustrato dalle logiche di potere presenti nell’ambiente accademico, per seguire la sua vocazione da riparatore di motociclette. Controcorrente e coraggioso, Crawford ha poi avviato in autonomia una motofficina a Richmond in Virginia, dove tutt’ora lavora come meccanico e di cui è il titolare. Oltre a sporcarsi le mani con le motociclette, è anche ricercatore presso l’Institute for Advanced Studies in Culture dell’Università della Virginia, dove porta avanti le sue indagini nell’ambito delle scienze umane e sociali.
Il libro è un saggio sul lavoro manuale e le soddisfazioni che può generare da parte di chi lo pratica. Un buon motivo per riscoprirlo, valorizzandolo maggiormente (a livello di status sociale) nell’attuale sistema lavorativo capitalista. Non solo da un punto di vista occupazionale, ma anche a livello scolastico e pedagogico, oppure come “hobby gratificante e utile”, da coltivare nel tempo libero, per prendersi cura e riparare gli oggetti con cui conviviamo nel quotidiano.
Il lavoro manuale come medicina dell’anima è anche un libro autobiografico, in cui Crawford racconta alcuni episodi di vita vissuta legati al processo di apprendistato, lungo e faticoso, che ha intrapreso per imparare a riparare le motociclette e gestire una motofficina. L’apprendimento dei segreti della meccanica e dell’elettrotecnica (che oggi gli fruttano lauti guadagni) è stato possibile grazie alle esperienze vissute nella community dei meccanici di professione e motociclisti. Un vero e proprio mondo caratterizzato da saperi, rituali, regole formali e informali di cui oggi Crawford ne rivendica l’appartenenza con orgoglio.
Nel libro oltre alle considerazioni sul valore del lavoro manuale (autonomia individuale, conoscenza, fiducia in se stessi, autostima, compensi), sono presenti interessanti e approfondite riflessioni di tipo socio-economico e politico, che hanno punti di contatto con il pensiero espresso dal sociologo Richard Sennet, nei suoi ottimi saggi La cultura del nuovo capitalismo e L’uomo artigiano pubblicati tra il 2006 e il 2008. Tra i temi trattati da Sennet nei suoi libri, emerge la questione della degradazione del lavoro di ufficio vissuta dalla classe media, in concomitanza con l’ascesa del neoliberismo negli Stati Uniti e in molte società occidentali post-industriali.
Crawford lancia infatti in più occasioni sferzate taglienti alla cultura elitaria progressista e cosmopolita nordamericana, asservita al libero mercato, se pur nascosta dietro una “facciata di sinistra”. Questa cultura, a detta dell’autore, è essa stessa elitaria (se pur si identifica con la “sinistra” dello spettro politico) in quanto socialmente distante dalla cultura, dai valori e dai lavori svolti dalle classi popolari, come appunto il mestiere del meccanico. A questo atteggiamento elitario Crawford contrappone il suo approccio “repubblicano-progressista”, che definisce “tignoso e ottimista”. Tignoso perché geloso della libertà individuale e ostile verso qualsiasi cosa che sminuisca le potenzialità della persona (compreso il libero mercato deregolamentato e tendente al monopolio), ottimista perché concepisce visioni di un mondo migliore, grazie all’impegno individuale fortemente radicato in una comunità e nella nazione di appartenenza (nel caso di Crawford gli Stati Uniti d’America).
La visione professionale e politica dell’autore mi riporta alle analisi svolte negli anni sessanta da un grande sociologo, anch’egli statunitense e motociclista, ovvero C. Wright Mills. Nella parte iniziale del suo intramontabile Colletti bianchi. La classe media americana edito nel 1951, Mills contrappone all’uomo dal colletto bianco, il tipico lavoratore della società di massa che lo ha modellato e che cerca di manipolarlo per fini che gli sono estranei, il piccolo imprenditore indipendente tipico del primo capitalismo americano. Un individuo che “bastava a se stesso”, perché proprietario della sua azienda e libero di seguire il proprio destino, come l’”uomo all’aria aperta” di Walt Whitman.
Crawford non propone rivoluzioni sociali per superare il capitalismo o riforme radicali per farlo funzionare meglio, ma l’alternativa stoica. Una pratica e uno stile di vita non consumistico radicato in un luogo circoscritto, nel quale vivere bene e per un tempo non breve, valorizzando la propria esistenza grazie a un lavoro appagante (come il meccanico di motociclette) in grado di contribuire al benessere della comunità di cui si è parte, oltre che alla felicità individuale. “Su un piano pratico, questo significa andare a trovare fessure dove l’agire individuale e l’amore per il sapere possano venire realizzati oggi, nella vita di ciascuno di noi” afferma con umiltà e orgoglio il nostro scrittore e riparatore di motociclette alla fine del suo libro.