di Fabio Ciabatti
Il messicano Pantera, stregone e pistolero a pagamento, protagonista di avventure che attraversano gli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento, è uno dei personaggi più intriganti e noti usciti dalla penna di Valerio Evangelisti. Pantera ha il fascino tenebroso del cavaliere oscuro che però, alla fine, si risolve per fare la cosa giusta. È probabilmente l’unico eroe nella narrativa di Evangelisti, almeno se intendiamo questo termine in senso stretto, cioè come protagonista moralmente positivo di avventure straordinarie che affronta con capacità fuori dal comune. Ma di che tipo di abilità parliamo?
La domanda è di particolare interesse perché questo personaggio ha una peculiarità che forse lo rende più unico che raro nel panorama letterario: le sue vicende appartengono a due generi narrativi completamente diversi. I primi due libri in cui compare, Metallo urlante e Black Flag (pubblicati rispettivamente nel 1998 e nel 2002), possono infatti essere ascritti al genere fantastico, mentre il terzo, Antracite (pubblicato nel 2003), appartiene al genere del romanzo storico.
Questa capacità di rompere la barriera tra diversi generi conferma quanto sostiene Alberto Sebastiani: l’intera opera di Valerio Evangelisti costituisce una One big novel in cui si trovano continui rimandi tra vicende e personaggi presenti nei diversi romanzi. Ma soprattutto, le opere dello scrittore emiliano-romagnolo, pur molto differenti quanto a genere, trama, ambientazione storico-geografica, presentano una profonda unità tematica: l’eterno conflitto tra chi detiene il potere e chi gli resiste.1 Dal canto mio, credo che la figura di Pantera ci possa dire qualcosa di significativo sull’universo letterario di Evangelisti e sulla sua concezione dell’immaginario, proprio per la sua caratteristica di eroe cross-genere.
Secondo Tzvetan Todorov “il fantastico rappresenta un’esperienza dei limiti” e per questo “un inventario di possibili”.2 I confini tra spirito e materia, tra soggetto e oggetto, tra parola e cosa vengono continuamente trasgrediti, senza essere ignorati, come accade nel pensiero mitico. La barriera tra reale e l’immaginario si fa porosa. Sempre Todorov sostiene che la letteratura fantastica ha nel Novecento perso sostanzialmente la sua funzione: da una parte non abbiamo più bisogno di figure come il diavolo per parlare di un desiderio sessuale sfrenato perché la psicanalisi ha rotto i tabù in questo ambito; dall’altra, non viviamo più nell’Ottocento positivista, con la sua realtà oggettiva ed immutabile completamente esterna al soggetto, di cui il fantastico possa essere la cattiva coscienza.
Il giudizio del critico letterario deve aver qualche fondata ragione se è vero che il fantastico, nell’Italia del dopoguerra, trova rifugio nel fantasy, un territorio letterario presidiato nel nostro paese dalla sottocultura fascista fino all’irruzione, agli inizi degli anni ’90, del primo libro del ciclo di Eymerich, scritto da Evangelisti. Come ci racconta Domenico Gallo,3 si tratta di un territorio dell’immaginario che la destra voleva caratterizzato dall’indomito ed eterno risorgere del mito, mai definitivamente sconfitto dalla cultura moderna, ma solo temporaneamente vinto dall’illuminismo, dal razionalismo e poi dal marxismo. Il fantasy, l’horror, il sovrannaturale dovevano essere gli ambiti in cui si trattava di elementi come la celebrazione della divisione in caste, la lotta alla democrazia, il rapporto diretto con la divinità, il concetto di prescelto, l’esaltazione della lotta e la gerarchia della società. Il fantastico, possiamo commentare, da esperienza del limite diventava limite dell’esperienza: non più strumento letterario per dischiudere i possibili, ma struttura narrativa che restringe la capacità di immaginare mondi alternativi alla resurrezione di un passato mitico. L’eterno ritorno della vecchia merda.
Ma la letteratura fantastica può assumere un senso diverso da quello che ha storicamente rappresentato, ben al di là della paccottiglia fascistoide. In fin dei conti se il soprannaturale, o quello che appare come tale, esprime la trasgressione di una legge (naturale e/o morale), e per questo un’esperienza del limite, come sostiene lo stesso Todorov, occorre capire quale sia oggi il sistema di regole prestabilite che risulta impossibile negare, pena l’aprirsi di profonde crepe nell’immaginario che sorregge il nostro mondo. In effetti l’obiettivo, tutto politico, dell’opera letteraria di Evangelisti è proprio quello di combattere quella che definisce la colonizzazione dell’immaginario, in modo da poter valicare le colonne d’Ercole del realismo capitalista che oggi ci impedisce anche solo di sognare altri mondi possibili.
E qui torniamo al nostro Pantera, con la sua magia e la sua religione popolata di spiriti ancestrali che si scontra con un nuovo mondo in formazione caratterizzato dall’“assenza di ideali, di sentimenti e di un futuro plausibile”, come scrive Evangelisti alla fine della storia del messicano in Black Flag. Salvo aggiungere, subito dopo, “O forse un futuro c’era: d’oro e di ferro. Comunque di metallo”.4 Ma in che modo il mondo sovrannaturale di Pantera ci aiuta a fare un’esperienza del limite? Da un punto di vista antropologico, sostiene Michael T. Taussing, lo studio dello strano e dell’esotico ci può mettere di fronte a quanto veramente strana sia la nostra stessa realtà. Non si tratta di assumere come vere le concezioni altre contrapponendole alla falsità delle nostre, ma di prendere sul serio il contrasto tra differenti visioni del mondo al fine di denaturalizzare i nostri stessi feticci.5
La magia di Pantera rispetto al mondo moderno appare come un arcaismo, memoria e tradizione di un passato che fatica a diventare una guida per il presente. L’attrito tra i differenti strati temporali genera una tensione la cui risultante appare inizialmente sospesa tra il mero rifugio nel passato e la creazione di nuove e inedite possibilità. Pantera, infatti, non ha molto da dire su ciò che accadrà al suo mondo o su ciò che pensa sia auspicabile per i tempi a venire. “Quando ho combattuto con Juan Nepomuceno Cortina – si limita a osservare in Black flag – l’ho fatto per difendere gli ejidos, le terre comuni. Non so altro”.6 Le lotte di Pantera in territorio messicano vengono appena accennate e sembrano quasi racconti di un mitico passato da cui trarre semplici insegnamenti. In realtà, storicamente, appartengono alla modernità ma, geograficamente, provengono dai suoi bordi estremi. Ed è proprio dalla periferia del nostro mondo che è più facile fare esperienza dei suoi limiti.
Pantera è appunto un personaggio periferico rispetto all’ambiente in cui si svolgono le sue avventure. Talmente periferico da risultare difficilmente categorizzabile: viene ripetutamente considerato un “negro” e lui risponde, talvolta rassegnato talaltra irritato, che è un messicano, anche se in realtà è un meticcio figlio di uno schiavo nero e della moglie del suo padrone. Frequentemente viene appellato come uno stregone o un prete, ma lui rifiuta entrambe le qualificazioni sostenendo di essere un uomo di religione, la sua religione, sebbene sia anche un pistolero a pagamento. In lui sacro e profano si mescolano e si scontrano. La morte e la vita gli sono altrettanto indifferenti. Pantera vive nell’instabile congiuntura tra un inquietante mondo straordinario in cui si possono udire le voci degli spiriti della natura, potenti e selvaggi, e un mondo ordinario, altrettanto minaccioso, in cui l’urlo del metallo sovrasta tutte le altre voci.
Per prima cosa bisogna notare che le strutture narrative dei tre romanzi in cui compare Pantera sono molto diverse. Il primo, Metallo urlante, è composto da quattro lunghi racconti, sostanzialmente autosufficienti, anche se tenuti insieme da un esile filo narrativo: Venom, Pantera, Sepoltura e Metallica. Il primo, che fa da cornice, si divide a sua volta su due livelli temporali: abbiamo da una parte le vicende dell’inquisitore Eymerich, dall’altra una storia ambientata in un XXI secolo piagato da due virus che deteriorano la carne, sostituita da parti metalliche, e da una guerra che vede succedersi manifestazioni mostruose. E in questo livello che apprendiamo come tutte le diverse storie narrate nel libro si collegano tra di loro. Vengono infatti citate per brevi accenni in una ricerca “storica” condotta per capire come si sia arrivati “a fare sì che ferro, acciaio e oro riuscissero ad agganciare le proprie molecole a quelle della pelle, aprendo le quinte di una nuova razza umana, tanto possente quanto sterile”.7 In questo contesto apprendiamo che Pantera “Ebbe a che fare con il mesmerismo, che rappresentò, se vogliamo, una prima forma di dialogo tra l’uomo e il metallo”.8
Il secondo romanzo, Black flag, presenta una struttura molto simile a quella tipica dei romanzi del ciclo di Eymerich. Prendendo a prestito la terminologia coniata da Sebastiani,9 abbiamo un tempo base (quello normalmente riservato all’inquisitore aragonese), ambientato durante la guerra civile americana che vede come protagonista Pantera e che occupa di gran lunga il maggior numero di pagine. Abbiamo poi altri due livelli temporali: uno a noi storicamente vicino, l’invasione statunitense di Panama, che fa da cornice, e l’altro proiettato in futuro distopico, allo scoccare del capodanno del 3000. Le storie che si svolgono nei tre livelli sono molto più intrecciate di quanto accada con i racconti di Metallo urlante: da una parte nei livelli I e II vediamo dipanarsi le terribili conseguenze storiche di ciò che è accaduto nel tempo base; dall’altra troviamo delle spiegazioni parascientifiche di fenomeni e vicende che, nel corso delle avventure di Pantera, potrebbero sembrare sovrannaturali.
La struttura di Antracite, infine, è più tradizionale, nel senso del romanzo di stampo realistico. La trama riguarda esclusivamente le vicende del protagonista, Pantera, seguendo il filo cronologico delle sue avventure.
Un’ulteriore differenza tra i tre romanzi riguarda il rapporto tra le vicende narrate e il contesto storico di riferimento. In Metallo urlante le avventure di Pantera si svolgono in una sorta di luogo sospeso nello spazio e nel tempo. Praticamente assente ogni riferimento a ciò che accade al di fuori di Tucumcari, villaggio del selvaggio west statunitense dove si svolge la storia. Un isolamento sottolineato dal fatto che “nessuno riusciva ad abbandonare l’area condannata, il cui perimetro veniva circondato da una cortina invisibile, ma assolutamente impenetrabile”10 non appena si mettevano in cammino i dieci giganteschi e mostruosi cavalieri che Pantera era stato chiamato a fermare con i suoi poteri magici. Tucumcari più che un luogo reale è, come sostiene ancora Sebastiani, un luogo dell’immaginario che non a caso Evangelisti riprende dall’ambientazione di Per qualche dollaro in più di Sergio Leone.
In Black flag il contesto storico è ben presente, la guerra civile americana, ma le vicende narrate sono tutto sommato marginali rispetto allo svolgersi della del conflitto bellico benché finiscano per assumere un significato che trascende la loro effettiva incidenza sugli avvenimenti politico-militari dell’epoca. Con Antracite, infine, siamo catapultati direttamente nel centro della Storia con la “s” maiuscola, cosa particolarmente evidente nel finale quando Pantera viene coinvolto nelle vicende della comune di Saint Louis, sebbene controvoglia.
Il coinvolgimento, suo malgrado, nelle vicende altrui è una caratteristica tipica di Pantera, che, per certi versi, rappresenta il classico eroe riluttante. Uno di quelli, cioè, che sono “bisognosi di essere motivati o spinti all’avventura da forze esterne”.11 A differenza di questo cliché, però, il messicano è tutt’altro che passivo ed esitante. I dubbi li vedremo affiorare soprattutto in Antracite, senza che questo scalfisca la sua natura di uomo deciso, votato all’azione.
In ogni caso Evangelisti, come suo solito, gioca sapientemente con gli stereotipi dei generi paraletterari che utilizza: come nel più tipico western, Pantera è un eroe solitario. Talmente solitario che le uniche donne per lui interessanti erano le prostitute, perché poco impegnative. Quando durante qualche conversazione viene chiamato “amico”, anche per semplice cordialità, lui risponde invariabilmente che non ha amici. Quando qualcuno gli dice che non è una cattiva persona, può irritarsi oltremodo anche se non riesce a capirne il motivo. Pantera è un uomo d’azione, che rifugge l’introspezione, anche quando si trova casualmente a lambire i segreti della sua psiche. Gli capita, per esempio, quando, dopo aver affermato per l’ennesima volta di non avere amici, aggiunge subito dopo “Io sono solo”. In quel momento intuisce “di avere detto una verità che trascendeva l’occasione, ma non era solito perdere tempo a interrogarsi su se stesso, specie in momenti come quello”.12 Cioè i momenti di pericolo che esigono l’azione.
Però, come i più tipici pistoleri, Pantera un amico ce l’ha. Quando in Black flag viene disarmato “Il contatto delle dita con la cintura gli fece rimpiangere il revolver. Per un uomo come lui, quella mancanza equivaleva alla perdita dell’unico amico che avesse al mondo”.13 Un revolver che, a differenza dell’iconografia classica del cowboy, porta di solito infilata nella cintola sotto la palandrana. A chi si meraviglia del fatto che non abbia con sé pistole, risponde con un sorriso beffardo “Sì che le porto […] Piuttosto non porto né cinturone né fodero. Quella è roba che va bene per le donne e per i borghesi”.14 Della serie: i veri uomini del vecchio west sono meno pittoreschi di come ve li hanno sempre raccontati. E ancora, come nei più classico dei racconti della frontiera, la storia di Metallo urlante si conclude con l’eroe che si allontana cavalcando il suo destriero verso l’orizzonte infinito. Soltanto che l’ultima galoppata Pantera la fa quando, ferito a morte, si è trasformato in orisha, uno spirito: “Preso da un’incontenibile euforia, lanciò il cavallo verso il deserto, senza bisogno di usare gli speroni. La sua esistenza di orisha sarebbe stata un’unica, interminabile cavalcata”.15
Un utilizzo al limite della parodia degli stereotipi paraletterari, in questo caso dell’horror, lo vediamo all’inizio di Black flag quando, assoldato per uccidere un uomo lupo, gli viene chiesto se ha trovato le pallottole d’argento, tipica arma per eliminare i licantropi. “Si ma è un’idiozia – rispose Pantera alzando le spalle – È un metallo troppo tenero. Non fora e il proiettile si deforma al momento dello sparo”.16 E infatti, quando proverà ad utilizzare queste munizioni, “Poco mancò che la carabina gli esplodesse tra le mani. Per fortuna l’argento fuso fu espulso dall’esplosione, e ricadde a pochi metri da lui. Pantera imprecò contro la magia cristiana”.17 Scoprirà più avanti che per uccidere gli uomini lupo le pallottole dovevano essere fatte non di argento ma di antimonio.
Ma prima dovranno accadere molte cose. Quando tenta di uccidere l’uomo lupo, Kroger, Pantera viene tradito dalle stesse persone che l’avevano ingaggiato. Ferito, viene catturato dai bushwackers, milizie irregolari sudiste dedite a una cruenta guerriglia che non si fa scrupolo di fare strage di civili. Pantera, pur cercando di mantenersi defilato, finirà per unirsi a loro, soprattutto perché, inconsapevolmente, vuole risolvere l’enigma dell’uomo lupo, aggregato ai guerriglieri: “Lo aveva creduto un demone incarnato e finiva per scoprirlo un essere fragile, spaventato da ogni cosa ma soprattutto da se stesso”.18
Al seguito dei bushwackers c’è anche il francese Anselme Bellegarrigue, anarcoindividualista al limite della farneticazione con il suo vaneggiare di una nuova umanità composta da lupi solitari, forgiati nel ferro e nell’oro, interessati solo alla loro proprietà individuale libera da ogni vincolo statale, dediti alla distruzione del vecchio mondo senza alcuno scrupolo umano o sociale. Idee che vanno al di là dello già spietato conservatorismo sudista, raffigurato dal bushwacker Hamp Wyatt, per il quale lo schiavismo rappresenta un principio che si riassume in autorità e disciplina, un’istituzione necessaria per affermare gerarchie e ruoli ben definiti, da estendere eventualmente a tutti i salariati.
Tornando a Bellegarrigue, egli non è soltanto un teorico ma anche una sorta di scienziato pazzoide, cultore del mesmerismo che intende utilizzare per plasmare l’uomo del futuro secondo i dettami della sua agghiacciante filosofia, a cominciare dai crudeli esperimenti cui sottopone il riluttante Kroger per trasformarlo in una perfetta macchina per uccidere. I proiettili di antimonio sono una sua scoperta e sarà lui stesso a consegnarli a Pantera.
Il mesmerismo, dunque, compare anche in Black flag. La sua funzione narrativa è la stessa: la possibilità di interpretare in termini parascientifici i fenomeni apparentemente sovrannaturali consente alla narrazione di mantenersi nel registro del fantastico e cioè, secondo la definizione del già citato Todorov, su un livello di incertezza e di indecidibilità circa la natura dei fenomeni straordinari cui assistiamo nel corso del racconto. Realtà o sogno, percezione veritiera o mera illusione, fenomeno sovrannaturale o fatto semplicemente “strano” benché spiegabile senza violare le ordinarie leggi scientifiche?
Se rimaniamo all’interno delle prime due storie di Pantera dobbiamo sospendere il giudizio. Ma se teniamo conto di quanto ci viene raccontato nei differenti livelli temporali in cui si articolano Metallo urlante e Black flag il dilemma può essere sciolto. Evangelisti assorbe le energie narrative che sgorgano dall’elemento soprannaturale senza lasciare spazio al misticismo cui è spesso associato. In altri termini Evangelisti spariglia le carte ibridando atmosfere tipiche del fantasy e dell’horror con la fantascienza. Le anomalie che sovvertono il nostro ordine metafisico perdono il loro alone mistico perché possono essere spiegate attraverso teorie parascientifiche per le quali, normalmente, lo scrittore utilizza i risultati di rami marginali della scienza realmente esistiti.
Il caso più famoso nella narrativa di Evangelisti è quello della fisica psitronica che torna ripetutamente nei romanzi di Eymerich. Non è importante il fatto che questi rami della scienza siano stati abbandonati e oggi siano considerati fallaci. L’importante è il meccanismo narrativo che toglie il terreno sotto i piedi ai cantori del mito tecnicizzato: ciò che è inspiegabile, sovrannaturale, diabolico o mitico in un determinato paradigma di conoscenze può trovare spiegazione razionale se inquadrato in un paradigma differente. Insomma, il mondo definito dai parametri della razionalità dominante è solo uno dei mondi possibili. E decisamente non il migliore.19
Tornando al mesmerismo e alle vicende che riguardano direttamente Pantera, va rilevata una differenza tra i due racconti. In Metallo urlante il messicano passa da un atteggiamento di iniziale ostilità nei confronti di questa scienza a una sorta di agnosticismo che non esclude la sua capacità di produrre spiegazioni e effetti concreti. Il cambiamento nasce dall’aver constatato la buona fede di Rosenthal, il sedicente medico che esercita questa disciplina a fini curativi. Si tratta, neanche a dirlo, di un personaggio eccentrico ed emarginato, considerato dai più un mero imbonitore, ma mosso da buone intenzioni sia nella sua pratica “scientifica” sia nel suo atteggiamento nei confronti del suo prossimo, in particolare di Cindy, una ragazza ingenua al limite della stupidità, utilizzata da tutti gli uomini di Tucumcari come sfogo sessuale gratuito. D’altra parte la metafisica di Pantera, se così possiamo chiamarla, è politeista e non può escludere la presenza di forze e divinità diverse da quelle da lui venerate. Il suo è essenzialmente un multiverso.
Ciò nonostante, in Black flag, la sua relazione con il mesmerista Anselme Bellegarrigue, diventa esplicitamente antagonistica. Ciascuno cerca di spiegare le credenze dell’altro alla luce delle proprie. Per Bellegarrigue, così come per Rosenthal, il magnetismo può dare conto scientificamente di tutti i fenomeni apparentemente sovrannaturali che Pantera è in grado di produrre, compresa l’apparizione nel cielo di un gigantesco lupo che terrorizza l’accampamento dei bushwacker. Per il francese si tratta soltanto di un’allucinazione collettiva determinata da un livello assurdo di fluido magnetico. Pantera, dal canto suo, quando entra nella carrozza laboratorio di Bellegarrigue, per quanto avesse “dimestichezza con ogni genere di prodigi, non riuscì a reprimere un brivido. C’erano spiriti in quell’abitacolo. Spiriti non buoni”.20. Il messicano era convinto che “Anselme Bellegarrigue conosceva il modo per evocare gli Ndoki, gli spiriti più maligni. Trovava scuse razionali al proprio potere solo per ingannare meglio il prossimo”.21
L’atteggiamento che assume Pantera nei confronti del mesmerismo, dunque, non è dettato dal contenuto in sé di questa pretesa scienza, ma dalle intenzioni di chi la pratica. Il messicano, in Metallo urlante, è pronto ad accettare l’aiuto di Rosenthal. Quando il francese propone di utilizzare una bacchetta per potenziare gli effetti della cerimonia “magica” di Pantera, quest’ultimo, di fronte alle spiegazioni sul funzionamento del fluido mesmerico, si limita a commentare: “Non capisco una parola di quello che dice, ma le credo”.22 Allo stesso modo, in Black Flag, non rifiuterà l’appoggio sovrannaturale dell’indiano Vecchia Pipa, sebbene quella di Pantera appaia anche in questo caso come un’agnostica apertura di credito: “Non ci sarà da danzare Pipa. Però partecipa pure. Gli spiriti malvagi della tua gente sono gli stessi presenti dappertutto. Tu li scaccerai a modo tuo, io a modo mio”.23
1- continua. Prossima puntata sabato 21 ottobre
Cfr. A. Sebastiani, Nicolas Eymerich. Il lettore e l’immaginario in Valerio Evangelisti, Odoya, Milano 2018. In particolare vedi Cap. 1. ↩
Cfr. T. Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 2022. ↩
Cfr. D. Gallo, “La battaglia del mito e della scienza. Valerio Evangelisti e la fantascienza come pratica radicale”, in S. Moiso e A. Sebastiani (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Mimesis, Milano 2023. ↩
V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 2002, p. 208. ↩
Cfr. M. T. Taussing, Il diavolo e il feticismo della merce, DeriveApprodi, Roma 2017. ↩
V. Evangelisti, Black flag, cit. p.123. ↩
V. Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 1998, pp. 38-39. ↩
Ivi, p. 23. ↩
Cfr. A. Sebastiani, cit., p. 38. ↩
V. Evangelisti, Metallo urlante, cit, p. 105. ↩
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 1999, p. 43. ↩
V. Evangelisti, Black flag, cit, p. 27. ↩
Ivi. p. 33. ↩
V. Evangelisti, Metallo urlante, cit., p. 66. ↩
Ivi. p. 137. ↩
V. Evangelisti. Black flag, cit., p. 16. ↩
Ivi. p. 21. ↩
Ivi. p.143. ↩
Cfr. D. Gallo, “La battaglia del mito e della scienza. Valerio Evangelisti e la fantascienza come pratica radicale”, cit. ↩
V. Evangelisti, Black flag, cit., p. 115. ↩
Ivi. p. 118. ↩
V. Evangelisti, Metallo urlante, cit., p. 129. ↩
V. Evangelisti, Black flag, cit., p. 174. ↩