di Mauro Baldrati
Scriveva Sylvia Plath ne La campana di vetro che le ragazze ricche di New York, annoiate da tutto, lo erano anche “dagli uomini del Brasile”. In questa serie visibile su Prime ci sono molti “uomini del Brasile”, ma non somigliano affatto ai frequentatori della mondanità newyorkese degli anni Cinquanta. Siamo in un contesto desolato, sporco, sudaticcio, violento e pazzo. Cangaço novo, titolo originale più adatto di New Bandits, parte come Breaking Bad: da un bisogno urgente di cure – non da parte del protagonista ma del padre – un uomo normale, mite, senza grandi qualità, si trasforma in un astuto rapinatore di banche. Diventa un cangaço, un cangaceiro. Costoro furono dei banditi che operavano nell’Ottocento e nel primo Novecento, soprattutto nella zona nord orientale, il Sertão devastato dalla miseria, in cui vivevano le popolazioni sotto il dominio dei latifondisti e delle autorità corrotte. Alcuni di loro assunsero l’identità epica di ribelli, di guide contro le atrocità e lo sfruttamento dei padroni.
Ubaldo, il nostro protagonista, un uomo taciturno, ex militare poi bancario licenziato in tronco dall’azienda, scopre che suo padre, che giace sul letto di un ospedale, bisognoso di cure urgenti (proprio come Breaking Bad è anche una denuncia della sanità privata) non è il suo vero padre. In realtà Ubaldo è figlio di un leggendario cangaço, Amaro Vaquiero, una sorta di eroe popolare adorato dagli abitanti di una cittadina persa nel deserto. Cratarà sorge in un ambiente sterminato, circondata da immense distese polverose e aride, con foreste di bassi alberi secchi, dove domina un angosciante colore grigio. Lo scopre perché viene contattato da un avvocato che lo informa di un’eredità lasciata da Amaro, terreni che però risultano pesantemente ipotecati. In realtà sono nel mirino di uno speculatore, un “senatore” e di suo figlio, il sindaco della cittadina, totalmente corrotto. Fanno parte di un progetto che vede il possesso di una grande porzione di territorio, indispensabile per avere il controllo dell’acqua, il vero tesoro di quei territori miserabili.
Così Ubaldo, che non ha nulla da perdere, angosciato dalla condizione di colui che considera il suo vero padre, decide di recarsi sul luogo per cercare di sistemare le cose.
E qui parte davvero la storia, in un contesto iperrealista che non solo non è patinato, ma rappresenta l’esatto contrario di un certo romanticismo estetizzante che coinvolge gli eroi negativi dei thriller, i criminali smart di tante serie e film di successo. Qui tutto è brutto, volgare, segnato dalla follia criminale e dalla mancanza di ogni pietà. Ubaldo incappa in una rapina a mano armata mentre è nella banca per trattare la sua situazione. Viene rapito come ostaggio e trascinato, tra botte, insulti, risate e tormenti vari, nel covo della banda, composta da pazzi assassini urlanti e sadici che minacciano continuamente di ammazzarlo. E una delle componenti, l’unica donna, feroce e aggressiva ai massimi livelli, che per la cattiveria e la volgarità del linguaggio ricorda, anche fisicamente, la temibile Jaq dell’ottima serie inglese Top Boys, è sua sorella, che lo odia a morte (e cerca anche di ucciderlo).
Ubaldo, picchiato, affamato, sempre legato, non si perde mai d’animo. Non parla, anche perché ha rimosso il passato, non ricorda nulla, solo sprazzi di immagini mortifere, probabilmente un massacro in cui è stato presente da bambino. Ma riesce a convincere i banditi che lui se ne intende di banche, e può generare un salto di qualità nella loro scassatissima attività di rapinatori buffoneschi e incapaci. Tra grida e offese, botte e osceni epiteti, pian piano viene accettato e diventa il capo della banda, che trasforma in un gruppo di moderni cangaceiros. Le rapine vanno tutte a segno, e quei criminali bifolchi con le pezze al culo si ritrovano con grande disponibilità di soldi. Anche il rapporto con la sorella si normalizza, finché la storia vira verso il politico, in una guerra senza quartiere contro i corrotti (compreso naturalmente il capo della polizia locale). In gioco c’è non solo la proprietà ma anche la sorte degli abitanti espropriati dalle loro case in seguito agli intrighi dei criminali legali. Insomma, Ubaldo, in una progressione drammatica, collettiva e anche privata, coi vari vissuti che non risultano mai noiosi, transita nel personaggio del padre Amaro, il nuovo cangaço che difende i deboli e gli sfruttati.
Cangaço Novo scorre magnificamente nel suo deciso anti estetismo, privo di ogni retorica, senza cavalieri solitari né eroi sentimentali, strappando stupore e ammirazione allo spettatore rassegnato alla marea di banalità, sceneggiature scalcagnate che riempiono i magazzini di queste nuove majors casalinghe popolari. E non è poco.
Il finale, forse spacciato per aperto, sarebbe deludente, buttato lì senza risolvere nulla della terribili questioni aperte, ma giunge notizia che è in preparazione una seconda stagione, per cui il tutto si giustifica. Pertanto lo scrivente, divoratore onnivoro di film e di serie (anche per misteriose cause di forza maggiore), non vede l’ora.