di Edoardo Todaro
Alla fine dell’estate, gli anni della lotta armata in Italia, di Carlo Frattini, Red Star Press, 2021 pag. 217 – € 16,00,
Ci sono vari motivi per cui si affronta la lettura di un libro: titolo, copertina, aver letto i precedenti libri dell’autore, ecc … Motivazioni tutte legittime e tutte soggettive. Anche in questo caso c’è un qualcosa che non può non attrarre l’attenzione del potenziale lettore: il sottotitolo. GLI ANNI OTTANTA DELLA LOTTA ARMATA IN ITALIA, e non è certo il riferimento alla lotta armata in generale, bensì appunto alla lotta armata e agli anni ottanta. Perché, nonostante le difficoltà riscontrate dagli autori, in particolare in occasione delle presentazioni, l’editoria, almeno una parte di essa, si è dimostrata disponibile a pubblicare testi di appartenenti alla formazioni combattenti degli anni ’70,di coloro i quali Frattini definisce in modo perfetto,” figli dell’offensiva “.
Basti pensare ad esempio a Pasquale Abatangelo con il suo “Correvo pensando ad Anna”; a Renato Curcio, con la sua produzione sociologica, pubblicata in gran parte da “Sensibili alle Foglie”; a Barbara Balzerani ed i suoi numerosi testi personali/politici; a Salvatore Ricciardi, purtroppo deceduto poco tempo fa, sulla sua vicenda personale e sul pianeta carcere; alle analisi storiografiche di Paolo Persichetti ed ovviamente a Prospero Gallinari con “Un contadino nella metropoli” ed al famoso, e sempre attuale, “Brigate Rosse una storia italiana” di Mario Moretti. Tutti testi importanti per inquadrare un percorso che si è sviluppato ed ha attraversato l’Italia e che non ha avuto esempi paragonabili in altri paesi, attenendosi alla lotta armata come tentativo di presa del potere e non alle esperienze di lotta di liberazione nazionale da dittature e/o occupazioni.
Nel primo caso mi riferisco al cosiddetto emisfero occidentale; nel secondo caso ai paesi “in via di sviluppo”, Africa, Asia, America centrale/Latina. Tutti testi riferibili all’esperienza armata che si prodotta negli anni ’70. Un percorso quello della lotta armata sul quale gli storici si arrovellano nel dare un inizio temporale. Ma, c’è un ma, che Carlo Frattini ci aiuta a conoscere e portare alla luce, cioè la lotta armata negli anni ottanta. Anni ottanta che sono legati in modo indissolubile con il cosiddetto filo rosso, con gli anni ’70. Pochissimo è stato scritto su quel periodo, su cosa ha voluto dire per chi praticava quel percorso, su come un militante politico arriva a decidere di esserne parte, di esserne protagonista, di un qualcosa che mette in discussione la propria vita, la propria esistenza.
L’importanza di un libro come “Alla fine dell’estate” risiede nello sfatare un principio dato per assodato, certezze provenienti da ricostruzioni limitate, volute o meno: la lotta armata in Italia è terminata alla fine degli anni ’80 continuando negli anni ‘80. Certo i protagonisti di quell’esperienza sono condannati al silenzio, anzi obbligati al silenzio, a futura memoria, perché non si sappia che il potere politico di questo paese ha traballato, è stato messo in discussione a tal punto che per salvarsi non si è fatto scrupoli a ricorrere alla tortura, nonostante voci più o meno autorevoli , alla Pertini, non lo ammettano; addirittura affermando che l’Italia “ha sconfitto il terrorismo grazie ai valori della carta istituzionale”. Mi spiace per i tantissimi/e estimatori di Pertini, “il presidente partigiano”, ma, diciamolo, mentì sapendo di mentire.
Quanto ci viene descritto da Carlo Frattini è un percorso soggettivo, è il famoso “il personale è politico”, uno vive dell’altro e viceversa, di un militante che si trova a fare i conti con le rinunce, umane come ad esempio le partitelle a calcio,al razionalizzare la spontaneità dei sentimenti, a partire da quelli affettivi, conseguenti alle proprie scelte, sul cosa lo porta ad intraprendere una strada costellata di ostacoli e dubbi; e con, 1987/1988, l’annuncio dei cosiddetti capi storici che la lotta armata è finita e che è il momento della “ battaglia per la libertà “ perché le condizioni politiche che avevano dato avvio, e legittimato,la lotta armata si sono esaurite.
Ed a chi non è d’accordo, non rimane che la domanda storica che ha attraversato centinaia di percorsi soggettivi: che fare? Tornare a casa o prendere la via dell’esilio, Francia, Nicaragua? No grazie, la scelta è restare, rifiutare il “tutti a casa”, perché ciò che prevale è il connubio rabbia e voglia di esserci, senza farsi troppe domande, restando fedeli alla propria storia,anche quando tutto sembra perduto; nonostante faccia capolino il presagio malefico della morte, sempre e comunque preferibile alla cattura, con tortura conseguente; impossibile lasciare indietro chi resta sulle barricate, perché il conflitto in corso si è trasformato in guerra e ne va preso atto.
Un militante che ha nella sua cassetta degli attrezzi, nel suo dna, i fratelli Anna Maria e Luca Mantini, Sergio Romeo assassinati, gli ultimi due a Firenze; Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi assassinati a Torino; l’assassinio per mano fascista, a Roma, di Valerio Verbano: nomi che possono anche non dire niente ai più, ma che in realtà, in quegli anni, volevano dire tantissimo; l’assassinio, una vera e propria esecuzione,nel marzo ’80, di 4 militanti Br in via Fracchia a Genova; la retata contro i dirigenti di Autonomia il 7 aprile del 1979, promossa da un partito comunista compiacente e colluso con il potere; i licenziamenti nel ciclo produttivo, i sindacati ormai organici al sistema, i fascisti che attaccano l’emittente radiofonica romana, Radio Città Futura, in occasione di una trasmissione gestita al femminile; la violenza che sta dentro un conflitto di classe che si protrae nei decenni; le stragi di stato, l’ultima alla stazione di Bologna; il 1980 alla FIAT; i 61 licenziamenti politici, sempre alla FIAT; la rivolta nel super carcere di Trani e la chiusura del lager dell’Asinara; aver letto Balestrini ma anche Engels; ed ovviamente con i dubbi rispetto alle conseguenze che si sono prodotte con l’operazione Moro e Guido Rossa; tutte quelle elencate, al di là che non rispettino una cronologia, sono tappe significative di un percorso che ha una direzione, che se non è obbligata, poco ci manca; tappe che non possono essere rimosse come se niente è accaduto;un militante che entrando nello specifico della propria esperienza ci può dire dov’è la differenza tra latitanza e clandestinità, su cos’è l’organizzazione ed i suoi meccanismi di funzionamento.
Accanto a queste cosiddette tappe di crescita si sviluppa il libro, un libro di analisi, di collegamento di esperienze. Un libro che ci mette a conoscenza dei livelli messi in campo dalla repressione, a partire dall’attuare le massime dell’“Arte della guerra” concretizzandosi nel non perdere mai il contatto con il nemico e studiarlo, porlo sotto osservazione. Carlo Frattini ricostruisce, valorizzando un elemento che ritengo centrale: il contesto nel quale si sviluppa. Il contesto personale, con i ricordi del vissuto da militante, ed il contesto del vissuto da combattente. Su tutto questo si evidenzia una questione che è stata motivo di discussione anche accesa, il passaggio di testimone di chi è stato protagonista della lotta di liberazione dal nazi-fascismo e si è sentito frustrato dagli esiti della lotta portata avanti verso coloro i quali intendono mettere in discussione i rapporti di forza e ribaltarli. Questione che si concretizza nella figura di Cesare, con i suoi punti di vista, con i suoi principi e valori, il partigiano, o quanto meno l’ex,che incarna una forma di autocoscienza, di messa in discussione dell’agire. Carlo Frattini che non può sottrarsi dallo scrivere a proposito del pianeta carcere, delle sue evoluzioni ecc… dell’ingresso, “a mani basse” del circuito dell’eroina, responsabile, o quanto meno complice, dell’annientamento del movimento di opposizione di classe.
Alla fine di queste 217 pagine incappiamo in uno spunto filosofico, che può sembrare fuori luogo, ma che a mio avviso risulta importante. Se poco prima ho scritto a proposito dei ragionamenti dell’ex partigiano, Cesare, che dire dell’anziano, in quanto operatore nell’antiterrorismo, tutore dell’ordine che si misura su di un metro di giudizio, che è come camminare sulle confezioni di uova, sul senso di vittoria e sconfitta. Mi permetto di concludere con un qualcosa che non è affatto scontato: l’esperienza della lotta armata in Italia, ha un lascito non secondario; in carcere, oggi, ci sono ancora i prigionieri politici. Leggere questo libro e farlo conoscere è molto importante per rimuovere l’oblio a cui si vuole relegare queste vicende.