di Giorgio Bona
Alessandro Angeli, Cammina sul lato selvaggio. Vivere e morire a New York, pp. 224, € 15, Arcana, Roma 2023
Candy came from out on the Island
In the back room she was everybody’s darling
But she never lost her head
Even when she was givin’ head
She says, “Hey, babe
Take a walk on the wild side”
Said, “Hey, babe
Take a walk on the wild side”
And the colored girls go
“Doo do doo do doo do do doo…”
(Candy è venuta dall’Isola
nella stanza sul retro era carina con tutti
ma non ha mai perso la testa
neanche quando faceva un pompino
dice, “Ehi, bimbo,
fatti un giro sul lato selvaggio”
e la ragazze di colore intonano
“Doo do doo do doo do do doo…”)
Cammina sul lato selvaggio è una celebre canzone del tormentato, ribelle appassionato cantautore di New York, Lou Reed (1942-2013), con un racconto della sua vita sviluppato in chiave narrativa: in questo libro lo scrittore maremmano Alessandro Angeli scava con grande abilità di indagine dentro la vita del controverso personaggio.
Il titolo prende spunto da una canzone del 1972 che Lou stesso considerava sopra le altre, e riteneva una delle sue “canzoni definitive” al punto di dire “se dovessi ritirarmi in questo momento, Walk on the Wild Side è quello per cui voglio essere riconosciuto. Questo è il mio capolavoro”.
A Walk on the Wild Side è un romanzo del 1956 di Nelson Algren ambientato nell’era della depressione, dove il lato selvaggio era la parte nascosta dell’America, quella dei vagabondi, dei contrabbandieri, delle prostitute e dei ruffiani: il giovane protagonista, Dove Linkhom, ingenuo ragazzo di campagna in fuga da un amore improvviso e appassionato, cerca un riscatto che soltanto i soldi potevano offrire, guadagnati sia con duro lavoro, sia con espedienti come truffe e prepotenze.
Alessandro Angeli indaga l’adolescenza tormentata del cantautore nell’America perbenista degli anni Cinquanta: lo troviamo, artista crudo e ironico fino alla strafottenza, nei bassifondi newyorkesi, attraverso l’abuso delle sostanze stupefacenti e il complesso e difficile rapporto di coppia fino allo spleen esistenziale. Un adolescente inquieto, eccentrico, ribelle, che odiava le autorità, che scandalizzava con atteggiamenti offensivi e osceni, con discorsi provocatori sull’omosessualità in una società bigotta e perbenista.
La figura che Angeli ci racconta è questa. Un personaggio che nel 1956 fu sottoposto a una terapia di elettroshock che avrebbe dovuto, secondo i genitori, curare la bisessualità che si stava facendo strada in lui.
Non fu un caso la canzone del 1974 Kill Your Sons, a memoria di un trauma che si portò poi dentro per tutta la sua vita. (La sorella racconterà una diversa versione, giustificando l’elettroshock come terapia contro l’ansia, la depressione e comportamenti socialmente irresponsabili che si sarebbero manifestati durante la permanenza al collage per via di un esaurimento nervoso.)
Alessandro Angeli colloca nel nucleo centrale del romanzo il periodo in cui Lou Reed si trasferì a New York e riunì una band di supporto. Ecco accanto a lui il musicista gallese John Cale, appena trasferito nella Grande Mela, al basso, insieme a Sterling Morrison e Angus MacLise con cui formerà l’anno dopo i Velvet Underground, attirando l’attenzione di Andy Warhol che diventò addirittura manager della band.
I Velvet Underground, nome ispirato dall’abbinamento tra l’idea di cinema underground e il libretto – trovato nella monnezza – The Velvet Underground del giornalista Michael Leigh, 1963, reportage sulle parafilie negli Stati Uniti (Reed aveva già prodotto una canzone titolata Venus in Furs, come il Venere in pelliccia di von Sacher-Masoch), rappresentano il frutto della sinergia tra i geniali Cale e Reed, ai quali si aggiunge Maureen Ann “Moe” Tucker, prima donna batterista dell’epopea rock.
Su una musica con le tonalità del blues e i ritmi afro-americani, i testi di Lou ricevono forte ispirazione dai poeti della Beat Generation: la sua autoironia trova nel rock il linguaggio perfetto per raccontare la realtà.
Queste pagine hanno il pregio di farlo apparire come dal vivo: Lou Reed con il suo giubbotto color fucsia, il volto scavato, i modi gentili, ci parla lentamente con il suo sguardo magnetico, la sua presenza intensissima.
Non c’è solo musica. Eccolo per esempio appassionato di Tai Chi, la cosiddetta meditazione in movimento, che lo accompagna nell’ultima parte della sua vita: a sentire la moglie, pare che si spenga proprio praticando tale disciplina. (Merita ricordare che l’ultimo matrimonio di Reed era stato con Laurie Anderson, una delle più importanti performer audio-visivo-teatrali della scena newyorkese tra gli anni ottanta e duemila).
Insomma, uomo e artista ben resi nella loro unità in questo libro di Alessandro Angeli, nel personaggio esemplare che raccontava in un intervista a Luca Valtorta: “Se potessi essere re per qualche ora e tutto si fermasse per un secondo, mi prenderei cura dei cattivi ragazzi e tutto tornerebbe… nomale. Ma credo che questo sia il sogno di ognuno di noi. Oh, se mi facessero Presidente per un solo giorno! Ci penserei io a mettere le cose a posto! Gli altri sono degli imbecilli: non hanno idea dei bisogni. Io sì: datemi in mano l’America per qualche ora e ve ne darò prova. Questo è quello che pensano tutti. Il problema è che per la gente di cui parli non è un sogno ma la triste realtà”.
E, come afferma con vigore: “la musica è una cosa buona per la gente. È una cosa che aiuta a guarire: nelle marce per i diritti civili la gente canta ancora We shall overcome. È una cosa che unifica le persone”.