di Giovanni Iozzoli
Tutto è cominciato con la carbonara. Benedetta carbonata. Mia moglie dice: voglio fare una bella carbonara ma non ho la pancetta a cubetti, vai al Conad a comprarla per favore. E io lo so che quando si fissa su una cosa non molla. E’ inutile resistere. Allora mi sono vestito e sono andato al Conad, senza fare troppe discussioni. Sono arrivato al passaggio pedonale sulla via Emilia, cinque minuti a piedi da casa mia. Stavo attraversando, poi non mi ricordo più niente.
Adesso eccomi qua. Il pezzo di sopra me lo sento come vaporoso, inconsistente. Quello di sotto, diciamo dalla vita in giù, piuttosto gelatinoso. Sensazione strana. E poi c’è questa nebbiolina, che non ti fa vedere nulla; e non si capisce bene neanche la profondità, la destra, la sinistra, il sotto, il sopra. E non c’è freddo e non c’è caldo. Un po’ angosciante. Anzi: molto angosciante.
Mi guardo intorno e non vedo anima viva. Non so se devo restare qui o muovermi (ma in che direzione?). Non ci sono indicazioni o percorsi. Che faccio? Sono stranito. E atterrito. Ti senti per la prima volta in vita tua davvero solo. Di una solitudine che non hai mai provato prima: solo nell’universo. E provi un bisogno fortissimo di incontrare qualcuno. Vorresti una guida, o comunque un compagno di strada, chiunque andrebbe bene. Ma senti anche che è impossibile incontrare qualcuno che ti conosce in un posto così. Vorresti urlare, ma come in certi sogni, sai che la voce non uscirà. Essere soli in mezzo al nulla, girare su se stessi, stringere gli occhi, cercare di penetrare la nebbia con lo sguardo. Dove sono, chi mi aiuterà? Chi?
E’ mentre sono all’apice del mio sconforto, sento una voce calda, rassicurante:
– buongiorno Antonio!
Mi volto pieno di speranza, qualcuno mi ha individuato, qualcuno è venuto finalmente a prendermi. Ma non vedo nessuno, in mezzo alla caligine. Sto sognando?
– Qui, qui sotto Antonio, abbassa la testa.
E finalmente lo vedo. Il mio Pedro è lì. E’ venuto a farmi compagnia, il mio Pedro. L’aspetto fiero del mezzo pastore tedesco che fu. Lo sguardo leale, sincero, il mio Pedro. E parla. Sta parlando, Pedro. E ha proprio la voce che uno avrebbe potuto immaginare.
– Pedro amico mio… ma sei proprio tu… ma tu parli?
– Si Antonio. Qui anche noi parliamo.
– Gesù, meno male, che gioia averti trovato. Pedro, Pedro mio, mi sentivo tanto solo, ma adesso che ci sei tu sto meglio. Il mio cagnolone. Amico mio. Com’è strano sentirti parlare. Ma anche bello. Hai una voce che dà sicurezza. Pedro, Pedro. Ma sono finito nel paradiso dei cani?
– No Antonio.
– Ma posso stare tranquillo? Con te mi sento tranquillo.
– Si certo, fino a che ci sono io con te, puoi stare tranquillo.
– Meno male. Che angoscia. Questo posto è così strano. Non ho capito cosa ci faccio qui. Che bell’aspetto che hai. Hai una fierezza, un pelo nero, lucido. Io invece mi sento come una medusa, tutto sciolto, vago.
– Si, è l’effetto iniziale del non avere un corpo.
– Pedro caro… sapessi come abbiamo pianto, quando sei morto.
– Si lo so. Luisa ha molto sofferto. Mi voleva bene.
– Certo, Pedro. Ti volevamo bene. Anche io, no?
– Hmm…
– Anche io, te ne volevo. Ma… hai dei dubbi?
– No, no. Lo so che mi volevi bene. Però…
– Però che?
– Parliamoci chiaro, per te ero un po’ una scocciatura. Portarmi giù, e poi le spese del veterinario, e i peli da tutte le parti, che ti lamentavi sempre…
– Ma no, no, Pedro, amico mio. Ma che dici? Ma credi che non ti amassi anche io? Mi fai dispiacere, se dici così. Ti ho sempre trattato più che bene… Ti facevo anche le coccole, non ricordi?
– Lo so, lo so tranquillo. Però…
– Però cosa?
– Ecco, parliamo delle coccole.
– Poche?
– No, non è la quantità. Parliamo della modalità. Ti ricordi che mi accarezzavi sempre le orecchie?
– Si, ti accarezzavo la testa, tutto.
– No, segnatamente le orecchie.
– Non mi ricordo… boh… ti toccavo.
– Si ma avevi una preferenza per le orecchie
– Non lo so… avevi delle belle orecchie….
– Allora, chiariamolo: ai cani non piace assolutamente che qualcuno tocchi loro le orecchie. Non lo hai mai sentito dire? Non fare quella faccia innocente.
– Ma… io non mi ricordo… ma che ne so, che non ti piaceva?
– NO! Non a me. A nessun cane piace che si tocchino le orecchie.
– Si, ma non ti agitare Pedro… amico mio…
– Non piace assolutamente ai cani che qualcuno tocchi loro le orecchie! N-O-N P-I-A-C-E, capito?
– Si, si… ma non ti arrabbiare… Pedro, ti prego… come facevo a sapere che non ti piace farti toccare le orecchie?
– Non fare lo gnorri. Lo sapevi benissimo. C’era scritto sul libro dei cani che avevi regalato a tuo figlio.
– Ma… ma io.. .non mi ricordo..
– Allora, coglione, due sono le cose: o non lo hai mai letto o lo avevi letto e te ne sei fregato. E non so cosa sia peggio, per Dio!
– Ma, Pedro… mi meravigli… sei veramente… ingeneroso… perchè fai così?
– E sai perchè mi toccavi le orecchie? Te lo dico, coglione? Perchè così non ti dovevi abbassare troppo. Perchè il libro parlava della pancia! Ai cani piace se gli tocchi la pancia. Capito? Conosci la differenza tra la pancia e le orecchie? Per non piegare la tua bella schienina ho dovuto sopportare le tue manacce sulle mie orecchie per 16 anni.
– Pedro, mi dispiace… mi dispiace tanto… ti prego perdonami…
– Sei in panico, vero? Stai pensando: ma come, trovo il mio cane qui, che mi dovrebbe fare da guida e adesso quello si incazza per la storia delle orecchie… eh eh… ma dai, sto scherzando… su Antonio… sembri un ragazzino… di che hai paura, cosa può succederti di peggio? Ormai sei morto.
– Stavi scherzando?
– Ma certo. Ti voglio bene. Non ti abbandono mica. Non preoccuparti.
– Meno male.
– Per quanto…
– Oddio, che cosa vuoi tirare fuori ancora?
– Vogliamo parlare della castrazione, stronzo? Pensavi che fosse una cosa carina, tagliarmi i coglioni?
– Madonna, anche quella storia. Ma l’abbiamo fatto per te. Ti evitavi dei problemi di salute. Eri soggetto non mi ricordo a cosa… Ce l’aveva detto il veterinario… E’ stata Luisa a insistere. Io avrei evitato, credimi. E’ stata Luisa.
– Va bè, va bè… lasciamo perdere. Non rivanghiamo.
A un certo punto, si sente come una brezza; che poi diventa una folata di vento; e una luce via via sempre più intensa fende la nebbiolina collosa. E davanti a me, ad una distanza indefinita, improvvisamente si materializza un incredibile corteo. Non so come definirlo: sembra una scena mitologica. Si vede una torma di cani bianchi, nordici, bellissimi, che sembrano correre ma senza muovere le zampe; e sopra al nobile branco troneggia una figura di donna piena di fulgore, con gli occhi sbarrati, fanatici, e un po’ di veli svolazzanti in dosso; e lei pare guidare il branco, indicando la direzione di marcia, protesa in avanti; e sembra fluttuare in piedi sulle schiene dei cani che la trasportano ululando; è bellissima (anche piuttosto spogliata). Io sono a bocca aperta. Il corteo passa oltre e si perde nella nebbia. Pedro si è tutto irrigidito, come sull’attenti e sembra sorridere compiaciuto. La faccia della donna-dea-cane, mi ricordava qualcuno. Minchia, no, non può essere. Ho un sospetto.
– Scusa Pedro, ma… hai visto… quella tipa, sulla schiena dei cani… ma non assomigliava…
– No, non “assomigliava” a tua moglie Luisa. Lei è Luisa. La nostra cara Luisa.
– Noo… Oddio… mia moglie… ma che ci fa qui?
– Quello che ci fai tu.
– Mia moglie è morta… Dio, no… no… Lo sapevo che non avrebbe retto… quando ha saputo di me è morta anche lei… forse anche il senso di colpa, poverina, mi aveva mandato lei a prendere la pancetta a cubetti…
– E’ morta oggi. Ma non è morta per te. Non ti preoccupare. Tu sei morto già da un anno.
– Come da un anno?
– Si sei rimasto in uno stato sospeso. Capita ai soggetti un po’ ottenebrati. Ti sei svegliato adesso, ma è un anno terrestre che sei morto…
– E lei?
-Lei è morta per un incidente stradale la scorsa notte. Non ha sofferto. E’ stato un attimo. Si era anche trovata un altro, se ti interessa. Appena morta, sta veleggiando verso il Paradiso della Beatitudine Estatica. Il suo amore per i cani la sta conducendo lì. Quello è il suo livello. Il suo era un amore sublime, purissimo. E’ in quel paradiso che vanno quelli come lei.
– Oddio… starà bene?
– Non preoccuparti di lei. Pensa a te.
– Ma la rivedrò mai?
– Non credo, francamente. Conoscendoti. Sei poco estatico, direi, a occhio e croce. Solo con la Champions andavi in estasi. Ma converrai che è un po’ poco per meritare il paradiso, non credi? Quando ti interrogheranno e ti chiederanno: cosa hai fatto della tua vita? Tu risponderai: ho visto molta Champions. Chissà se esiste un paradiso della Champions. Devi informarti.
– Ma perché, qui interrogano?! Comunque, Pedro, sono basito. Hai un astio… quasi un odio…
– Lascia stare. Tanto me ne sto andando.
– Dove vai? Mi lasci qui? Pedro? Ma allora questo non è il paradiso?
– No, Antonio. E’ una specie di sala d’attesa. Io non posso restare. Ho la mia strada, la mia collocazione. Volevo solo vederti. Ciao e buona fortuna, ne hai bisogno. Vado a salutare Luisa
– Ma ci rivedremo?
– Non credo. No.
Se n’è andato. Si è infilato nella nebbia e via: scomparso. Forse me lo sono solo sognato. Ma io che faccio qua? Una sala d’attesa? Se fosse una sala d’attesa mi siederei. Ma non c’è neanche una panca. Anzi, a pensarci non ho neanche più un culo. E anche mia moglie me la sono sognata? Ma era davvero lei, mezza spogliata, in mezzo a tutti quei cani? Forse questo è solo un luogo di illusioni, dove i cani parlano e le mogli rompicoglioni diventano dee. Boh. Qualcuno verrà a prendermi. Un bello stronzetto, il nostro Pedro. Cosa significa che non sono estatico? Sono una persona normale. Che dovevo fare, andare in estasi ogni due minuti? Ma io lo so cosa voleva dire. La verità la conosco, purtroppo. Ma non è colpa mia. Mia moglie buonanima me lo diceva sempre, che io non sono capace di pensieri profondi, o di slanci. Sono un mediano. Non sono buono nè per il paradiso nè per l’inferno. Forse per quello mi hanno messo in sala d’attesa. Forse è come diceva mia cognata, la buddista: ci reincarniamo. Mah. Non si capisce niente. Certo, quel Pedro, non me l’aspettavo. Quando gli dai da mangiare scodinzolano tutti contenti. Non sai mai cosa pensano, quelle bestie; ti leccano le mani ma guardano tutto, ti spiano, ti giudicano. Vai a capire. Ma poi chi è che me lo ha messo contro? E’ stata Luisa? Luisa gli parlava di me? Era lei che gli diceva che io non avevo slanci? Mi consideravano un cretino, un superficiale, un mediocre? E perché? Perché avevo una vita ordinaria? Lo so. Non sono mica Sandokan. A 55 anni che dovevo fare? Diceva che non leggevo mai niente; lei, cassiera alla Coop, era tutta orgogliosa perché leggeva Recalcati. Capirai, Recalcati… Ma perché mia moglie mi ha sempre sottovalutato? Perché pensava che fossi un’animuccia? Io non mi sento un mediocre. Forse un tiepido? Ma chi è che può leggere davvero dentro le persone? Chi è che ha il diritto di giudicarle? Cosa sapeva mia moglie di ciò che mi si agitava dentro, della mia vita interiore, di quello che avrei voluto essere o vivere, e adesso è tardi, tardi per tutto tranne che per i rimpianti? E del resto dei mediocri cosa dovremmo farci? Bruciarli? Farli scomparire? Perchè attaccano queste etichette alla nostra vita? Tanto: profondi o superficiali, sensibili o cinici, tutti qua finiamo, in sala d’attesa. Eppure vorrei tornare indietro, ridare un senso diverso ai miei giorni, dare valore a ogni istante… leggere di più…e riflettere, riflettere, scavare nella mia coscienza, e aprirmi nuove prospettive. I rimpianti: si, i maledetti rimpianti. Chi l’ha detto che io non sono capace di pensieri profondi? Chi l’ha detto? Chi? Chi?!
Comunque se torno a nascere, basta cani.
– Chi c’è? Chi è là in fondo? Una figura umana. Non pare minacciosa, sembra piccola, fragile. Una signora, sembra. Un’anziana, con la borsetta. No, non può essere. Sembra… sembra lei… la mia povera mamma. Mamma, mamma sei tu? Sei venuta a salvare il tuo bambino? Che tenerezza, è vestita come quando andava a messa. Mammà! Voglio correre a buttarmi ai suoi piedi, sono quarant’anni che non la vedo. Mamma. Mamma. Però ha una faccia… Ha la faccia che aveva quando era incazzata. Era spesso incazzata. Del resto ce l’aveva sempre con me: mia sorella era perfetta, ero io il caprone della famiglia. E’ stata arrabbiata con me fino in punto di morte. Sembra non mi abbia ancora visto. Che brutta espressione che ha. Pare proprio stia cercando me. Avrà qualche filippica in serbo da quarant’anni. Sai cosa? Io non chiamo nessuno, mi faccio i fatti miei, me ne sto qui in sala d’attesa, mi acquatto nella nebbia e aspetto. Oddio, chi è quello… è spuntato pure mio padre. Giù, giù… stiamo giù.