di Marc Tibaldi
Claudio Bolognini, Stella Rossa. Una storia partigiana, Red Star Press, 2023, pagine 218, 16 euro
«La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento» scrive René Char in Fogli d’Ipnos, taccuino di appunti, riflessioni e poesie del periodo partigiano, uno dei suoi capolavori. Il testamento che ci hanno lasciato i partigiani non sta tanto – come vorrebbe certa retorica – nella Costituzione della Repubblica o nell’indignazione verso la non applicazione del suo spirito antifascista, ma nel vivificare i loro ideali e rivendicarli ogni giorno.
Ha fatto bene quindi Claudio Bolognini a risvegliare la memoria con “Stella Rossa. Una storia partigiana”, un romanzo emozionante. Un romanzo storico che ci racconta la vita della Brigata Stella Rossa e la strage di Marzabotto o – più correttamente – di Monte Sole, compiuta dai nazifascisti. 770 morti, tra cui 217 bambini, 132 anziani e 392 donne. Ma è anche un romanzo di formazione, infatti la storia della Brigata si intreccia con quella di Paolo, un ragazzo che fugge dal carcere di Bologna, quando i partigiani liberano i compagni prigionieri. Paolo si unisce alla Brigata, sulle montagne alle spalle di Bologna, dove conosce gli ideali antifascisti e dove si innamora di Elena.
Bolognini basa la ricostruzione storica della Stella Rossa su una solida documentazione (si veda la nutrita bibliografia storica in appendice al volume) e lascia spazio all’immaginazione per la storia d’amore e di formazione di Paolo. Ricostruzione però verosimile quella di Bolognini se si considera la sua pignola cognizione del territorio, della cultura materiale del popolo e della sua lingua, il dialetto emiliano-bolognese, tutti aspetti che emergono nella lettura del libro. Si potrebbe dire che Stella Rossa è anche un romanzo epico, dove la figura dell’eroe individuale, il comandante Lupo, è inestricabile da quella dell’eroe collettivo, il popolo.
Quella di Bolognini è una scrittura apparentemente semplice, che sa invece imbastire una trama di punti di vista diversi, come nei suoi romanzi precedenti – I ragazzi della barriera (qui) e I giorni della rivolta (qui) – il racconto, la struttura dei capitoli e i dialoghi sembrano adatti a trasformarsi nella sceneggiatura di un film. Ci si potrebbe chiedere se sia necessario scrivere nuovi romanzi sulla resistenza, considerate tutte le opere scritte in presa diretta o negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale (Calvino, Viganò, Fenoglio, Cassola, Vittorini …). Sì, è necessario perché oggi vediamo il passato con altri occhi, un’altra sensibilità.
Come ha fatto qualche anno fa anche Andrea Olivieri, in Una cosa oscura, senza pregio (qui), dove la storia del nonno partigiano si intreccia a quella di Louis Adamic, anche Bolognini ha un’arma in più nel magazzino della memoria, quella degli affetti: sua zia Loredana è stata una dei sopravvissuti alla strage e suo nonno Nello è stato partigiano della Stella Rossa. Rielabora così passato e presente, raccontando la storia indirettamente riflette sull’oggi, sugli ideali dei suoi antenati e sui suoi, sui nostri, perché è purtroppo sotto gli occhi di tutti – in Italia e nel mondo – la restaurazione reazionaria.
E se metodi e strategie del neofascismo sono diversi da quelli di un secolo fa – più subdoli – la necessità di ricercare nuove armi culturali di difesa e attacco è vitale, come non smetteva di ricordarci Valerio Evangelisti, che sosteneva una letteratura in contrapposizione alla colonizzazione dell’immaginario – e quindi anche della memoria – da parte dei media e della società dello spettacolo, ossia del nuovo capitalismo.
«Facciamo le nostre strade come il fuoco le faville. Senza mappa catastale», scriveva Char in Ritorno a Supramonte, per dare importanza all’avventura, alla scoperta, all’immaginazione. Senza mappa catastale, sì, ma con la memoria viva, come in Stella Rossa. Un romanzo come atto di resistenza.