di Jari Lanzoni*
Corpi colossali, spazi e menti in restringimento e l’egemonia della Lotta Tossica
In un imprecisato futuro, orde di Giganti e Titani privi di intelletto spuntano dal nulla con l’unico scopo di mangiarsi gli esseri umani. Dopo un lungo periodo di lotta e una forte regressione tecnica, tutta la razza umana ha trovato scampo dentro tre cerchie di mura, consumandosi nell’odio per i giganti invasori e bruciando dalla voglia di rivalsa.
Tra duelli mirabolanti e la giusta distillazione di informazioni (e un merchandising con i fiocchi), il successo de “l’Attacco dei Giganti” (Shingeki no kyojin del 2009, di Hajime Isayama, meglio noto come Attack on Titan) è immediato. Unico neo: una fase finale calante come le palpebre del lettore e un epilogo insapore, sbrolososamente buonista, come se la necessità di scegliere gli interni per la quarta villa al mare dell’ormai arricchito Isayama rendesse quest’ultimo indifferente alla propria opera.
Calato da lungo tempo l’interesse per quella bella idea divenuta una vaccata, mi ritrovo a leggere un romanzo urania mentre mio figlio si fa la siesta pomeridiana.
In un imprecisato futuro, orde di Titanici intelligenti e con un livello tecnologico superiore, sono scesi dal loro pianeta conquistando la (si presume) Terra. Dopo un lungo periodo di lotta e una forte regressione tecnica, tutta la razza umana ha trovato scampo dentro cunicoli, consumandosi nell’odio per i giganti invasori e bruciando dalla voglia di rivalsa. Si tratta ovviamente de “Gli uomini nei muri” (Of Men and Monsters) del 1968, di William Tenn, scelto solo perché il titolo ricordava “I topi nei muri” del Maestro Lovecraft.
Nulla di nuovo sotto il sole (si noteranno infatti gli influssi di opere quali “Universo”, ossiaOrphans of the Sky di Heinlein). Chiunque ami la narrativa sa che tutto è già stato scritto, la capacità dell’autore è solo quella di concertare vicende, concetti ed eventi propulsivi in maniera differente. Tuttavia il confronto tra il manga di Isayama e il romanzo di Tenn, spogliando entrambi dei relativi carichi di effetti speciali e altre trovate accessorie, rivela le fondamenta di una narrazione comune: i Titani si sono presi il mio spazio, QUINDI ammazzo mio fratello
Mi spiego meglio.
In entrambe le opere la razza umana è confinata, lo spazio di crescita e movimento è limitato per una forzatura. La forzatura, l’assenza di libertà, crea attrito. In entrambe le opere il passato era migliore, il furto di quel passato è vissuto come un furto della “cosa propria” e genera attrito. In entrambe le opere ogni tentativo di conquistare un futuro diverso e migliore è frustrata, fallisce inesorabilmente, e questo genera attrito.
E si arriva al nodo principale. Mentre punta il dito contro il Titano o i Titanici che camminano all’orizzonte, il ceto egemone soffia su tutto quel attrito come il mantice nella forgia, incanalandolo nel proprio capitale di potere politico.
Le assonanze con la nostra storia contemporanea sono assordanti.
Il concetto che emerge con prepotenza nella cicatrice tra queste due narrazioni è la Lotta Tossica, una spinta che, pura nell’intenzione, è viziata da una propaganda malata, sterile se non addirittura necrofaga. Tanto gli uomini dei cunicoli con le loro lance, quanto gli esploratori di Isayama con le loro avanzate 3D Maneuver Gear (il merchandising deve vendere!), sono infettati da aggressività e violenza fino al midollo. In Attack on Titan vengono mandati a farsi divorare dai Giganti, affinché il loro martirio susciti altra rabbia e altri martiri. Per tutti loro l’importante è seguire l’indice indicatore del capo, ripetersi nella propria mente la lunga filippica galvanizzante innestata nella propaganda (Tenn, in questo ambito, fa un ottimo lavoro) e poi buttarsi al macello. A primo acchito sembra quasi che, ridotto lo spazio fisico per l’umanità, ne consegua una regressione intellettiva ed empatica.
Non a caso, guarda un pò, i protagonisti svolgono la loro funzione di “meccanismo storto che fa saltare la catena” fermandosi, ragionando sul contesto complessivo, trattenendo i testosteroni. Un atteggiamento ovviamente eretico agli occhi della leadership.
Una buona parte dei Giganti di Isayama sono “accessibili”, si possono uccidere, salvo poi essere travolti dal loro numero. I Tinanici di Tenn, invece, sono esseri assai più smisurati e proprio la violenza dei suoi “uomini nei muri” rivela un lato più oscuro, più viscido.
In un capitolo breve, viene rivelato che catturare uno Straniero, ossia un individuo isolato di un’altra comunità (un escluso, l’equivalente di un nostro povero o di un emigrato), é per la tribù dei cunicoli una rara primizia. Non si parla di cannibalismo, ovviamente, ma di una lunga e atroce forma di tortura, resa ancor più terrificante dalla mancanza di descrizioni specifiche, in cui tutta la tribù partecipa con trasporto. Al termine del martirio, ogni torturatore tornerà alla propria miseria con l’idea, puramente immaginifica, di essersi “un po’” vendicato dei Titanici, di aver contribuito “in una qualche vaga forma” al rendere la pariglia ai nemici.
Difficile non trovare corrispettivi con gli aspetti più vili di una società che cerca ossessivamente “Un” colpevole, uno qualsiasi, anziché risolvere davvero i propri problemi, commentando contenta il rovesciamento di un barcone di profughi mentre guarda il telegiornale, trangugiando lasagne.
Un altro punto di sutura tra il carnaio dei Giganti e quello dei Titanici è la Leadership castrante. A fronte di una minaccia incombente, qualsiasi individuo con solo una stellina sul bavero, o due chili di panza in più nel caso degli uomini dei cunicoli, esegue ordini già perdenti in partenza, mentre il già citato ceto egemone controlla più la propria pletora che il nemico all’orizzonte. L’ossessione per il controllo sfocia in colpi di stato, spionaggio, repressioni, decimazioni, sostituzioni di Re etc etc… lo scopo finale dei leader, alla faccia degli ideali di rivalsa e virilità pompati nelle teste dei giovani, è restare lo scarabeo stercorario con la pallina di cacca più grande di tutti; grande, calda e gustosa.
Nell’opera di Tenn ci si spinge oltre: la resistenza alla casta dominante, dai tratti marcatamente fascisti, è composta da una compagine di puri parolai, migliori negli ideali, ma inetti nell’azione e nelle decisioni. L’Organizzatore, attributo e nom de guerre di uno dei ribelli, viene definito come uno che “combatte solo con le parole” e conduce la propria insurrezione peggio dei Lemmings dell’Amiga. Naturalmente, a fronte di una batosta pazzesca per il fallimento della rivoluzione, l’Organizzatore e la sua banda di “cioccolatai” da bar sport, si prendono le loro sante pause di riflessioni senza ovviamente cacciare un ragno dal buco.
Non ci vuole una laurea in scienze politiche per trovare i concetti corrispettivi nella nostra vita quotidiana.
Tra Fascisti e Parolai, anzi, in mezzo alla triangolazione di Giganti/Titanici, Fascisti e Parolai, l’unica speranza per i Protagonisti di entrambe le narrazioni è una sana accelerazione sul pedale dell’autocoscienza e del sano individualismo, sfuggendo al fascino della Lotta Tossica che continua a macinare carne umana.