di Giorgio Bona
Nadežda Mandel’štam, Speranza contro Speranza. Memorie I, pp. 656, € 28, trad. di Giorgio Kraiski, Settecolori, Milano 2022.
Mi accompagna la voce di Cristiano Godano, il cantante della Rock Band cuneese Marlene Kuntz che intona “Osja, amore mio” dall’album del 2013 Nella tua luce, una canzone sulla straziante lettera scritta da Nadežda Mandel’štam dopo il secondo arresto del marito Osip.
Quelle note sono presenti dall’inizio della lettura di questo libro intenso e profondo Speranza contro Speranza della vedova di uno dei più grandi poeti del ‘900, Osip Mandel’štam.
Nadežda in russo vuol dire proprio speranza e il titolo è già un buon viatico per capire che Speranza non ha alcuna speranza.
È un imperativo, ma anche un grande insegnamento, un tracciato della memoria ancora vivo nel presente, questo primo volume pubblicato in edizione integrale (il secondo, Speranza abbandonata, è prossimo all’uscita sempre per le edizioni Settecolori).
I due volumi uscirono clandestinamente in Unione Sovietica negli anni ’60, per essere successivamente tradotti e pubblicati in lingua inglese nel 1970 e nel 1974 infrangendo la cortina di silenzio e aprendo lo scrigno di quella memoria tenuta in cassaforte per tanti, troppi anni.
Con questa testimonianza Nadežda scende nell’inferno del poeta salvandone l’opera dall’oblio postumo, presentandoci con pennellate a tinte fosche la scena letteraria del tempo, popolata da intellettuali che in osservanza al regime gli voltarono le spalle, e altri, pochissimi, che all’amico perseguitato e in miseria ebbero il coraggio di offrire aiuto.
La rappresentazione del dolore non è teatralità. È il sentimento puro di un pianto arcaico.
La memoria è l’elemento cardine di questi scritti. Non soltanto perché si fondano sul ricordo, ma diventano lo scrigno di conservazione di quelle opere che vengono materialmente sottratte durante le perquisizioni e la luce di una mente che si accenderà per chi verrà dopo.
Che dire? Non basta un libro fondato sulla memoria per fare uno scrittore, anche se questa è circondata dal buio dove l’unico spiraglio di luce in questo mondo anemico viene offerto da un puntino luminoso dentro un regime infetto.
Nadežda con questo libro di memorie di alto valore letterario ci appare come un’eroina, rappresentante della resistenza al regime. Questa figura minuta, delicata, con un viso angelico, per decenni visse alla macchia facendo i più disparati mestieri.
Gli scritti di Nadežda Mandel’štam mostrano una forte tensione letteraria, sono una rivoluzione dentro la rivoluzione tradita. Persino la paura, terrore più che paura, scompare, perché, come diceva lei stessa, chi vive sotto una dittatura si permea del senso della propria impotenza e trova consolazione nella sua incapacità di reagire.
La delazione è come la peste, contagia il paese, diventa una sorta di sindrome collettiva. Il delatore è convinto di mettersi in mostra davanti agli occhi del regime e non sa che domani le parti si possono invertire, col risultato di farlo trovare inaspettatamente nel ruolo del perseguitato.
Se la letteratura mondiale conosce gran parte l’opera di Osip Mandel’štam lo si deve al grande lavoro di Nadežda; e se si riconosce la grandezza di Mandel’štam non deve passare in secondo piano il valore narrativo di sua moglie. Che con quest’opera rende giustizia a un grande poeta umiliato in vita da persecuzioni crudeli e dopo la morte avvolto da una gelida cortina di silenzio.
La sua prosa non trascura il minimo dettaglio, con dovizia di particolari. La mente è stata ferma e ha immortalato come una fotografia istantanea ogni particolare di quei momenti terribili. Ripercorre la vita con Osip attraverso la memoria e il ricordo come se li vivesse proprio allora, attimo dopo attimo, ricostruendola con minuziosa pazienza, raccontando in presa diretta anche la stesura del suo lavoro.
Tali memorie sembrano davvero un’opera di resurrezione ripercorrendo quella che è stata la stessa vita, nella sua autenticità, senza tralasciare nulla, come se il passato fosse un presente continuato.
Da queste pagine emerge non solo una condizione di disperazione, ma si comprende come un poeta messo in ginocchio davanti alla storia abbia potuto lasciare dei versi bellissimi perché emerge non soltanto la magia potente della parola ma il suo peso e il suo valore. Una parola illuminante e dolorosa, una rivolta contro il potere, un cardine irrinunciabile della vita.
E qui ci racconta il primo arresto del marito, nel maggio 1934, mentre Anna Achmatova era loro ospite, fino alla deportazione che condusse il poeta a morire (27 dicembre 1938) in un campo di transito mentre veniva condotto nel lager di Kolyma.
Speranza contro Speranza è la storia di un amore vissuto oltre la vita, quasi un superamento di questa vita, qualcosa di più potente e determinato.
Non c’è nulla di sentimentale in tutto questo e non si fanno sconti a un regime che ha passato ai raggi x un’intera classe di intellettuali e poeti per spegnere la loro luce.
Ecco allora il vero valore della rivoluzione giusta e bella secondo Nadežda: la poesia supera di gran lunga quel prodigio, quell’intuizione improvvisa e diventa una battaglia ostinata, parola dopo parola, verso dopo verso, ai limiti del possibile sradicando la lingua quotidiana per spiccare il volo.
Se Nadežda non avesse avuto questo coraggio, il gesto prode e temerario di affrontare il sistema con l’arma della sola parola, Mandel’štam sarebbe morto parecchi anni prima e la sua opera sarebbe andata certamente distrutta.