di Gioacchino Toni
Carlo Milani, Tecnologie conviviali, elèuthera, Milano, 2022, pp. 248, € 17,00
«Come possiamo affidare le nostre relazioni a sistemi di cui non sappiamo praticamente nulla, sui quali non esercitiamo alcun potere reale? Non abbiamo contribuito alla produzione delle norme che regolano le interazioni tecniche, e non abbiamo alcun potere. Ma il potere è proprio quello che ci serve per cambiare le cose». «Questo libro parla esattamente del potere, di come gli strumenti in generale siano fonte di potere, e in particolare gli strumenti elettronici che nel XXI secolo vanno sotto il nome collettivo di “tecnologie digitali”, anche se si tratta di apparecchi molto diversi fra loro. Parla di come possiamo non solo immaginare, ma anche concretamente operare in modo che il potere possa essere esercitato in maniera diversa. Per fare ricreazione, costruire spazi dove può fiorire il mutuo appoggio». Così Milani riassume l’intento che si pone con il suo volume dedicato alle “tecnologie conviviali” e all’“attitudine hacker”.
L’autore inviata a concepire gli strumenti elettronici come «potenziali alleati per costruire relazioni di mutuo appoggio»; se questi non si rivelano utili a «diffondere il loro potere per realizzare autogestione e abolire il principio del governo a tutti i livelli», allora non sono che «strumenti di oppressione, individuale e collettiva». Il potere deve essere distribuito affinché non si accumuli strutturando gerarchie di dominio; soltanto attraverso la sua distribuzione si può ambire ad incrementare la libertà e l’uguaglianza di tutti e tutte.
Milani delinea la pedagogia hacker derivandola da una rielaborazione/intersezione dell’apprendimento esperienziale di David Boud, Ruth Cohen e David Walker, dei metodi d’azione di Jacob Levi Moreno della pedagogia critica di Paulo Freire. L’attitudine hacker prospettata dall’autore si fonda dunque su un particolare atteggiamento nei confronti delle tecnologie presupponendo «un essere umano che, nelle sue azioni concrete, mir[i] a ridurre l’alienazione tecnica, cioè il baratro che nel corso dell’evoluzione è stato scavato nei confronti degli esseri tecnici».
Intendendo con tecnologie «l’incarnazione concreta, materiale, tangibile di teorie e procedure che sono dei modi di fare, modi di costruire, ovvero tecniche», nell’analizzare l’articolazione delle tecnologie contemporanee in reti di “esseri tecnici”, Milani attinge all’idea di situated knowledges sviluppata da Donna Haraway. Indicando con “esseri tecnici” quelli che solitamente vengono rubricati come “oggetti tecnologici” o “strumenti tecnologici” l’autore sostiene che poiché questi «coabitano con altri esseri viventi e non sul pianeta Terra, e sono frutto delle loro interazioni tecniche, ne condividono le dinamiche evolutive di base, ossia adattamento (dalla funzione all’organo) ed esattamento (dall’organo alla funzione)».
Riprendendo Murray Bookchin, Milani distingue tra retaggio della libertà e retaggio del dominio sottolineando come l’accesso al potere rappresenti la «precondizione chiave di ogni possibile libertà. Senza potere, cioè senza possibilità di intervenire nella produzione e nell’applicazione di norme, non esiste libertà», dunque, nella consapevolezza della mutevolezza della “natura umana” e della “natura tecnica”, l’autore prospetta alcune linee guida utili a sviluppare “tecnologie conviviali” di liberazione reciproca.
Un primo passo in tale direzione presuppone l’inversione di quella tendenza a delegare la relazione con gli “esseri tecnici” agli “esperti” ed il rifiuto della «comodità della situazione di obbedienza quotidiana, obbedienza all’impulso di consultare il nostro cellulare, obbedienza alla coazione di ripetere ancora e ancora gesti studiati per provocare un piacere tanto effimero quanto tossico».
Limitarsi a guardare con superiorità agli esserei umani che cercano di ricavare dagli “esseri tecnici” «scariche di neurotrasmettitori, significa ignorare i meccanismi basilari delle interazioni effettive». Alle macchine opache e incomprensibili si possono contrapporre «macchine aperte, di cui si vede e capisce il funzionamento». Alla tecnocrazia imperante si devono saper contrapporre «metodi di collaborazione conviviale, concreti e semplici da mettere in atto», imparando a «selezionare le caratteristiche adeguate a sviluppare convivialità sia negli esseri umani, sia negli esseri tecnici». «A partire dalla propria prospettiva situata, chiunque può acquisire potere e diffonderlo, per aiutare a ridefinire in senso libertario le norme che regolano la vita sociale, di cui la tecnica è parte integrante».