di Francisco Soriano
Per reggere la bandiera di un’idea bisogna avere mani poderose e piedi profondi come radici. Nel nostro Paese si assiste da tempo e costantemente alla destrutturazione e, per meglio dire, alla cancellazione di simboli e riferimenti valoriali della lotta per i diritti dei lavoratori e dei disoccupati.
Questa azione è perpetrata in questi mesi con scientifica consapevolezza da chi, al potere, è entrato dalla porta principale. Il tentativo riuscito ormai su più fronti, nella comunicazione, nella politica, nell’economia, nel lessico, sta definendo la conquista degli ultimissimi avamposti che rappresentano, al di là di come la si pensi, gli ultimi baluardi di resistenza democratica a forme di neofascismo. Nessuna retorica, ci rimane solo un lucido racconto della strategia, dell’insulso attacco e depauperamento culturale di questo Paese, ormai prono a ogni oscena propensione a legittimare e adombrare un modello sociale ed etico, nella visione di un mondo diverso, conservatore, liberista, talvolta neofascista e oscurantista.
L’invito di partecipazione al Congresso della CGIL, al presidente del consiglio, lo ha fatto recapitare il segretario generale Maurizio Landini. Sorpresi, eravamo piuttosto ignari delle qualità contorsionistiche di Landini: queste ultime farebbero impallidire dall’emozione qualsiasi astante presente in uno spettacolo circense. Ma non si era in un circo bensì nella cattedrale intonsa, fino a questo momento, della CGIL, cioè quello spazio definito e identitario di coloro i quali con immane senso del sacrificio, anche a costo della propria vita, hanno combattuto contro ogni forma di autoritarismo o forma di potere fra i più odiosi e criminali: come il fascismo.
Questi i fatti. L’eroica presenza del presidente del consiglio al Congresso della CGIL è stata fortemente voluta dal segretario generale del più grande e rappresentativo sindacato italiano che, con tempismo straordinario, affermava la necessità impellente di questo dialogo anche con chi non la pensa allo stesso modo. Gli faceva da eco il premier del governo in un’armonia, anche dialettica, davvero sconcertante, ritenendo utile parlare con tutti: non avrà creduto ai propri occhi quanto straordinaria fosse stata questa occasione per presentarsi legittimato e invincibile in un contesto storicamente ostile. In definitiva, se gli (il presidente del consiglio) fosse stato impedito di parlare, il grado di inciviltà degli oppositori sarebbe stato finalmente e senza dubbio certificato. Se invece gli fosse stata “concessa” la possibilità, non avrebbe fatto altro che dimostrare quanto fosse legittimamente insignito del suo potere di interlocutore. E così è stato, dando uno scacco matto al sindacato in una partita con un solo giocatore. Il premier così affermava: Non mi sottraggo a un contesto sapendo che è un contesto difficile. Non ho voluto rinunciare a questo appuntamento in segno di rispetto del sindacato. All’entrata in sala del presidente del consiglio, una parte residuale di iscritti al sindacato, in particolare della FIOM, uscivano in segno di sdegno, intonando Bella Ciao. In perfetto stile sciovinista, il presidente rispondeva, piccato da questa parentesi contestataria: Mi sento fischiata da quando ho 16 anni. Potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo. Non mi sottraggo a un contesto sapendo che è un contesto difficile. Non mi spaventa. La ragione per cui ho deciso di essere qui è più profonda. Oggi si celebra la nascita della nostra nazione. Con questa presenza, con questo confronto, questo dibattito, possiamo autenticamente celebrare l’unità nazionale. La contrapposizione è positiva, ha un ruolo educativo, l’unità è un’altra cosa, è un interesse superiore, è il comune destino che dà un senso alla contrapposizione.
Non si nutrono dubbi sulla funzione educativa della dialettica e della contrapposizione nella sua positività, soprattutto quando i confronti avvengono in contesti altamente democratici senza la necessità, però, di sentirselo dire da questo presidente del consiglio, che ha sfidato le più severe evidenze lapalissiane per confortarci con la sua pedagogia senza senso e senza storia. Anche perché, sulla storia e sulla cultura della più ignorante destra europea a cui fa ideologicamente riferimento il nostro presidente del consiglio, ci sarebbe da discutere con una certa dose di preoccupazione. Non è necessario ricordare anche i crimini contro l’umanità, le guerre, le leggi razziali, i campi di sterminio e quant’altro per capire che cosa sia stato, durante il fascismo, questo Paese?
Come già fatto intuire precedentemente, le parole del premier sono apparse abbastanza scontate dal punto di vista di chi le sente da tempo, peraltro sbandierate nei telegiornali mainstream e dai giornali genuflessi: la legge delega per la riforma fiscale è stata frettolosamente bocciata da alcuni. Si concentra sui più fragili, sul ceto medio. […] Lavoriamo per una riforma che riformi l’efficienza della struttura delle imposte, riduca il carico fiscale e contrasti l’evasione fiscale. Infatti, il leader dei fratelli nostrani conosce perfettamente il teorema gradito ai potenti e agli oppressori: non pagare le tasse e sfruttare in piena deregulation coloro i quali non ce la fanno più neppure ad arrivare alla seconda settimana del mese. Questi ultimi rappresentano la maggioranza di chi, al contrario, paga regolarmente le tasse. La rottamazione delle cartelle esattoriali e i condoni sono la “prova provata” di quanto sosteniamo, ma la cecità assale gli italiani come in un romanzo di Saramago. Nel pieno del discorso, inoltre, da chi dell’ideologia ne ha fatto una bandiera intorno alla quale combattere eroicamente, difendendone l’origine e rivendicandone l’identità, si è sentito dire dal pulpito: Credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse alle nostre spalle e invece in questi mesi, purtroppo, mi pare che siano sempre più frequenti segnali di ritorno alla violenza politica, con l’inaccettabile attacco degli esponenti di estrema destra alla Cgil e le azioni dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br. Accuse che ci fanno impallidire se si ricordano gli strali di odio ideologico lanciati dai fratelli nostrani nei confronti degli immigrati, ad esempio, buoni solo a essere carne da macello per i malfattori e sfruttatori del nostro Paese, copiosi dal nord al sud; le posizioni omofobe e apertamente in contraddizione con la laicità dello Stato, infine le promesse dell’abolizione delle accise, le accuse al potere finanziario che sono utili solo a quella parte di elettorato protofascista e populista, le rivendicazioni identitarie della cristianità, razziste, xenofobe e omofobe, e la revanche di una cultura dei posteri che risale all’antica Roma, a Dante Alighieri e altre sciocchezze che trovano un vuoto funzionale paradossalmente utile solo a gestire il potere e controllarlo da ogni punto di vista.
La retorica è proseguita fitta, man mano che il discorso del premier si è dipanato prevedibilmente in parole senza l’impellenza di essere tradotte se non a sostegno dei veri detentori dell’economia e del potere di questo Paese mentre, alla faccia del patriottismo sbandierato come un mantra in campagna elettorale, si passa a smantellarlo con la riforma in salsa leghista di un’Italia “differenziata” a doppia velocità economica: Partiamo da un dato e cioè che l’Italia fa registrate un tasso di disoccupazione del 58,2%, un gap che continua ad aumentare. La situazione peggiora se si considera quella femminile che registra 14 punti in meno – ha continuato Meloni – I salari sono bloccati da 30 anni, dato scioccante perché l’Italia ha salari più bassi di prima del ‘90 quando non c’erano ancora i telefonini. In Germania e Francia sono saliti anche del 30%. Significa che le soluzioni individuate sinora non sono andate bene e che bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica. Banalità dette in cattiva fede come pianificazione futura, semplicistica, farcita di ricette ben collaudate da sempre (sulla inutilità delle ricette economiche precedenti conveniamo addirittura con il premier), non da governi composti di pericolosi comunisti e anticapitalisti, ma da bravi tecnocrati e liberisti con le loro belle cravatte da persone perbene fingendo anche di essere di sinistra. Lo svelamento tuttavia si è definitivamente realizzato: questi ultimi non erano di sinistra e, infatti, sono arrivati gli originali.
Dunque, il premier ha ben riferito di essere contro il reddito di cittadinanza, perché la ricchezza si produce con il lavoro prodotto dalle imprese e lo Stato è delegato a creare le regole giuste per poi redistribuire gli introiti. A quali regole si riferisca non è dato sapere, ma le prevediamo. Come le tutele crescenti di Matteo Renzi, astro nascente della sinistra italiana (quella delle ZTL), presentate come una soluzione moderna e avveniristica, ma che sono servite solo alla cancellazione totale e tombale (era già in parte avvenuta), dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. La posizione più insopportabile, tuttavia, è stata la presa di posizione contro il salario minimo, nel silenzio assordante dei presenti al Congresso: Il Governo ha voluto dare in questo senso un messaggio destinando 300 milioni di euro per un più significativo stipendio per i lavoratori della scuola, senza contare l’intenzione di innalzare le pensioni più basse e di tagliare di 2 punti percentuali il cuneo fiscale che il governo precedente aveva immaginato finisse quest’anno. Vogliamo retribuzioni adeguate – ha detto – ma voglio ribadire che per raggiungere questo obiettivo il salario minimo legale non è la strada più efficace perché la fissazione per legge di questo non sarà una tutela aggiuntiva, rispetto a quella della contrattazione collettiva, ma potrebbe diventare sostitutiva, facendo un favore alle grandi concentrazioni economiche. La soluzione, a mio avviso, invece è stendere contratti collettivi a vari settori e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro.
Nel calderone delle proposte inderogabili, il presidente ha poi chiarito che uno dei grandi temi è la questione degli ammortizzatori sociali che dovrebbero tutelare tutti i lavoratori, siano autonomi o dipendenti, parlando del problema della “glaciazione demografica” come parte integrante della crisi: sarebbe sanabile solo se gli investimenti verranno utilizzati per rilanciare la centralità della famiglia (immagino tassativamente cristiana). Molte le perplessità sollevate circa la proposta di far diventare l’Italia un hub di approvvigionamento energetico d’Europa e del Mediterraneo. Addirittura, il progetto è di aiutare i paesi africani a “vivere bene”: il piano Mattei sarebbe il modello di collaborazione non predatoria e la risposta più umana contro l’immigrazione. Dunque, il ragionamento del presidente del consiglio si sposta a questo punto su una proposta di riforma costituzionale, sempre funzionale a volgere le sorti del Paese in senso autoritario, cioè presidenzialista: Se in passato non c’è stata una chiara scelta su politiche industriale è perché la politica ha avuto un orizzonte breve. Una politica industriale di lungo periodo non può essere accompagnata da governi che durano qualche mese. Non ci rendiamo conto di quanto abbiamo pagato in questi anni la nostra instabilità politica, in termini di affidabilità internazionale, in termini di concentrazione delle energie e delle risorse su grandi obiettivi strategici. Questa è la ragione per cui continuo a essere certa che una riforma in senso presidenzialista, o comunque un’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, sia, per rispetto della volontà popolare ma anche per stabilità, una delle più potenti misure di sviluppo che possiamo immaginare per questa nazione.
Il disastro è compiuto. Gli oppositori del mainstream, da Gramellini alla Lucarelli fino a Jovanotti, che da genio incontrastato e datato del green wash ben cantava con una abilità profetica da far invidia a Nostradamus, di credere in una grande chiesa che da Che Guevara arrivi fino a Madre Teresa di Calcutta. Come dice qualche giornale di destra è quello che è accaduto con il presidente del consiglio in carica che, ci pare, di umanamente cristiano abbia poco di Madre Teresa se non qualche scolorita espressione verbale. Ricevendo i familiari delle vittime di Cutro, ha chiesto se i disperati erano coscienti del pericolo che correvano. Verrebbe da piangere, ma siamo soliti arrabbiarci e rimanere costernati di fronte a tale disumana consapevolezza. Quando accusava i fantomatici governi di sinistra, nello specifico quello di Matteo Renzi, periodo in cui avvenne uno dei più tragici naufragi della recente storia di migrazioni nel Mediterraneo, fece appello alle dimissioni del su citato premier accusandolo di strage colposa. Perché non debba valere anche per l’attuale presidente del consiglio è ricercabile nella memoria corta degli italiani e nella loro ormai incapacità di discernere il televisivo onirico dal reale drammatico.
Riassumendo, il nostro presidente del consiglio assicura, nella cattedrale (il sindacato) della lotta alla povertà, in difesa del lavoro e la tutela degli ultimi, che non garantirà più il reddito di cittadinanza, riformerà il fisco con la flat tax (una misura che andrebbe proprio contro la redistribuzione della ricchezza prodotta), l’inconsistenza della proposta del salario minimo, la riforma della Costituzione in senso presidenziale.
Per quello che ci riguarda, la presenza del presidente del consiglio al Congresso CGIL è un messaggio simbolico orribile che disorienta; è fortemente disarmonico, improprio, inutile, non richiesto. Un errore imperdonabile da attribuire a Maurizio Landini. Forse è la testimonianza più lampante dello stato del sindacato italiano, proprio in un momento in cui milioni di persone scendono nelle piazze transalpine, guidate dalle organizzazioni dei lavoratori per protestare contro la riforma delle pensioni di Macron. Un dialogo nato morto sul nascere, in questo Congresso, per le premesse e le visioni ben enucleate dal presidente del consiglio italiano. Questa enorme sciocchezza compiuta da Landini, che mostra segni di inconciliabilità con il ruolo assegnatogli nel sindacato, non ha avuto senso per motivi strategici, per questioni di comunicazione, per pudore e buon senso, perchè il presidente del consiglio ha una responsabilità umana e politica senza precedenti nei confronti di 80 esseri umani annegati nelle acque di Cutro. Non si intravede un solo motivo sensato nell’invito di Landini, se non quello di fornire al presidente del consiglio una vittoria schiacciante su un ultimo baluardo di opposizione, avvenuta peraltro con parole vuote, desuete e ricette economiche del secolo scorso.
Il presidente del consiglio, nel suo stile consueto, ha mentito con ipocrisia indicibile, mostrandosi addirittura comprensivo e quasi materno, quando ha condannato l’assalto di qualche mese fa alla CGIL, orchestrato dai vergognosi fascisti Roberto Fiore e Giuliano Castellino di Forza Nuova. Il presidente in quell’occasione, all’opposizione, aveva però dichiarato che non conosceva la matrice dell’attentato, che la responsabilità era addirittura del governo e, se dovevano chiedersi le dimissioni di qualcuno, quelle dovevano essere avanzate al ministro Lamorgese. Landini ne ha memoria?
Credo che Maurizio Landini non potrà essere ricordato, nella storia del sindacato, per una sola vera vittoria in rappresentanza dei lavoratori, dei disoccupati, degli ultimi derelitti, dei migranti.
Ha banalizzato il male e ha normalizzato con questo gesto enorme e stupido i neofascisti. La sua rielezione è un pessimo segnale di una sinistra senza spinta propulsiva e senza identità, laddove è necessario invece ritrovarla e riproporla in forme diverse di lotta con un antagonismo serio e tangibile.