di Nico Maccentelli

Cesare Battisti, sepolto all’ergastolo, continua la sua opera di scrittore e di editor nonostante tutte le difficoltà che incontra quotidianamente. Ultimamente ha denunciato con due reclami al tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia un episodio descritto qui, qui e qui, giusto per farsi un’opinione. 

Che chi è preposto a farlo accerti i fatti, senza che come molto spesso finisca tutto in cavalleria, è auspicabile. Ma al di là di una singola vicenda da accertare, che un governo e parti politiche di destra ignorino da sempre i più elementari diritti della persona in un luogo di restrizione della libertà come il carcere non mi stupisce. Ma parimenti non mi stupisce neanche la posizione della cosiddetta sinistra, sempre pronta a blaterare di diritti umani quando conviene, ma latitante se non connivente con la repressione e il clima di emergenza nei confronti dei protagonisti della sinistra antagonista degli anni ’70. 

Destra e “sinistra” così come sono sulla stessa lunghezza d’onda riguardo la guerra e l’invio di armi ai nazisti di Kiev, anche sulla repressione non si distinguono l’una dall’altra. E se non ho mai creduto al carcere come strumento di riabilitazione, ritenendolo solo un dispositivo di punizione fino all’annientamento della personalità attraverso la compressione dei diritti, fino ai più elementari, credo ancor meno in specifico a questo sistema discriminatorio e repressivo come quello carcerario italiano. 

Ci credo meno che meno quando un ministro esibisce il prigioniero come una belva in gabbia e quando da sempre alla restrizione tra quattro mura si aggiunge il libero arbitrio dell’intimidazione e della violenza sui detenuti. Soprattutto quando esiste il 41bis, prosecuzione della legislazione emergenziale (do you remember l’art.90?), già giudicato tortura dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (vedi qui) e ancora più spudoratamente dispositivo politico di annientamento su detenuti antagonisti che nulla ha a che vedere con lo scopo (o pretesto?) che politici e legislatori si erano dati per istituirlo: troncare i legami dei capi mafia detenuti con l’esterno. Vedi la lotta dell’anarchico Cospito, in sciopero della fame a oltranza.

La storia del nostro paese e delle sue lotte popolari è fatta anche delle condizioni di vita dei prigionieri, di quella molteplicità di soggetti, politici o meno, la cui presenza  e modalità di trattamento nelle carceri servono in fin dei conti, al di là dei reati veri o presunti, a legittimare un regime borghese e classista, un insieme di valori e narrazioni dominanti, che sono quelle dei gruppi più forti ed egemoni in questa società.

In questo contesto, dunque, ritengo importante proseguire l’impegno del nostro Valerio Evangelisti, dando spazio alla scrittura di Battisti, che carcere o meno è e resta uno scrittore e oggi anche un editor che dà spazio e stimolo ai tanti detenuti che scrivono. Battisti è uno scrittore alla faccia delle riscritture utili al regime (vedi il recente programma sulla RAI) perché un’opera d’arte, così come il suo autore, sono tali in quanto considerati così dai fruitori dell’opera stessa e dall’opinione che questi hanno degli artisti. La censura può solo colpire chi produce cultura e informazione critica, gli scrittori, i giornalisti che non si sono venduti, ma non può alterare ciò che sono, o che sono stati, il loro percorso culturale e artistico durante e dopo la loro opera. 

Alla presentazione dell’ultimo romanzo di Battisti, “l’Ultima duna”, che ho recensito su Carmilla tre mesi fa, c’era un folto pubblico presso la libreria Ubik di Bologna. È ho già detto tutto.

Per il resto, ecco un altro racconto di Cesare. E ne seguiranno ancora.

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L’albero delle storie

di Cesare Battisti

 Le apparenze ingannano, ma sono ancora ciò che abbiamo di più solido. Lo sa anche Vlady che ha solo dieci anni. Un’età in cui è ancora possibile cogliere gli istanti che passano nell’aria che respira e percepire che il presente gli è interdetto. Lui sa che la guerra non è fatta solo di bombe che cadono dal cielo, di fughe, di pianti, i corpi dilaniati. Sta negli sguardi vuoti dei sopravvissuti, nel silenzio afflitto del rifugio sotterraneo. La guerra sta nei gesti gravi dei grandi, nel loro inconfessabile terrore.

Ogni volta che sguscia allo scoperto, Vlady guarda le macerie tutt’intorno e sente quanto poco vale realmente la su vita. Sa che non dovrebbe esporsi tanto, farà stare in pensiero i suoi. Al rifugio tutti credono che fuori non sia rimasto niente, non sanno però dell’Albero e delle fughe che lui fa per andarlo ad ascoltare. Vlady è guardingo, ma non sa chi siano i nemici, di essi conosce solo il fagore degli spari. E una paura senza volto è troppo vaga per disanimare.

La guerra lui la sente sotto i piedi quanfo stringe i denti e corre incontro all’Albero delle storie. L’insidia è il palpito del sangue assorbito dalla terra, sta nell’alito pesante della quiete. Vlady corre a perdifiato al calar del sole, pregustando il suono di magiche parole. Il suo non è un albero speciale, offre ombra a tutti quelli che lo vogliono ascoltare. Racconta storie di mondi vecchi e nuovi, di (…) che rincorrono la pace. La sua è una lingua universale, dice di giochi, di sogni e di prestigiatori, di angeli erranti senza ali. 

Sotto le sue fronde la guerra regredisce, dalle rovine rinascono le case, la mamma stende ancora i panni sul balcone, mentre nel cortile della scuola è un gran vociare. l’Albero racconta che così è sempre stato, che volerlo differente è solo un’illusione, un abbaglio di inventori che non sanno amare.

La storia l’ha sentita tante volte, Vlady la ripete tutto il giorno sotto terra, eppure ogni volta sembra nuova. l’Albero sa quel che dice, ha radici più grandi della guerra e la sua voce è solo melodia; combina le parole con la musica dei fiori e ogni adagio ha un profumo differente.

Resta poco del giorno, ma Vlady non è sazio di ascoltare, vuole il cuore debordante di vita per inondare di speranza il rifugio sotto terra. Vuole portare con sé il canto degli uccelli, la filastrocca degli insetti a primavera, la vita che fisorge dalla cenere. E la sorpresa dei signori della guerra, il tornare docilmente al posto loro, come bravi nani da giardino.

Si fa notte, sul rifugio è spuntata una stella. l’Albero delle storie lo saluta con una lieve inclinazione della chioma, come per sigillare un accordo su qualcosa che Vlady ancora ignora.

 

Illustrazione di Nico Maccentelli

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