di Francisco Soriano
che ezra pound non si sentisse legato in particolar modo a movimenti e correnti era ben chiaro, salvo diventare lo spirito/motore di avanguardie letterarie che si identificavano in un prisma di sperimentazione di forte contrasto alla tradizione. visionario e profeta al tempo stesso, pound non tradì mai il personaggio, destinato a durare per lunghissimi anni, fra tragedie e drammi personali davvero incredibili.
dopo essersi identificato (per un lasso di tempo corrispondente alla vita di una falena) nell’avanguardia poetica imagista, aderì quasi parallelamente alla vague vorticista. pound ben definì il neonato movimento come frutto di un “vortice quale punto di massima energia”. infatti, fu chiaro il riferimento a una “certa tendenza della vita al dinamismo” e alla categoria della velocità/tempo che trasformava e capovolgeva antiche concettualizzazioni in ogni campo dell’esistenza umana (erano gli inizi del novecento). questa avanguardia nacque e si generò agli albori della deriva del primo conflitto mondiale fra potenze del vecchio continente: il vorticismo si caratterizzò in quei frangenti anche per la caratteristica di celebrare le parole con una certa aggressività, dileggiando e contrastando con accanimento il sentimentalismo stucchevole e autocompiaciuto prodotto per secoli dal mondo letterario e artistico anglosassone.
il teorizzatore del movimento, come già era accaduto durante l’emersione del fenomeno imagista, non fu propriamente pound (bensì t.e. hulme) e, nel caso del vorticismo, fu percy windham lewis a dettare le linee concettuali che avrebbero reso questa avanguardia così dirompente e interessante. egli rese note le sue argomentazioni nella rivista “blast”, nel 1914, co-firmando insieme agli artisti henri gaudier-brzeska, william roberts ed edward wadsworth, il famoso “manifesto del vorticismo”. pound invece era il profeta indiscusso, il visionario, il deus ex machina di ogni rottura e di qualsiasi contrasto si verificasse nel mondo della poesia. abbandonata la sua amata venezia, giunse a londra per prendere parte alla vita attiva di questa nuova energia letteraria e artistica: era il 1908. i vorticisti si confrontarono con gli estremisti dell’insularità, che continuavano a vivere nel mito di una cultura letteraria incline alla conservazione e alla tradizione. evidentemente si sentivano intoccabili nel confortevole spazio dorato del passato. tutto però sarebbe stato spazzato via dalla inesorabile erosione, provocata da una nouvelle vague valoriale e da movimenti che penetravano con una certa aggressività nel ventre molle di un mondo stantìo, poggiato su malferme e ormai inconsistenti convinzioni artistiche.
in quegli anni, lo stesso movimento fu incline alla reazione/contrasto anche nei confronti dell’avvento di altre dinamiche e correnti, quali il cubismo e il futurismo. infatti, lo stesso marinetti, con la sua indole invadente fu particolarmente attivo in mostre e conferenze, proposte ininterrottamente dal 1910 al 1912. furono tentativi di egemonizzare il panorama culturale del tempo e, tentare senza riuscirvi, di far convergere il vorticismo in una più ampia proposta futurista. fu un momento importante della storia dei movimenti in quegli anni fecondi: fra di loro (futuristi/cubisti/vorticisti) sussistevano alcune affinità nella visione del mondo, nella poesia, nella letteratura e nell’arte. “osmosi” innegabili come nel caso del concetto del “dinamismo plastico” e, in particolare, della cosiddetta “macchinolatria/dinamicomania” tipica dei profeti del vorticismo.
vocazione alquanto anarchica, verrebbe da dire, soprattutto all’inizio di questa storia artistica e letteraria insieme, e non nell’accezione della “confusione”, del disordine, del caos, come qualcuno con miopia disarmante accennava. inaccettabile concettualmente e nella realtà delle cose ritenere che il tutto fosse nato dall’istinto senza regole e, comunque, da uno slancio poco definibile. al contrario, era un modo per consentire a nuove regole e nuove sovrastrutture di autodeterminarsi in poesia, arte e letteratura e, soppiantare, finalmente, il vecchiume e l’irriducibile immobilismo di coloro i quali non sentivano lo scampanare a morto della letteratura vittoriana.
come non ricordare il “rock drill” di jacob epstein, del 1913: un manichino mastodontico e inquietante come la “venere”, opera del 1917. i capolavori di quei giorni ci mostrano generalmente una tendenza “eclettica” che si definiva, tuttavia, per forme astratte e geometriche, dove il punto nodale rimaneva l’abiura al figurativismo come era stato concettualizzato fino ad allora. molte sono le opere che rimangono a testimoniare il periodo, come nel caso della tela di percy windham lewis, del 1915, “la folla”. non poteva mancare, oltre alla serie di foto su pound, la testa del poeta in marmo scolpita dal francese “espatriato” henry-gaudier-brzeska e, “i fanghi”, di david bomberg. la stessa rivista “blast”, ad esempio, mostrava una copertina eccentrica e modernissima dal colore rosa e, soprattutto, per la definizione delle scritture in diagonale sulle pagine con una grafica iper-innovativa per i tempi. vi scrissero, oltre a pound, t.s. eliot, rebecca west e lewis. fra gli artisti più intensi non può essere dimenticato christopher r.w. nevinson con i suoi “uomini in marcia”, del 1916, con una tecnica pittorica dai chiari riferimenti artistici che riconducono alla pittura del nostro boccioni. nevinson fu un personaggio di grande rilievo: era figlio del giornalista e corrispondente di guerra h. nevinson e di una scrittrice famosa, margareth nevinson, che lottava in patria per i diritti delle donne. fu, inoltre, uno dei fondatori dei cosiddetti “neo-primitivi”, un gruppo di artisti influenzati nella realizzazione dellle loro opere dai maestri del rinascimento italiano.
non solo questi capolavori venivano esposti al doré, ma anche al penguin club di new york e alla camera club della capitale inglese dove si potè ammirare l’opera di alvin langdon coburn: le sue memorabili “vortografie”, ritratti astratti dei vorticisti più insigni del tempo come pound, epstein, lewis e wadsworth, fotografati sia nelle loro abitazioni che nei loro studi. interessante era la modalità di esecuzione delle opere, cioè fotografie scattate con il “vortoscopio”: cominciò proprio allora l’era della “fotografia astratta” o, quanto meno, si diede origine a una ricerca fotografica mai approcciata prima. l’ideatore di questa stupenda soluzione artistica fu proprio pound.
prima dell’incontro con il poeta, coburn aveva avuto contatti con george davison, un filantropo anch’egli fotografo: quest’ultimo aveva indirizzato il futuro “vortofotografo” alla ricerca mistica, al druidismo, essendo egli legato alla massoneria e alla teosofia. fu così che coburn cominciò il suo percorso artistico modificando l’approccio tecnico all’apparecchio fotografico e, su consiglio di pound, cercò di tentare un ardito passaggio artistico, ritraendo immagini sovrapposte. con questa modalità tecnica si dava un’impressione di vortice e di proiezioni geometriche ai volti e ai corpi dei soggetti. esperimento brillantemente riuscito, nonostante qualche voce discordante, a testimonianza di quanto ancora oggi, non sia stato dato il giusto peso alla grandezza di corburn e alla sua idea di concepire e frammentare la realtà.
questa sorta di caleidoscopio era un congegno con tre specchi uniti che veniva montato sull’obiettivo. in questo modo venivano riflesse e scomposte le immagini direttamente sulla pellicola e, finalmente, mostrate alla storia di questa arte come “vortografie”. in un mese furono scattati 18 ritratti che rimangono oggi una testimonianza indelebile e originale di questa idea fotografica innovativa.
il vorticismo era proteso a dettare i ritmi della “macchina”. conquistava spazi e induceva l’umanità alla conquista di nuove frontiere, con modalità più frenetiche e veloci di quanto lo fossero state fino a quel momento. dal futurismo, il vorticismo si distanziava, smarcandosi soprattutto su un altro punto nodale: la mancanza di una teorizzazione normativa, una cornice definita e rigida dentro cui muoversi, tipica e innegabile condizione, invece, del movimento marinettiano. e, dunque, la frammentazione e le “accelerazioni linguistiche” al pari della loro “stasi”, davano un senso diverso alle parole proprio in rapporto al tempo, nella sua equazione con la velocità, nella loro evoluzione nello spazio: il ritmo e alcune assonanze cambiavano, tuttavia, inesorabilmente e radicalmente. infatti, proprio la frammentazione linguistica e, soprattutto, la “citazione” avevano la loro proiezione/riferimento/punto di tensione alla stregua della tecnica fotografica del montaggio delle immagini-in-movimento, tipiche nel cinema che, guarda caso, proprio in quel momento storico assumeva un’importanza sempre più pregnante. gli stessi manifesti/guide emanati nella rivista blast erano diametralmente opposti a quelli leggibili su “poesia”, il magazine marinettiano: erano consapevolmente redatti senza la presunzione che divenissero teoricamente vitali.
questo movimento va ricordato non solo per il suo innegabile contributo allo sviluppo delle avanguardie, ma perché nonostante la sua breve esistenza, fu in grado di coinvolgere e travolgere in una spirale euforica e densa di soluzioni creative, un gruppo molto esteso di intellettuali e protagonisti del mondo dell’arte: un movimento dinamico e “veloce”, che presto fu fagocitato dalla sua stessa frenesia.