di Gioacchino Toni
Andrea Bellavita (a cura di), La grande Storie e il piccolo schermo. Strategie di riscrittura nel period drama contemporaneo, Mimesis, Milano-Udine, 2022, pp. 294, € 26,00
Quello tra Storia e fiction seriale televisiva è certamente un rapporto fecondo testimoniato non soltanto dalla mole di produzioni di ambientazione storica realizzate negli ultimi decenni ma anche dalla sua rilevanza lungo l’intera storia della televisione generalista soprattutto europea, che, è bene ricordarlo, a differenza degli Stati Uniti, nasce operando come servizio pubblico. In Italia, almeno fino all’arrivo delle televisioni private, con la loro massiccia importazione di prodotti statunitensi, la Storia rappresenta il serbatoio principale da cui attinge la fiction televisiva che si rifà quasi esclusivamente a testi narrativi preesistenti con intenzioni, soprattutto agli albori, di tipo formativo. La scelta dell’adattamento letterario, inoltre, risulta utile al processo di nobilitazione del nuovo medium: il ricorso ad una marca autoriale, insomma, diviene garanzia se non di rigore storiografico, almeno di una riscrittura di qualità.
Al persistente rapporto che la fiction seriale televisiva intrattiene con la Storia è dedicato il volume La grande Storia e il piccolo schermo curato da Andrea Bellavita che evidenzia sin dalle prime pagine come a fronte di una linea di continuità, consistente nella permanenza lungo i decenni di tale rapporto, si registri nelle produzioni più recenti anche una discontinuità a proposto delle modalità di organizzazione della «relazione tra presente (dello spettatore) e passato (degli eventi narrati) e la funzione che tale rappresentazione svolge in un’ottica di comprensione e problematizzazione dei due livelli temporali, e del modo in cui possono reciprocamente interrogarsi» (p. 10).
Soprattutto a partire dalla metà degli anni ’10 del nuovo millennio, sottolinea lo studioso, si assiste a:
il sostanziale ribilanciamento quantitativo nel rapporto tra fiction storiche e titoli ambientati nel presente; l’accorciamento del lasso temporale tra tempo degli eventi raccontati e tempo della messa in onda, a cui corrisponde l’assoluta centralità della seconda metà del Novecento; la disintermediazione rispetto a forme di scrittura precedente, in primo luogo il romanzo; la moltiplicazione dei registri di trattamento e delle forme di ibridazione di genere (p. 10).
È dunque a partire dagli elementi di continuità e, soprattutto, di discontinuità che nel volume si intende costruisce una mappatura di una produzione recente di fiction seriale televisiva che, – ricorrendo sempre più frequentemente ad ibridazioni tra generi e rivolgendosi a una varietà di pubblici –, rispetto a quella precedente, marca importanti cambiamenti sia narrativo-linguistici che di focalizzazione storica.
Insomma, liberatasi dalla necessità di una pre-narrazione letteraria, la Storia «non è più soltanto serbatoio di eventi, fatti, personaggi, ma scenario, playground riconoscibile in termini visivi e culturali, ove ambientare una pluralità di storie che, all’investimento cognitivo-pedagogico e a quella patemico-emozionale, aggiungono una funzione indiziaria, non soltanto dello specifico periodo messo in scena, ma anche verso il presente e la contemporaneità» (p. 13).
Alle produzioni rivolte specificatamente allo spettatore nazionale si aggiungono sempre più collaborazioni e co-produzioni internazionali – differenziate per tipologie a seconda che si tratti di canali genralisti, piattaforme ecc.. – pensate per un pubblico trans-nazionale per il quale vengono privilegiati formati narrativi e linguistici più in linea con la complex-tv e con gli standard cinematografici.
La distinzione tra historical drama – che prevede solitamente un’ambientazione sufficientemente lontana nel tempo affinché lo spettatore vi si approcci con un senso di estraneità e alterità – costume drama – con storie collocabili nel periodo Sette-Ottocentesco – e period drama – che giunge a coprire l’intero Novecento – risulta, secondo Bellavita, poco utile se non fuorviante; il periodo storico contemplato da molta fiction contemporanea, oltre ad essersi notevolmente avvicinato all’attualità, «muove progressivamente dal carattere di salienza storiografica (la Storia che si deve conoscere, ancora in chiave pedagogico-cognitiva) a quello di esemplarità, o di simbolicità indiziaria, in oscillazione tra semplice curiosità per l’inedito o l’extra-ordinario e funzione riflessiva nei confronti del presente» (p. 16). Inoltre, sottolinea lo studioso, si tratta di una forma di condivisione trasversale della Storia che, «anche quando non conosciuta è riconosciuta, riconoscibile, o almeno accettabile, in quanto tale, da parte di pubblici che non ne hanno mai fatto esperienza diretta […] o mediata dall’educazione» (p. 16).
Insomma, quando si parla di period drama, si fa riferimento alla «riproduzione di un periodo diverso da quello del tempo di messa in onda (di norma precedente, ma con estensioni al presente e al futuro, nelle forme della distopia), nei confronti del quale lo spettatore possa percepire uno scarto, una differenza, un’alterità» (p. 16). È forse tale “scarto ridotto”, ma sufficiente a “fare eccezione rispetto alla norma”, ad agire più facilmente sullo spettatore come illuminazione sul presente.
La Storia non è più soltanto serbatoio di racconti, e nemmeno fondale di ambientazione, ma terreno fertile per la ri-scrittura: una riscrittura del passato fondata sulla diversione, la distorsione, lo spostamento, il cambiamento di fuoco e di prospettiva. Un oggetto sul quale esercitare la ricerca continua e costante, di extra-ordinarietà e di diversity funzionali a conquistare l’attenzione del pubblico: la pratica di scrivere e riscrivere la Storia, da spazio negoziale per il passaggio di informazioni e sollecitazione degli investimenti patemici, è diventata un modo per offrire storie inedite, impensabili, curiose, affascinanti e soprattutto controintuitive per lo spettatore, al quale è necessario esibire un punctum di interesse e di stupore, all’interno di un’offerta sempre più ampia e differenziata, in cui è difficile farsi scegliere, e in seconda istanza farsi seguire, cioè aggiungere fedeltà e permanenza. […] Da un “raccontami la Storia che conosco, attraverso le storie”, sulla base di pre-narrazioni stabili e consolidate (la scrittura storiografica o culturale) a un “raccontami una storia nuova, su una Storia che non conosco”. Al di là delle singole peculiarità, e della pluralità di patti negoziali stabiliti dai soggetti mediali con il proprio pubblico, registriamo un cambiamento radicale, ma diffuso, in cui tutti gli elementi semantici pertinenti alla Storia (l’ambientazione, gli eventi e i fatti, i personaggi) diventano oggetto di un’azione trasformativa, di una ridefinizione, più o meno raffinata o violenta, rispettosa o provocatoria, supportata da una ricerca documentaria spesso molto approfondita o dalla più anarchica torsione creativa e fantasiosa (fino al fantastico), con l’obiettivo di fornire allo spettatore un oggetto di interesse inedito, e anzi inaudito (p. 21).
La tensione alla riscrittura della Storia, sottolinea il curatore del volume, si incrocia con la tendenza della fiction contemporanea alla riscrittura trasformativa attuata attraverso adattamenti, remake, sequel, prequel, reboot, spin off ecc. Il procedimento attuato per attirare l’attenzione del pubblico che prevede di raccontare più volte una storia già narrata si applica anche alle rappresentazioni del passato: «una Storia raccontata (almeno) due volte, la prima dalla storiografia e dalle narrazioni “classiche”, ortodosse, e la seconda attraverso un’operazione di spostamento» (p. 22).
Se sul versante storiografico è certamente indispensabile porsi domande circa la verità della Storia che fa da sfondo alla narrazione, nell’ambito della fiction questa non può di certo essere l’unica questione né, probabilmente, la più pregnante, essendo la fiction comunque tale per definizione. Le finzioni storiche, piuttosto, dovrebbero contribuire all’immaginario storico e permettere e contribuire l’attivazione di una riflessione sul processo di rappresentazione.
Certo, godere del passato attraverso il period drama non significa conoscerlo ma
prima di tutto interrogarlo criticamente e stabilirlo al centro di un confronto, che ci coinvolge a livello emozionale, ben oltre le sensazioni evocate dalle storie che vengono ambientate in esso. Il coinvolgimento patemico del testo lavora dunque a due livelli: da una parte quello generato dal racconto (le azioni, i personaggi, lo sviluppo narrativo) e dall’altra quello innescato dal corpo a corpo con la rappresentazione e la lettura del passato. Che può essere, di volta in volta, una lettura di nostalgia o al contrario decisamente critica, ansiogena o ansiolitica, ma sempre e comunque riflessiva (pp. 28-29).
La serialità televisiva di ambientazione storica contemporanea, oltre a permettere allo spettatore di acquisire conoscenze storiche ed a provare appagamento emotivo attraverso il racconto,
può riflettere sul passato e sulla sua narrativizzazione, mettendo a confronto la prospettiva fornita dal testo con le proprie diverse esperienze precedenti, che vengono dalle competenze sviluppate […], ma anche da tutte le altre fonti narrative […], o dalla cristallizzazione di un immaginario collettivo. Ciò che consente l’innesco di questa dialettica non è tanto, o soltanto, l’aderenza e il rispetto alla verità storiografica ma, al contrario, la funzione trasformativa, di déplacement, insieme spostamento e spiazzamento, che il period drama, soprattutto a partire dagli anni duemila, opera nella ricostruzione dei fatti che mette al centro del proprio racconto finzionale (pp. 29-30).
Insomma, al period drama spetta il compito di
contaminare l’immaginario storico condiviso [attuando] uno spostamento-spiazzamento del punto di vista, del fuoco d’attenzione, dell’oggetto e delle forme di trattamento del racconto. È una visione laterale dell’evento o del periodo storico, dell’azione dei personaggi di pura finzione o del coinvolgimento di quelli realmente esistiti, perché proprio da questa operazione di risementatizzazione deriva l’originalità, l’interesse e la capacità di coinvolgere l’attenzione del pubblico, ma anche il proprio potenziale indiziario (pp. 32-33).
Al di là delle tante forme e declinazioni che può assumere il period drama, la sua caratteristica costante resta la riproduzione di un periodo differente rispetto a quello di messa in onda, nei cui confronti lo spettatore si trova a percepire uno scarto, una differenza, un’alterità. Nel confronto con la differenza, anche ravvicinata, si innescano nello spettatore la sensatezza e la ragionevolezza della ricostruzione e il piacere di assistervi. Il suo compito non si esaurisce pertanto nella rappresentazione del passato, ma contempla anche la sua rilettura e riscrittura, in modo tale da ripensare criticamente il presente.
In che modo il period drama contemporaneo può rileggere e riscrivere il passato per riflettere in modo critico sul presente? È sostanzialmente tale interrogativo a fare da sfondo ai diversi contributi che compongono il volume La grande Storie e il piccolo schermo: Nuovi modi di raccontare la contemporaneità attraverso la serialità televisiva di Andrea Bernardelli; Mafie e serialità televisiva. Realtà storiche, risorse narrative e rappresentazioni geopolitiche da La piovra a Gomorra di Giuseppe Muti; Italian Tabloid. La Tangentopoli in noir di 1992 1993 1944 di Rocco Moccagatta; The crown. La regina delle serie di Mariapaola Pierini; La storia sullo sfondo, la storia nel suo farsi. La sitcom americana tra nostalgia e storiografia banale di Luca Barra; “Adesso so perché sono qui”. Band of Brothers, la Seconda Guerra Mondiale tra fiction e storiografia di Antonio M. Orecchia; Radici 1977 vs Radici 2016. Anche la fiction sfata i “miti comuni”? di Katia Visconti; Nel corso del tempo. Piccole notazioni su una teoria della Storia come infinita serie di inizi A partire da Heimat di Edgar Reitz di Luisella Farinotti; Mad Men. Diapositive dal ‘900 di Roberto Manassero; C’era una volta il western. Lo spazio e il tempo nella serialità western contemporanea di Lorenzo Rossi; Periodizing drama. Appunti su The Deuce di Mauro Resmini; Il futuro del passato: Deutschland 83 di Leonardo Gandini; Making 70s. Mindhunter: la Storia, una storia, le storie di Andrea Bellavita; La storia tra intrigo (aristotelico) e narratività (agostiniana)? Prolegomeni per una riflessione sul nesso tra storia-tempo-narratività di Fabio Minazzi.