Clown Bianco editore, Ravenna 2022, pagg. 248 € 18
di Nevio Galeati
La provincia italiana, nei primi anni Sessanta del Novecento, fatica a stare al passo con il resto del paese, abbagliato dall’illusione di diventare una nazione potente e stabile dal punto di vista economico. Radio, rotocalchi e da-da-un-pa televisivi portano però ovunque un clima fatto di lustrini, minigonne, stampe geometriche, occhiali rotondi e coloratissimi; per non parlare dei capelli, fra pixie cut e cotonature. Ma nelle periferie rurali, nella bassa padana come nelle zone vallive verso l’Adriatico, non mancano misteri, intrighi e vicende cupissime. Con “Dalle nove a mezzanotte” Paola Rambaldi coglie alla perfezione quelle atmosfere, regalando ai lettori un romanzo intricato, nero e sanguigno come le terre in cui lo ha ambientato; e riuscito alla perfezione.
Sono sei mesi “vissuti pericolosamente”, da giugno 1963 a capodanno, fra le colline bolognesi della Valsamoggia (la zona della battaglia di Zappolino per la “La secchia rapita”), il capoluogo regionale e Goro, città natale della protagonista. Che si chiama Brisa Tunaia, è alta, ha un gran bel fisico e i capelli lunghi e neri; il viso dà però inquietudine per una vistosa eterocromia, con un occhio nero e uno azzurro; e un naso, come dire, importante. Ma ancora di più incute timore la sua dote: sfregando i capelli su foto e oggetti personali riesce a intercettare passato, presente e schegge del futuro di chi vi è ritratto, anche se non sempre in modo chiaro.
La storia inizia con quella che potrebbe essere una tragedia: Jolanda, l’unica figlia di un maresciallo dei carabinieri, cade dal traghetto per l’isola d’Elba; e non è proprio una disgrazia: la spinge fuoribordo un bullo, padre del bimbo che lei ha in grembo; che non vuole sapere più niente di lei. È proprio l’intervento tempestivo di Brisa a evitare che finisca annegata. Ma si tratta solo del primo evento di una serie senza soluzione di continuità che mostra morbosità, vizi, piccinerie e crudeltà di una comunità appunto di provincia; così la seconda miccia narrativa è il ritrovamento del corpo di un bambino, scomparso sette anni prima, figlio del fratello di Brisa. La salma è rimasta sott’acqua nel fondo della valle, rinchiusa in un baule; il carabiniere che la scopre nota che al bimbo manca una scarpa. Proprio come era capitato a un altro bimbo, precipitato da una finestra qualche mese prima. Un serial killer? Un pedofilo?
Paola Rambaldi ha un’abilità straordinaria nell’aggrovigliare trame e tragedie, recupera eventi e amori rimasti sospesi dal romanzo precedente (Brisa, Edizioni del Gattaccio, 2018), spinge sull’acceleratore dell’azione con intelligenza e misura, usando il climax di un vero noir adulto. Alcune scene di violenza richiamano classici del cinema; sono sequenze alla Tarantino, se non addirittura citazioni del Kubrick di Arancia meccanica. Ma a bilanciare, e a creare l’atmosfera da gotico rurale (Eraldo Baldini docet), ci sono gli ambienti, i paesaggi e… nomi e cognomi dei personaggi: la famiglia principale si chiama Corpodicristo, sono la zia e le cugine minorenni di Brisa; Smamarela, moglie del fratello; la vecchia vicina di casa ha per cognome Avemaria, ed è la madre di due gemelli grandi, violenti e un po’ tonti. E ancora c’è Puschin, il ragazzone che si è invaghito di Brisa. Rambaldi disorienta, recupera attenzione, semina false piste e, alla fine, chiude tutto in modo coerente; che è il modo migliore di scrivere storie. Anche i riferimenti a fatti reali (la vicenda della diga del Vajont) sono proposti in modo lineare e per sostenere la trama; senza divagazioni o noiosi citazionismi dotti. Poi c’è il doppio finale, dopo i titoli di coda, a sorpresa come in un classico film Marvel. Potrebbe innescare un seguito: chissà.
Una nota sullo stile; Paola Rambaldi usa il presente, anche se non in prima persona, con sapienza e attenzione, trasportando chi legge a Serravalle, al Luna Park di Bologna come a Gorino, e dandogli la sensazione di essere insieme a Brisa, Desdemona e tutti gli altri. Così gli accenni dialettali diventano naturali e fluidi, “non letterari” come capita troppo spesso.
Vincitrice di concorsi per racconti, Paola Rambaldi è anche un’ottima fotografa: l’immagine di copertina di Dalle nove a mezzanotte è un suo scatto. La partenza giusta per un romanzo che funziona.