Tarka editore, Mulazzo (MS) 2022, pagg. 168 € 16.50
di Marisa Salabelle
Il ferro da calza, il mio nuovo romanzo, è un “giallo appenninico” che si ricollega al precedente L’ultimo dei Santi. Tarka è una piccola casa editrice della Lunigiana, il cui catalogo è in gran parte dedicato ai temi dell’ambiente e del territorio; nel 2019, con la supervisione di Paolo Ciampi e Marino Magliani, è nata la collana Appenninica. Ad oggi ha pubblicato sette libri, tra romanzi e Itinerari alla scoperta delle tante meraviglie dell’Appennino; il mio romanzo sarà l’ottavo. Si tratta come dicevo di un giallo: una giovane donna è stata assassinata proprio mentre si preparava per inaugurare un importante evento, nella cittadina termale di Porretta Terme, nella giornata dedicata ai Diritti umani, il 10 dicembre 2002. È passato poco più di un anno dai terribili avvenimenti di Genova 2001 e Marianna, un’attivista di Amnesty International, in collaborazione con l’amica Ginevra che rappresenta l’associazione “Il granello di senape”, ha organizzato un convegno: ospiti, il giornalista Saverio Giorgianni, il fotografo Felix Osabuohien, Francesco Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Nerys Lee di Amnesty e alcune autorità locali. Marianna ha a cuore i diritti umani ma soprattutto ha a cuore la sua carriera: purtroppo non potrà presenziare all’evento che ha fortemente voluto perché qualcuno le conficcherà un sottile ferro da calza nella schiena, colpendola al cuore.
Cosa c’è, nel Ferro da calza, oltre a una trama che spero non banale e alle tipiche indagini su un caso di omicidio? Direi l’ambientazione appenninica, come prescritto dalla collana alla quale il libro appartiene: un Appennino in disarmo, ripiegato su se stesso, su certe glorie novecentesche ormai dimenticate. I personaggi ricorrenti, rappresentati da Saverio e dalla sua complicata famiglia, che seguo da un romanzo all’altro nel loro percorso individuale e nel mutare delle loro relazioni; e due tra i principali moventi dell’agire umano, l’amore e il potere, declinati in diverse modalità che il lettore, se avrà il desiderio di leggere, non tarderà a scoprire.
Il ferro da calza è un romanzo di intrattenimento, vorrebbe appassionare e divertire, ma per chi è interessato ad andare un po’ più a fondo offre anche qualche spunto di riflessione. Ve ne propongo un piccolo assaggio.
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Intanto a Casa Arancio la gente cominciava ad arrivare, parecchie persone entravano dal massiccio portone, percorrevano il cortile e salivano al primo piano, dove nell’auditorium le poltroncine iniziavano a riempirsi. Saluti, scambio di cortesie tra conoscenti, presentazioni; Ginevra si trovò imbottigliata tra amici che volevano salutarla, volontari che le chiedevano consigli, rappresentanti delle istituzioni e la delegazione di Amnesty, tutta una quantità di persone da gestire, gli ospiti da far accomodare, e Marianna che non dava segni di vita… Le aveva telefonato, lasciato messaggi in segreteria, inviato SMS, senza ricevere segnali di sorta. Si erano fatte le cinque e un quarto, la sala era piena, come previsto i posti a sedere erano tutti occupati e molte persone erano in piedi, erano arrivati tutti, anche la tipa di Amnesty, Nerys Lee, un pezzo grosso che era stato davvero un colpaccio riuscire a portare lì, bisognava iniziare e Marianna non si vedeva. Alle 17.35 Ginevra decise che era ora di cominciare. I relatori presero posto al tavolo, che, pur essendo abbastanza lungo, li conteneva a malapena. I politici erano alle due estremità: a destra l’assessore alla cultura, a sinistra la consigliera regionale. A fianco al primo sedeva Gesualdi, a lato della seconda stava Nerys Lee, vicino alla quale si sarebbe dovuta sedere Marianna, la cui sedia rimase temporaneamente vuota. Ginevra prese posto accanto a Francuccio Gesualdi, le due postazioni centrali erano infine occupate da Felix Osabuohien e Saverio Giorgianni. Ginevra picchiettò sul microfono per ottenere attenzione: il brusio nella sala strapiena si attenuò fino a cessare del tutto. Quando il silenzio fu totale la ragazza prese la parola: era contrariata, perché quel compito sarebbe dovuto toccare a Marianna, molto più spigliata di lei, che non amava parlare in pubblico; a quel punto, tuttavia, vista la situazione, qualcuno doveva pur dare inizio alle danze. Ginevra strinse i denti e iniziò, sperando di ricordarsi di dire tutto. Doveva salutare il pubblico e gli ospiti, annunciare il tema della serata, nominare uno per uno i diversi relatori e… dio, non ce la poteva fare! A un tratto sul display del cellulare, silenziato sul tavolo, vide lampeggiare il nome di Nicola. Avrebbe voluto rispondere, ma non poteva: stava citando i vari enti organizzatori dell’evento, tra i quali non doveva dimenticare l’associazione di cui faceva parte, Il Granello di Senape. Doveva essere successo qualcosa, se Nicola la chiamava in quel momento, eppure non riusciva a credere che la sua amica non sarebbe arrivata di lì a poco: già se la vedeva apparire in fondo alla sala, col suo vistoso abito rosso e i suoi tacchi altissimi, percorrere il corridoio centrale tra gli sguardi ammirati del pubblico, salire la scaletta del palco e prendere posto, scusandosi per il ritardo con uno dei suoi sorrisi più seducenti. Invece, nel giro di pochi minuti, dal fondo della sala arrivarono due poliziotti in divisa, che a loro volta attraversarono il corridoio nello stupore generale, salirono sul palco e andarono a confabulare con la consigliera regionale, che, a torto o a ragione, ritennero essere la personalità più autorevole tra i presenti. Ginevra, che si era zittita non appena aveva visto i due tutori dell’ordine, seguiva con sgomento la pantomima, cercando di capire cosa avessero da dire, quei due, alla consigliera. A un tratto uno degli agenti si avvicinò a lei, le chiese «permette, signorina», afferrò il microfono e disse che a causa di un imprevisto il convegno era annullato; invitò i presenti a lasciare Casa Arancio, rassicurandoli allo stesso tempo che non correvano alcun pericolo; infine invitò i relatori e gli organizzatori a trattenersi per rispondere ad alcune domande.