di Franco Pezzini
Lisa Morton, Evocare gli spiriti. Storia delle sedute spiritiche, ed. orig. 2020, trad. Roberto Esposito, pp. 316, € 20, Odoya, Città di Castello PG 2022.
La fotografia mostra, solo parzialmente schermata da alcuni alberi, una casa americana in legno, non certo lussuosa, con assi a vista. Sotto, un’iscrizione a stampa: “In this house, March 31st, 1848, Spiritualismo originated, Newark, N.Y.”. È casa Fox, sita ad Hydesville (che con lieve forzatura potremmo tradurre la Villa del nascosto) presso New York: e qui sboccia l’ultima delle grandi rivoluzioni del 1848, quella spiritista. Benché preparata da un lunghissimo cammino, con radici fin da un passato remoto nelle antiche negromanzie e una quantità di fili immaginali annodati inestricabilmente (mesmerismo, swedenborgianesimo, magia posthuma eccetera), è con la saga delle tre sorelle americane Katie, Maggie e Leah Fox (le sorelle March del successivo Piccole donne di Louisa May Alcott, 1868 sono quattro, ma il contesto non è distante) che monterà la “straordinaria tempesta culturale” di cui questo bell’Evocare gli spiriti, divulgativo nel senso migliore, ripercorre la storia.
Infatti i morti non riemergerebbero solo spontaneamente in certi luoghi (cimiteri, case infestate…) o situazioni (certe ricorrenze, certi eventi): fin dall’alba dell’umanità si sono moltiplicate tecniche funzionali a recuperare un dialogo con chi ci ha lasciato. Qualcosa abbastanza impressionante, se consideriamo la scarsa capacità di ascolto che mediamente registriamo in questa vita: che si vada con ansia a cercare chi l’abbia lasciata, oltre tutti i tempi supplementari e il consumarsi delle parole umane, pare uno strambo controsenso. Il fatto è che però, da un lato, al morto sono attribuite capacità di prospezione inedite, a flirtare con l’onniscienza per il raggiunto conseguimento di uno stato più alto (o più basso, ma quelli è sconsigliabile convocarli); e dall’altro esiste uno spazio del non-detto che infesta le nostre vite. Quando mio padre – anziano e malato di tumore – era alla fine, un’amica giustamente mi aveva consigliato di dirgli tutto ciò che in un futuro avrei potuto volergli raccontare: parole non dette o non dette a sufficienza. Ma esistono casi in cui questo tipo di comunicazione non è possibile: vuoi per un distacco troppo improvviso, vuoi invece per un’impostazione di rapporti sghemba, per spazi di silenzio imposti da educazione o situazioni, da incomprensioni, mancati perdoni o incomunicabilità radicali.
Un caso del genere, con tanto di medium/sibilla posseduta da forze infere, ci è narrato da Virgilio nell’Eneide: a Enea è precipitato addosso il ruolo di pater familias per la morte improvvisa del suo ingombrante genitore Anchise, non è pronto a quella parte e non è un caso se il primo risultato della sua adultità fragile sia un fallimento esistenziale più che sentimentale, lo sbarellamento di una liaison di cui non è affatto convinto, quella con la povera Didone. Per recuperare il ruolo che la vita gli impone di assumere, Enea dovrà dunque scendere nell’Ade e cercare suo padre, che gli spiegherà come funziona la vita, passandogli il testimone e permettendogli di crescere. Nella bellissima e maltrattata Eneide televisiva (i cultori dell’eroe romano con la mascella dura non avevano apprezzato il tormentato intellettuale di Brogi e i toni malinconici e arcaizzanti della trasposizione), la lettura era lievemente diversa, ma pure di grande suggestione. Enea vi vive l’ombra di un feroce senso di colpa, perché in un duro scambio con Anchise – che vuole la rivalsa contro gli Achei, e non come Enea un futuro pacifico altrove – il padre l’ha accusato addirittura di aver pregato un dio nemico per uscir vivo da quella Troia che ora non vuole riprendersi con le armi: e di fronte a una simile accusa, nel profondo del suo cuore Enea si è augurato la morte del vecchio. Quel rimorso non l’ha più abbandonato, e nell’Ade, come in una grande seduta psicoterapica, Anchise spiega al figlio la natura di quel dolore e chiarisce che era stato lui, vecchio, a sbagliare. Enea può insomma riprendere il viaggio con un cuore un po’ meno fratturato…
Questa lunga parentesi virgiliana può sembrar condurre distanti, ma la dice lunga sia sul senso esistenziale autentico di talune domande (nelle forme almeno di certe culture), sia sul loro cogliere conati irrisolti, spazi che gridano la necessità di un logos pacificatore, di un perdono da dare o da ricevere, di una forma di pace da raggiungere. Si pensi solo all’impennata dello spiritismo a ridosso della prima guerra mondiale: l’assurdo della guerra – imperialista persino sui contenuti profondi delle coscienze – finiva col reclamare il bisogno di un ultimo contatto coi propri cari scomparsi nel maelstrom.
Poi certo, ci sono altri motivi per l’affermarsi della cultura di un dialogo coi fantasmi. Per attestarci su esempi moderni, dall’atteggiamento positivistico tra Otto e Novecento, che mira a dimostrare scientificamente l’esistenza dell’Aldilà e dunque di una metafisica, all’impennata del grande revival magico negli anni Settanta del Secolo breve, quando la forma scelta per buttar lì la parola chiave – “Gradoli”, sul nascondiglio di Moro prigioniero delle BR – ricevuta da un informatore che è necessario non scoprire, viene carabistrata quale presunta rivelazione a un gruppo di notabili democristiani (Prodi in prima fila) da parte dello spirito di don Sturzo… e a quell’epoca, dato il clima, lo spunto appare credibile o almeno congruo a un linguaggio immaginale. È però il canto del cigno: la serie televisiva quasi coeva Indagine sulla parapsicologia di Piero Angela (aprile 1978), e soprattutto il reflusso degli anni ottanta – quando i misteri tornano magari brevemente in televisione con programmi sbertucciatissimi nel clima Milano da bere, ma sono assoggettati alla frizzante dittatura del presente (craxiano) – porteranno anche su questo fronte alla crisi dell’utopia magica.
Però lasciandoci alle spalle i fantasmi grevi della Prima repubblica, torniamo alle sorelle Fox.
Quando nel marzo 1848, poco prima che Katie compia undici anni, una serie di rumori notturni inizia a disturbare la famiglia, e prende a circolare la convinzione che si tratti del fantasma di un assassinato, si è ancora lontani dall’immaginare cosa da quell’apparente stramberia familiare monterà in tutto il mondo. Poi ecco i primi passi quasi all’insegna dello spettacolo, attraverso l’intrattenimento di gruppi di curiosi che Katie e Maggie riuniscono attorno a un tavolo da pranzo, su cui prendono a risuonare colpi e che si muove da solo… Nasce così la seduta spiritica, derivato ultimo, borghese e salottiero, degli antichi e pittoreschi sistemi di dialogo con i morti, nel corto circuito con altre realtà – magnetismo, suggestioni degli shakers (fondati nel 1747, riceverebbero messaggi da entità spirituali), revival mediogotico dei fantasmi, spiritismo di Kardec, teosofia… – e sull’onda dei lutti di quella Guerra civile americana che miete circa 620.000 uomini (i cui spettri verranno poi indimenticabilmente narrati da Ambrose Bierce, fantasmi veri e amari di un’epoca). Mettiamoci poi le imprese metafisico-prestadigitatorie dei fratelli Davenport, l’irruzione in scena dell’arcimedium Daniel Dunglas Home e dell’enigmatica Florence Cook, poi di Eusapia Palladino e dei medium del Novecento; mettiamoci la conversione a questa New Revelation di Arthur Conan Doyle e il successo dello spiritismo in letteratura e nelle arti (in fondo fino a Méliès e oltre); mettiamoci le riviste spiritiste serie, o invece le trovate imprenditoriali dei presunti Blue Books (con preziose info per agevolare truffe spiritistiche: non si è certi che esistessero davvero) e di cataloghi per smercio articoli per medium come “Tavolo per spiriti percussori”, “Chitarra che si suona da sola” e set “Seduta spiritica completa” (e questi prodotti sembra che ci fossero); mettiamoci tutto il florido filone della fotografia spiritica, con le sue delizie, e la nascita di organizzazioni come la Society for Psychical Research (fondata nel 1882).
Ormai lontane dal mondo della casetta di assi del 1848, le sorelle Fox conosceranno una malinconica decadenza tra litigi, alcolismo, conversioni, confessioni di truffe e abbandono da parte del mondo che le aveva celebrate: tra il 1890 e il 1893 muoiono tutte e tre, impoverite e sole. Del resto gli anni Ottanta vedono una crisi generale, con medium smascherate un po’ in tutta l’America. La ripresa si avrà nel Novecento, con l’epopea degli ectoplasmi e lo spiritismo di guerra e tra i due conflitti mondiali, l’amicizia tra Conan Doyle e Houdini, l’ascesa della trance medianica e delle tavolette ouija, i nuovi sincretismi (il Movimento della Chiesa spirituale) e i nuovi strali da Roma – nonché, parallelamente, quelli dei fautori della magia cerimoniale come lo stesso Aleister Crowley, che del resto fin dall’Ottocento consideravano le pratiche spiritiste come sciocche e pericolose, all’insegna di una banalizzante superficialità da parte di operatori non preparati. In fondo, nessuno può sapere chi davvero risponda all’appello dello spiritista… E poi le trasformazioni della normativa, che in Gran Bretagna sostituisce il vecchio Witchcraft Act del 1735 con il Fraudolent Mediums Act; la nascita del channeling figlio della New Age, il fenomeno delle voci elettroniche (EVP) – sulla base di teorie già di Edison e poi molto pubblicizzate dallo psicologo lettone Konstantin Raudive – e vicende come quella dell’esperimento Philip per creare un fantasma (1972), che traghetta idealmente alla situazione dell’oggi. La fittizia chiusura del dipartimento di parapsicologia alla Columbia University all’inizio di Ghostbusters (1984), ricalcata sulla fine dell’autentico laboratorio di parapsicologia alla Duke University, fotografa comunque lo scetticismo di una fase storica. A cui stanno subentrando oggi nuove impostazioni, nutrite dei paradigmi del XXI secolo, e in fondo nuove paure: il fantasma flirta ormai coi miti metropolitani dell’era web.
L’autrice affronta poi il peso delle sedute spiritiche tra cinema e teatro, anche se lo sguardo prevalente alla produzione anglosassone lascia fuori interi bacini di opere (nella produzione di genere italiana degli anni Settanta, per dire, e a partire da Il segno del comando del 1971, la seduta spiritica è un must). In effetti il limite principale di questo libro in sé molto bello – e senz’altro meritevole di lettura – è la scarsa attenzione ad altre tradizioni culturali: magari citate (emblematico lo spiritismo francese), ma ridimensionate fin troppo drasticamente. Molto interessante è però l’ultima parte – quanto è universale la seduta spiritica? – che apre a orizzonti extraeuropei e a realtà relativamente poco note: per esempio la pratica inquietante dei kuman thong thailandesi con embrioni umani essiccati e coperti d’oro, funzionali alla comunicazione con gli spiriti, o certi (in sé non strani) allineamenti del vudù con movimenti progressisti, per esempio quello LGBTQ. E provocatoria la conclusione al cap. 8, (Perché) abbiamo bisogno delle sedute spiritiche?, che offre alcune chiavi di riflessione.
Ma questa è una storia anche di parole, per esempio la differenza tra seduta spiritica e negromanzia, tra spiritualism (anglosassone) e spiritisme (francese) e relative implicazioni; la sostituzione di séance (dal 1856) ai vecchi termini spirit rappings o table movings; l’abbandono dagli anni ottanta del Novecento del termine medium, rimpiazzato con un più neutro sensitivo. Legittimo chiedersi anche quanto permarrà ancora il riferimento agli spiriti, a fronte dell’emergere in certi fenomeni di maschere identitarie che solo con molte forzature e una certa quantità di giulebbe (tutto umanissimo, per carità) potremmo attribuire a trapassati. Perché in fondo la questione è sempre quella, la provocazione identitaria: qualcosa su cui un ben diverso tipo di tecnica psichica, la letteratura, ci stana fin dal nostro profondo. Vivi o morti che siamo.