di Nico Maccentelli
Davide Grasso ha combattuto in Kurdistan con la Resistenza curda. Conosce molto bene la storia di quel popolo e della sua lotta contro il fascismo turco. Conosce altrettanto bene l’esperienza municipalista della regione autonoma del Rojava, la democrazia popolare antistatale e antipatriarcale che regge quell’esperienza. Ma un bel giorno di fine maggio Davide Grasso appare a Bologna, al Labàs in Vicolo Bolognetti (1), per annunciare che esiste la “resistenza ucraina”. Un’entità costituita non si sa da chi: da dei presunti anarchici? o da tutti coloro che sono definibili combattenti, ossia le forze militari ucraine? Chissà… Comunque una “resistenza” che non ha caratteristiche autonome, ma che è tutta interna alle unità di difesa territoriale, quindi allo stato ucraino, uno stato dove non vige una democrazia popolare, ma un dominio borghese, con un’oligarchia che arma e ha come braccio armato interno e nel conflitto con la Russia delle forze di stampo nazista.
Non si sono mai visti degli anarchici sostenere qualsiasi forma di statalismo, figuriamoci se questo è erede diretto del banderismo che è stato complice antisemita e forza organica della Germania nazista e artefice di eccidi sulla popolazione ebraica e non. In definitiva qualcosa che non solo non c’entra una mazza con l’esperienza del Rojava, con lo zapatismo… ma che non è neppure lontanamente accostabile, qualcosa che sta agli antipodi per scopi, valori, identità politica.
Ma allora, caro Grasso, se la nozione di “resistenza” per te era così larga ed elastica… perché non andavano bene quei comunisti e quei siriani in generale, che hanno preso le armi nell’esercito della Repubblica Araba di Siria per difendere il proprio paese dall’imperialismo USA, da Daesh e dall’invasione turca?
Un’incongruenza dietro l’altra accompagnano questa narrazione, che sarebbe derubricabile come bislacca se non creasse una confusione assoluta tra le fila dell’antagonismo di classe.
Infatti, nemmeno venti giorni prima, una strana anarchica ucraina, sempre al Labàs (2), facente parte di Operation Solidarity, parlava al pubblico “municipalista” della militanza di tali anarchici ucraini nelle unità di difesa territoriale, di “resistenza ucraina” e di necessità di una no fly zone, mentre la conduttrice labassina di detta iniziativa definiva “rivoluzione” il golpe nazista di piazza Maidan del 2014, preparato (e ci sono le prove) e orchestrato dal deep state statunitense.
Queste sono le basi politiche su cui è stata costruito l’attacco a quella parte di movimento antimilitarista che si è posto sul terreno della lotta contro la guerra e contro la NATO. Un regalo fatto al governo e al PD, soprattutto sul piano locale.
Ora, sappiamo bene che i debiti si pagano, e gli spazi dati da una giunta PD esigono che la politica di guerra, della armi agli ucraini trovino una sponda coerente in una narrazione ad hoc che soddisfi i “palati antagonisti”. E cosa c’è di meglio allora che inventarsi una “resistenza” laddove ci sono battaglioni nazisti che dominano lo scenario bellico, armi che finiscono al mercato nero, andando a implementare l’epica costruita a tavolino dal mainstream del “povero popolo ucraino aggredito”? Cosa c’è di meglio per oscurare la realtà dei fatti che vede il popolo ucraino usato come carne da macello per una guerra costruita negli anni dall’espansionismo USA-NATO, dalla sua minaccia nucleare ai confini della Russia, dall’uso dei nazi locali nella loro pulizia etnica antirussa? Una resistenza inventata, che oscuri l’ennesima guerra per procura dell’Occidente imperialista è proprio quello che ci vuole.
Solo che stavolta non ci sono la Siria, l’Irak, la Libia o la ex Yugoslavia. Oggi dall’altra parte c’è un’altra forza dotata di armi nucleari e la danza sul burrone di una guerra termonucleare (tattica in Europa se va bene) è una danza macabra, dove ballerini insensati non si rendono conto di scherzare col fuoco.
Cosa c’è nella testa di questi “antagonisti”, segatura? Perché il bello è che tutta questa narrazione, che di antifascista non ha neppure l’odore ed è indifferente rispetto agli ucro nazi, si riempie di parole come “internazionalismo” accostando l’ “Ucraina aggredita” al Kurdistan siriano.
Ma qui viene il bello. Se la narrazione dei nostri “antagonisti” è questa, chi si batte contro la politica di guerra della NATO e di conseguenza del governo Draghi, chi in tutti questi anni ha sostenuto e difeso la causa del Donbass e le due Repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, viene tacciato di “filoputinismo” e di essere “rossobruno”. Dimenticandosi con questo strano criterio contraddittorio che le YPG hanno avuto l’appoggio degli USA nello sconfiggere i tagliagole dell’ISIS. Un internazionalismo strano allora quello di questi “compagni”, con versioni pro domo loro a seconda della convenienza, sostenendo una cosa da una parte e l’opposto dall’altra. Una sorta di opportunismo da vulgata sinistrese che non tiene conto della complessità delle situazioni. Semplificare… come del resto fanno i principali media di regime con i loro salotti televisivi. E che dire allora della nostra Resistenza del ’43-45 contro il nazifascismo: gli Alleati USA e UK non erano forse (anche allora) imperialisti?
Quello che colpisce è la consonanza tra l’azione politica di regime nel criminalizzare ogni voce di dissenso sulla guerra in atto (vedi la lista di proscrizione del Corrierone e il rumor di sciabole dei servizi…), tacciandola di collaborazionismo con Putin e quella di detta compagneria: a ognuno le sue liste. Una consonanza che con gli “antagonisti” trova la sua massima espressione nel totale silenzio verso il fenomeno degli ucronazi, che il mese scorso a Bologna hanno attaccato una festa partigiana e cercato di stuprare una compagna qualche giorno dopo.
Nella storia dei movimenti sociali nel nostro paese e non solo nel nostro, alla voce “guerra imperialista” ci sono sempre stati storicamente due filoni contro la guerra: uno pacifista e non violento, proprio per esempio del cattolicesimo, come quello dei padri comboniani e che oggi vede alzarsi la voce del Papa (l’abbaiar della NATO). L’altro, marxista, o comunque antimilitarista anche nella sua variante libertaria, che si è mobilitato storicamente sulla parola d’ordine “guerra alla guerra”, ossia trasformare la guerra in rivoluzione sociale.
Ebbene, che cosa c’entri con questa storia di lotte pacifiste e antimilitariste questa strana vulgata su resistenza e ucro nazi, armi a Zelensky e no fly zone, è proprio un mistero. Ma il risultato per qualcuno, che evidentemente ha il suo tornaconto, è stato ottenuto: spaccare, dividere, creare confusione, perché da un’economia di guerra e dalla sua macelleria, dalla miseria e da un dominio che di pandemia in guerra cerca di ridisegnare un ordine totalitario unipolare, i servi devono stare zitti e seguire il pensiero unico. E c’è una campagna denigratoria per ogni focus target.
Per sgombrare il campo da queste scorie ideologiche, che sono poi quelle di chi ragionando per principio e non per analisi finisce per fare il gioco del re di prussia, ha parlato da posizioni di sincero e autentico antifascismo antimperialista e di classe il nostro direttore Valerio Evangelisti recentemente scomparso. E lo ha fatto con questo intervento del 2016, dove già coglieva i punti essenziali della questione ucraina:
e con altri due recenti interventi sulla guerra in Ucraina che potete vedere in questo sito
e qui a 11:25:
Quest’ultimo con tutta probabilità è proprio l’ultimo intervento fatto dal nostro.
Note:
1) Questo intervento di Davide Grasso lo trovate sul fb di Labàs
2) Vedere questo link (il video è stato tolto, ma il link resta