di Chiara Meistro

(È uscito da poco in libreria “Edgar Allan Poe – Il palazzo infestato” di Franco Pezzini con l’iconografa Chiara Meistro, vol. 2 di una trilogia Tutto Poe per i tipi Odoya, 2022: un esame panoramico commentato dell’itinerario d’autore dell’Americano Maledetto nella seconda fase della sua produzione, quella dei grandi racconti fantastici. Il contributo che segue, a firma di Meistro, costituisce la prima parte, più generale, del saggio a sua firma pubblicato in calce al volume: “Ritrarre ‘Il ritratto ovale’. Cornici, scheletri e cadaveri tra le illustrazioni del racconto di Edgar Allan Poe”).

1. Una narrazione artistica

“Il ritratto ovale” è un racconto che gioca a più livelli sull’esperienza visiva attraverso la dimensione e l’espressività pittorica. Lo si riscontra nell’andamento stesso della trama, che si articola in due parti essenziali, corrispondenti rispettivamente al momento della ricezione e a quello della produzione del quadro fatale. Il primo è vissuto in presa diretta dal protagonista narrante che, attraverso la sua prospettiva di fruitore, ne delinea le caratteristiche estetiche, mentre il secondo viene tramandato da una testimonianza scritta che fa luce sulla figura del pittore e sul suo processo creativo.

Anche l’ambientazione è costellata di accurati rimandi artistici; l’incipit si apre con la presentazione di un castello da revival gotico, per poi offrire una minuziosa descrizione degli arredi interni. Nello specifico, l’attenzione viene presto convogliata sulla camera da letto nella torretta fuori mano dove il protagonista e il suo domestico decidono di alloggiare. Tra gli addobbi preziosi seppur usurati dal tempo, spiccano arazzi, trofei e panoplie perfettamente in linea con l’atmosfera di un antico maniero. Vi si affiancano però, a creare un significativo contrasto cronologico, «un’infinità di originalissimi quadri moderni dalle ricche cornici dorate di stile arabesco», tra cui affiorerà infine il ritratto ovale, inizialmente rimasto in ombra in una nicchia.

Poe tratteggia insomma un contesto di indubbia forza immaginifica, dove questioni di gusto si fondono con le dinamiche narrative, e su cui vale la pena soffermarsi più nel dettaglio.

1.1. Storie di arredi per la mezzanotte

A proposito della stanza in cui giace il protagonista, è interessante partire dalle valide riflessioni che Michele Stanco ha condotto nell’articolo “Teorie estetiche ‘narrate’: «The oval portrait» di Edgar Allan Poe” (a cui si rimanda altresì per un’analisi più approfondita della sopraccitata suddivisione tematica del testo). Come si evince dal titolo, lo studioso ha esaminato le «tesi poesche sull’arte» svolte in forma narrativa nel racconto, per poi rintracciarne le corrispondenze intertestuali nei suoi scritti teorici. In particolare, ha messo in relazione gli interni del castello con i contenuti del breve saggio “The Philosophy of Furniture” – già affrontato nel presente volume (cfr. cap. 4.5) –, dove Poe illustra il suo ideale di arredamento. Emergono così alcune analogie dense di significato, soprattutto se si considera la descrizione della «piccola camera, per nulla pretenziosa, nelle cui decorazioni non è possibile trovare alcun difetto», a cui fa da riscontro la scelta da parte del protagonista di insediarsi in «una delle camere più piccole e meno sontuosamente addobbate».

Ma ancor più affascinante è la presenza di uno specchio quasi circolare, appeso in modo tale che nessuno possa esservi riflesso se si trova seduto in uno dei posti normalmente disponibili all’interno della stanza vagheggiata nel saggio. Un’ubicazione singolare, studiata con una certa meticolosità, e da cui Stanco ha dedotto che lo specchio sia seminascosto, proprio come il ritratto ovale (con cui condivide anche una forma simile). Non solo: per le loro caratteristiche intrinseche, i due oggetti sono equiparabili a livello semantico. Infatti, «l’ambiguità dello specchio, che manifesta la fisicità del corpo pur negandola in quanto ‘riflesso’» è del tutto affine a quella insita nel dipinto: la sua verosimiglianza è tale da poterlo scambiare per una fanciulla in carne e ossa, ma questa prima impressione viene rapidamente contraddetta non appena si scorge il disegno compositivo e la tecnica pittorica, nonché la cornice. Quell’espressione perfettamente conforme alla vita stessa («absolute life-likeliness of expression»), che non incarna soltanto la peculiarità estetica più marcata del ritratto ovale, ma si ricollega altresì alla sua luttuosa genesi, viene in effetti affermata e, al contempo, negata.

Un altro rimando incontrovertibile si ritrova infine nella presenza di tre o quattro ritratti femminili di una bellezza eterea realizzati alla maniera di Sully: si tratta infatti della medesima notazione stilistica attribuita al dipinto del racconto.

A questo punto, occorre ricordare che del saggio di Poe sull’arredamento esistono due versioni; la prima è apparsa sul numero di maggio 1840 del Burton’s Gentleman’s Magazine, mentre la seconda, pubblicata sul Broadway Journal del 3 maggio 1845, è stata modificata in più punti, a cominciare dal titolo stesso, divenuto “House Furniture”. Proprio in virtù dei confronti con “Il ritratto ovale”, che Stanco ha avanzato senza fare distinzioni tra i due pezzi, chi scrive ha ritenuto opportuno verificare quali argomenti sono stati trattati in modo differente, a maggior ragione se si considera la pubblicazione sul Graham’s Magazine nell’aprile 1842 di una prima stesura del racconto, intitolata “Life in Death”. Al suo interno, erano già contenute le descrizioni ambientali e artistiche utili ai fini dei paragoni con il saggio sull’arredamento, e queste parti sono rimaste invariate nella versione definitiva, presentata sul Broadway Journal il 26 aprile 1845 (per una collazione approfondita, si rimanda nel volume al cap. 9.1).

In “House Furniture”, il passaggio che mette in risalto le dimensioni ridotte della stanza e la perfezione delle sue decorazioni interne non ha subito variazioni, mentre ben diversa è la situazione per gli altri due esempi sopraccitati. Infatti, in “The Philosophy of Furniture”, viene specificato che non è visibile nessuno specchio; inoltre, manca qualsiasi riferimento alle teste dipinte secondo lo stile di Sully. Pertanto, gli elementi che hanno maggiore attinenza con il ritratto ovale sono stati aggiunti dopo la pubblicazione di “Life in Death”.

Da questi dati fortemente eloquenti, che ampliano la visione generale sugli ambienti analizzati, si può dedurre che i parallelismi e le influenze tra lo scritto teorico e quello narrativo sono vicendevoli: la camera ideale agli occhi di Poe è stata arricchita di alcuni dettagli mirati che l’hanno resa sempre più vicina a quella del castello; d’altra parte, quest’ultima ne rispecchia a sua volta la tipologia architettonica e d’arredo. Uno spazio immaginario arriva così a lambire progressivamente, fin quasi a sovrapporvisi, uno spazio che può avere invece una sua collocazione nella realtà (si pensi alla ricostruzione della stanza sulla base del saggio all’Edgar Allan Poe National Historic Site di Philadelphia). Anzi, è proprio il gusto estetico dell’autore, quando sfocia nel contesto narrativo, a renderlo straordinariamente tangibile.

Alle varie affinità, si aggiunge infine una specifica atmosfera: come rimarca Stanco, sia il proprietario della camera ideale sia il protagonista del racconto vengono descritti mentre versano in uno «stato di torpore» a ridosso della mezzanotte. Nella fattispecie, si può parlare per entrambi di dormiveglia, presumibilmente onirico in un caso, disturbato da una certa sovreccitazione dei sensi nell’altro. Infatti, il primo si è assopito su un divano, mentre il secondo giace a letto, indebolito e delirante per le ferite (in “Life in Death”, la sua lucidità viene compromessa ancor di più dall’utilizzo di una dose non ben regolata di oppio nel tentativo di calmare la febbre).

Una condizione psicofisica alterata si rivelerà perfetta per la piena fruizione del ritratto ovale, di cui altrimenti non sarebbe forse stato possibile cogliere in modo così vivido la sconvolgente somiglianza con una persona viva. Eppure, sembrerebbe che la tipologia stessa della stanza vi giochi un qualche ruolo, quasi fosse stata creata appositamente per accogliere, e fors’anche per stimolare, particolari stati della coscienza, meglio ancora se accompagnati dai rintocchi della mezzanotte.

1.2. Una quadreria a tinte scure

Già in “The Philosophy of Furniture” diversi quadri vanno a coprire buona parte della tappezzeria argentea; si tratta principalmente di paesaggi di grande formato, con riferimento specifico a The Lake of the Dismal Swamp di John Gadsby Chapman (1808-1889). Una prima versione di questo soggetto è stata dipinta su un paracamino (1825, Richmond, Virginia Museum of History and Culture), appartenuto alla zia dell’artista, Mrs. A. Newton di Richmond. Secondo quanto riportato da Barbara Cantalupo in Poe and The Visual Arts, lo scrittore potrebbe aver visto direttamente l’opera in casa sua. Di certo più accessibile è l’incisione che ne ha ricavato James Smillie (1807-1885), pubblicata su varie riviste; si pensi soltanto al frontespizio del numero di maggio 1839 del Knickerbocker, di cui Poe era un assiduo lettore. Della veduta del lago, Chapman ha poi realizzato una versione a olio, esposta durante la mostra del 1836 alla National Academy of Design di New York. All’epoca, il quadro era già stato acquistato da George Bancroft, che Poe ha conosciuto tramite l’editore Thomas Willis White, ma il fatto che questi gliel’abbia mostrato rimane una mera congettura.

In ogni caso, la citazione puntuale all’interno del saggio sull’arredamento fa presupporre che Poe, perlomeno grazie alla diffusione dell’incisione, avesse ben in mente l’opera. Ne deve aver apprezzato lo scorcio malinconico, coi tronchi spezzati che affiorano dal pelo dell’acqua e la cornice di fogliame pendulo. Si può dire lo stesso dei colori, se ha effettivamente avuto modo di vedere il paracamino o il dipinto a olio: per quanto sullo sfondo si apra una zona illuminata, che coglie forse il momento dell’albeggiare, con nuvole rosa che solcano il cielo e tenui riflessi di un pallido arancio che si propagano sulla superficie lacustre, a predominare sono le tonalità smorzate della vegetazione, tra l’ocra rossastra e il verde sottobosco, e in primo piano spicca la parte in ombra del lago, intrisa di un grigio denso, omogeneo, quasi tattile. Si riscontra quindi una chiara corrispondenza con le indicazioni coloristiche presenti in entrambe le versioni del saggio, dove viene specificato che i toni di ciascun dipinto devono essere caldi, ma scuri, senza effetti scintillanti. Inoltre, non è forse un caso che al 1827 risalga una lirica giovanile di Poe, intitolata proprio “Il lago”: questo, descritto come solitario e oscuro, partecipa inevitabilmente della medesima atmosfera della veduta di Chapman.

Meno preciso è il riferimento alle «fairy grottoes» di Clarkson Frederick Stanfield (1793-1867), pittore inglese famoso soprattutto per quadri di marine. Nei suoi paesaggi, si scorgono spesso imponenti speroni rocciosi, ma la citazione è troppo generica per risalire a un’opera specifica. Tuttavia, a livello di suggestione, non si può non rimanere colpiti da un dipinto come Mountainous landscape with a hunter and travellers, presentato all‘asta presso Bruun Rasmussen a Copenhagen nel 2012. Per la gamma cromatica delle rupi erbose e per la struttura compositiva, il quadro è avvicinabile a quello di Chapman. Inoltre, tra le rocce in primo piano si scorge una piccola cavità, da considerarsi perlomeno come una vaga allusione alle grotte del saggio. Tuttavia, l‘elemento più affascinante è dato dal cielo fortemente atmosferico, oscurato da una coltre di caligine ferrigna, ad eccezione di uno squarcio arcuato, dove appare invece di un azzurro limpido, facendo così risaltare le abbacinanti vette innevate (e forse Poe avrebbe perdonato questo scintillio che di norma non è ammesso per i quadri della sua stanza ideale).

A simili scenari naturali si aggiungono in “House Furniture”, come già detto, alcuni ritratti femminili secondo lo stile dello statunitense Thomas Sully (1783-1872), di cui Poe, stando alle osservazioni di Cantalupo, predilige in particolar modo il taglio romantico. Occorre inoltre ricordare il legame d’amicizia tra lo scrittore e il nipote di Sully, Robert, anch’egli pittore, dal momento che una sua opera sarebbe stata una fonte d’ispirazione proprio per il ritratto ovale (cfr. cap. 9.1).

Nel racconto, non si fa alcuna menzione ai soggetti dei quadri del castello; tuttavia, considerate le tangenze fin qui rilevate con il saggio sull’arredamento, si può vagheggiare che anche in questo caso si tratti di paesaggi malinconici, dalle tonalità brumose, e di delicati ritratti velati di romanticismo. Questi fungono da adeguata cornice per il dipinto fatale che, metaforicamente parlando, è a sua volta a tinte scure.

Quel che è certo è il loro numero impressionante: fin da subito viene infatti messa in evidenza una vera e propria profusione di dipinti, a cui è stato dedicato tutto lo spazio possibile, lasciando trapelare un indizio lampante della loro importanza per chi ha vissuto nell’edificio prima del recente abbandono, tanto da suggerire un intento collezionistico. In termini di sguardo, è un primo impatto potente; le parole di Poe delineano un affastellamento fitto e soffocante di tele, in grado di suscitare una vertigine da horror vacui. Non vi è angolo o nicchia in cui non ne siano state collocate; anzi, le si può immaginare quasi sovrapposte l’una sull’altra per meglio adattarsi alla bizzarra architettura degli ambienti del castello.

Un simile sfoggio di opere non può non ricordare gli allestimenti da quadreria, che a partire dal Seicento caratterizzano le raccolte d’arte nobiliari o di ricchi esponenti della borghesia: i dipinti venivano infatti accostati senza soluzione di continuità, rivestendo intere pareti fino ad arrivare al soffitto. Di questa consuetudine espositiva rimangono numerose testimonianze visive grazie ai pittori dell’epoca: basti pensare alle serie di allegorie dei cinque sensi, dove tra gli elementi che simboleggiano la vista compaiono in bella mostra proprio le quadrerie. Tra gli esempi più significativi, si segnala l’Allegoria della vista e dell’olfatto, commissionata a Jan Brueghel il Vecchio (1568-1625) e portata a termine con la collaborazione di altri maestri della città di Anversa (1618-1620, Madrid, Museo del Prado). Sullo sfondo, si apre una galleria gremita di opere d’arte; sulla sinistra, sopra una fila di sculture, i quadri appesi si susseguono fino a toccare il cornicione della volta. Nella sala in primo piano, l’esposizione è ancor più fitta; le tele sono addirittura accatastate sul pavimento e le cornici dei dipinti appesi alle pareti sono accostate in modo millimetrico. Quest’opera voleva essere una rappresentazione idealizzata delle collezioni dell’arciduca d’Austria Alberto VII d’Asburgo e della moglie Isabella Clara Eugenia, di cui sono riconoscibili i ritratti sull’estrema destra, in un quadretto appoggiato su un tavolo. D’altra parte, è facile trovare dipinti che rappresentano quadrerie private realmente esistite. Ne è un esempio l’opera del fiammingo Frans Francken II (1581-1642), Le Cabinet d’amateur de Sébastien Leerse, che raffigura il mercante di Anversa nella sua galleria d’arte personale (1628-1629, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten). Questa è decisamente meno fastosa della precedente; tuttavia, è interessante per il dettaglio di alcuni dipinti dalla cornice rotonda che si sovrappongono sugli angoli delle opere adiacenti di formato rettangolare.

Osservando i quadri citati, è facile lasciarsi trasportare dall’immaginazione e pensare di catapultare in simili scene gli stessi personaggi del racconto: quando s’insediano nella torretta isolata – forse la stessa in cui è stato realizzato il ritratto ovale – si trovano in effetti circondati da una grandiosa quadreria.

1.3. Il racconto del catalogo

La centralità dei dipinti nelle dinamiche de “Il ritratto ovale” viene ulteriormente convalidata dal ritrovamento del volumetto a loro dedicato, che ne fornisce un’analisi critica e la descrizione. Stando a tali indicazioni sul suo contenuto, lo si può considerare a tutti gli effetti un catalogo della quadreria, che va a integrare l’osservazione diretta delle opere. Al bombardamento visivo dato dall’allestimento si aggiunge quindi un rafforzativo scritto: fra tutti gli oggetti d’arte e di pregio presenti nel castello, soltanto la collezione pittorica è apparsa meritevole di attenzione e di studio, con conseguente necessità di documentarne le peculiarità estetiche e di preservarne le memorie collegate.

In realtà, ai fini narrativi, per il ritratto ovale si ricorre a un espediente ecfrastico per cui gli aspetti stilistici e iconografici, invece di comparire sulla pagina scritta, vengono anticipati – come già accennato – attraverso gli occhi del protagonista. Quanto riportato dal volumetto assume invece i contorni di una biografia romanzata, con cui entrano in scena il pittore e la sua sposa, destinata a diventare il soggetto del dipinto.

In ogni caso, è proprio su questa alternanza tra contemplazione e lettura che si sviluppa l’andamento della trama, dando vita a un gioco di rimandi dove la parola diventa immagine e viceversa. Non a caso, per leggere la storia del ritratto ovale, il narrante rimette il candelabro nella posizione iniziale, relegando di nuovo nell’ombra il quadro appena scoperto. All’osservazione si sostituisce così la parola scritta, che risulta determinante per far conoscere nuovi aspetti e sfumature dell’arte figurativa presente nel castello. Infatti, per quanto dominante e onnipresente, il suo ruolo non si esaurisce nel mero collezionismo.

Il volumetto mette subito in evidenza la dedizione morbosa del pittore nei confronti del suo lavoro, e quest’informazione potrebbe condurre a un’ulteriore caratterizzazione della quadreria del castello, soprattutto se la si associa a una precisa indicazione esplicitata nell’incipit del racconto. I dipinti vengono infatti definiti moderni, e questa distinzione cronologica rispetto agli altri arredi artistici del castello non può non avere una qualche rilevanza. È infatti plausibile che si tratti di opere pressoché contemporanee rispetto al tempo narrativo. In più, se si considera che l’abbandono del castello appare improvviso e recente, è lecito supporre che i quadri appesi nella torretta facciano parte della produzione del pittore. In quest’ottica, il volumetto si configurerebbe come un suo catalogo ragionato.

Dalla biografia dell’artista emerge infine un altro dato fondamentale: il suo amore per l’Arte è tale da arrivare a personificarla, rendendola a tutti gli effetti una vera e propria rivale per la moglie.

1.4. Arte vampira

Proseguendo nella lettura del volumetto, diventa chiaro che l’Arte ricopre il ruolo di antagonista nelle dinamiche di coppia tra il pittore e la sua sposa. Infatti, si rivelerà un’avversaria in amore ingombrante e spietata, che priva la fanciulla di una serena e appassionata vita coniugale e che infine contribuisce ad ucciderla. La sua vittoria è definitivamente sancita nel momento in cui, attraverso la realizzazione del ritratto da parte del pittore, l’essenza vitale della giovane viene assorbita all’interno della stessa tela dipinta, e quindi in uno spazio e medium della sua dimensione.

In questo tipo di processo, si possono rilevare evidenti somiglianze con il modus operandi delle figure vampiriche. Come osserva James Twitchell in un articolo sull’argomento, il fatto che la prima versione del racconto si intitolasse “Life in Death” pare già di per sé un riferimento alla mitologia del vampiro, proprio per l’assonanza con «the living dead». Tra l’altro, ciò che rende più atroce il destino di un vampiro è l’essere destinato a predare le persone che più amava prima della trasformazione.

Già in altri racconti di Poe si trovano trasferimenti vampireschi di energia, o ritorni di donne diversamente vive: si pensi a “Berenice”, “Morella”, “Ligeia” e anche a “Il crollo di casa Usher”. Nel caso de “Il ritratto ovale”, la componente vampirica trova però un ulteriore sviluppo, poiché coinvolge sia il pittore che la sua Arte, oltre allo stesso atto di creazione pittorica. In questo senso, non si può non concordare con Twitchell quando afferma che in questo racconto Poe ha creato la variante più sofisticata sul tema del vampiro.

Anche Michiel J. O. Verheij ritorna sulla questione in un suo articolo, soffermandosi però più in profondità sulle conseguenze mortifere del ritratto. Come già sottolineato, la versione dipinta della fanciulla diventa una rivale di quella in carne e ossa, e mentre l’artista lavora per creare un’immagine che abbia una perfetta e assoluta rassomiglianza con la moglie, la compagna reale se ne discosta sempre di più, poiché sfiorisce progressivamente durante le fasi di realizzazione del ritratto. Quando questo giunge al termine, la modella è ormai spirata; si può quindi affermare che la donna sia stata letteralmente «painted to death», ovvero dipinta a morte. Infatti, il quadro rispecchia l’originale, ma al tempo stesso lo rimpiazza. Il paradosso sta proprio nel fatto che, nell’uccidere la moglie, il pittore abbia creato qualcosa di simile a una nuova vita. Inoltre, nel momento stesso in cui la fanciulla muore, ottiene comunque l’immortalità attraverso il ritratto. Si è tentati di notarvi un altro collegamento con il mito vampirico, questa volta in relazione alla trasformazione della vittima vampirizzata; qui il vampiro è fatto di pittura e tela, ed è questa la forma che assume a sua volta la fanciulla. Il racconto di Poe presuppone quindi un’ambigua e complessa relazione tra le dimensioni dell’arte, della vita e della morte, e tutti questi opposti sono uniti nell’atto della creazione pittorica. In particolare, si torna sul concetto di vampirismo soprattutto nel passaggio in cui il pittore sottrae il colore dalle gote della fanciulla per trasporlo sulla tela, evocando una sorta di trasfusione che ben esprime l’idea di un trasferimento nel quadro dell’energia vitale. In tal modo, il ritratto risulta quasi letteralmente dipinto col sangue della donna.

In ogni caso, al di là delle metafore vampiresche, si può dire che la fanciulla cade vittima di una «death by representation», ovvero di una morte per rappresentazione.

Il pittore ha sempre amato l’Arte più della moglie; non a caso, durante la creazione del ritratto, ha occhi solo per quest’ultimo, mentre non si accorge del peggioramento delle condizioni fisiche della compagna. Quindi la fanciulla ha due rivali, il marito e la propria immagine nel ritratto, che va a sostituirla derubandole la vita. Ma i due rivali, in fondo, sono due facce della stessa medaglia, sono uno e lo stesso: l’uomo incarna l’azione del dipinto e viceversa. D’altra parte, il ritratto rappresenta sia la prima che la seconda moglie del pittore, già sposato con l’Arte ben prima di legarsi alla fanciulla. In qualche modo, attraverso quest’opera, l’uomo ha voluto unirle, fallendo però nell’intento, poiché la moglie reale muore. Di conseguenza, l’Arte, in quanto prima sposa del pittore, riprenderebbe il suo posto, come accade in “Ligeia”.

Il risultato è un’inversione del famoso mito di Pigmalione, a sua volta legato al concetto di mimesi e alla relazione tra immagine e originale. Infatti, nel racconto di Poe, non è un’opera d’arte inanimata a diventare una giovane in carne e ossa, bensì l’opposto: una fanciulla vivente involve in uno statico ritratto. Si riconferma così la vittoria dell’Arte sulla sposa del pittore, in un passaggio da organico a inorganico dove la paradossale vitalità di quest’ultimo rimanda di nuovo a “Il crollo di casa Usher”, a dimostrazione di una robusta coerenza tematica di questa fase della produzione di Poe.

 

2. Illustrando “Il ritratto ovale”

Fin qui, operando una sorta di zoom, si è offerta una panoramica che, partendo dal set della camera da letto del castello, si è poi focalizzata sulla quadreria, fino ad arrivare al ritratto ovale e alle sue caratteristiche intrinseche. In questo modo, si è cercato di raccogliere la molteplicità di suggestioni artistiche su cui si basa la narrazione, ancor più apprezzabile poiché nello spazio di poche pagine ne offre una varietà davvero ricca. Poe ha mostrato un’abilità magistrale nel dipingere con le parole ambientazioni, atmosfere e opere d’arte; per tal motivo, questo è forse il racconto più emblematico del suo rapporto con la pittura.

Si può ora passare dalla parola all’immagine, affrontando una carrellata di illustrazioni ispirate a “Il ritratto ovale”, scelte sulla base di un’indiscutibile rilevanza da un punto di vista iconografico. Verranno prese in esame sia quelle realizzate in anni più vicini alla pubblicazione del racconto, sia quelle di età più recente, se non addirittura odierna, con qualche incursione anche nelle versioni a fumetti. La disamina, tuttavia, non seguirà un criterio cronologico, ma proporrà un percorso tematico in relazione all’analisi dei momenti cruciali nello sviluppo della trama. Si partirà quindi dall’arrivo del protagonista al castello, per poi passare alle fasi di realizzazione del ritratto, fino ad arrivare alle rappresentazioni, decisamente più numerose, della morte della fanciulla. Nello specifico, è stato bello constatare come Poe sia un classico senza tempo che ancora ispira i contemporanei, ed è stato altrettanto stimolante individuare gli accorgimenti a cui sono ricorsi gli artisti per riproporre i punti di svolta del racconto in modo innovativo, a volte discostandosi anche di molto dal testo scritto, ma onorando comunque l’opera di partenza.

 

(Il saggio prosegue con l’esame tipologico delle tavole secondo quest’indice:

2.1. Incorniciare la cornice narrativa

2.2. Sguardi sul ritratto ovale

2.3. Cornici mortifere

2.4. Dipinta a morte

2.5. Ritratto di cadavere

2.5.1. Come la bella addormentata

2.5.2. Corpi prosciugati e scarnificati

2.6. Metamorfosi del ritratto ovale )

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