di Gioacchino Toni
Giuseppe Ranieri, Matthias Moretti, Curve pericolose. Antagonisti, sovversivi, antifa: quando le gradinate minacciano il potere, Il Galeone editore, Roma 2021, pp.
“Fuori la politica dalle curve” è un adagio spacciato come espressione di semplice buon senso che risuona, online come offline, tutte le volte che qualcuno, forse non sapendo cosa altro dire, tenta/spera di spostare un discorso che rischia di infrangere la bolla in cui il giocattolo calcio “dovrebbe” essere mantenuto, come si trattasse di un videogioco destinato ad essere separato dal mondo fuori-schermo. Ma se nemmeno l’universo videoludico è davvero una realtà a sé stante rispetto a quella che lo ha progettato, prodotto, immesso sul mercato e che lo utilizza, figurarsi se può esserlo quel carnaio umano che sfoga, nel bene e nel male, le sue passioni e le sue frustrazioni sugli spalti di uno stadio.
Certo, se si intende con il termine “politica” quella sorta di show televisivo propinato quotidianamente a reti unificate – nei confronti del quale persino i dibattiti sul nulla messi in scena, anticipando i tempi, dal Processo del lunedì di Biscardi sembravano più seri –, allora che questa politica resti davvero lontana dalle curve, ma se – scrivono Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti nel loro Curve pericolose – si intende per “politica” «la voce collettiva che si alza da una comunità di persone, su un qualsiasi argomento che riguarda quella collettività», allora occorre accettare il fatto che «una curva è senza dubbio una comunità di persone, oltretutto molto coesa per via di un’appartenenza profondamente vissuta e molto semplice da intraprendere», dunque diventa chiaro che «non esiste, e non può esistere, una curva “totalmente apolitica”, per quanto ce ne siano molte che si professano tali».
Non mancano di certo tifoserie che esprimono precisi orientamenti politici e, quando ciò avviene, in linea con una propensione ultras votata ad esasperare tutto, si tratta facilmente di posizionamenti attorno ad immaginari politici estremi. Così come vi sono casi di convivenza di sensibilità politiche anche molto diverse all’interno della stessa curva e, a volte, persino dello stesso gruppo. «C’è poi da considerare il senso del branco, fortissimo nelle dinamiche di stadio e influente anche sugli aspetti “politici”: spesso basta che avanguardie riconosciute all’interno della curva siano nettamente schierate, per fare in modo che la massa le segua nell’intonazione di certi cori e nell’esposizione di certi simboli, cosicché sembra che ci sia una forte consapevolezza politica che pervade tutti; in realtà spesso non è così, ed è una “militanza della domenica” che poi non trova seguito nella vita quotidiana, e questo vale tanto a destra quanto a sinistra».
Se, come detto, l’adagio “fuori la politica dalle curve” non ha molto senso, qualche riflessione merita anche lo slogan “fuori i fascisti dalle curve”: non solo, come affermano gli autori del libro, occorrerebbe chiarirsi circa chi dovrebbe farsi carico dell’incombenza, ma, si può aggiungere che, sotto alla pur apprezzabile intenzione, pare aleggiare, nuovamente, l’idea dello sport come luogo al riparo dal resto della società. Cacciare dalle curve i fascisti è di certo lodevole ma rischia di tradursi in un relegare il problema là fuori, lontanto dal sacro agone sportivo-campanilistico, nella società, tra le brutture quotidiane dei suoi quartieri.
Curve pericolose racconta storie di “aggregazioni da stadio” che hanno saputo interpretare i sentimenti e le pulsioni di rottura propri di comunità urbane, quando non addirittura nazionali, che in alcuni momenti e in determinate circostanze hanno voluto e saputo opporsi al potere. Le tifoserie a cui viene fatto riferimento nel volume non sono state selezionate in base ad una semplicistica “conta” dei vessilli con l’effige del Che o delle stelle rosse riprodotte sugli striscioni, quanto piuttosto per l’essere state nei fatti “curve pericolose” per l’ordine costituito, per il protagonismo dispiegato al fine di migliorare la propria situazione di esistenza insieme a quella della comunità di appartenenza.
Per scendere nel concreto, gli esempi delle rivolte in Turchia contro il regime di Erdogan, guidate nelle piazze dagli ultras delle varie squadre uniti nella causa comune, così come l’azione di varie tifoserie nordafricane nell’epoca alle cosiddette “primavere arabe” e in quella successiva, rappresentano esempi interessantissimi di sfida aperta al potere costituito, pur non potendosi inserire comodamente nei nostri schemi ideologici […] Ci saranno quindi, senza dubbio, le storie inserite in modo più chiaro nella tradizione politica della sinistra rivoluzionaria, ma anche qui, spaziando in giro per il mondo, vediamo che le sfaccettature sono tantissime, perché nei diversi angoli della terra e nelle diverse epoche cambiano i rivoluzionari così come cambiano i nemici da combattere. Ci saranno vicende che affondano le radici nella storia lontana, nella fondazione stessa dei club e nelle lotte contro le potenze coloniali, per affermare la propria indipendenza, come nel caso del Celtic Glasgow, baluardo irlandese, cattolico e proletario nel cuore del Regno Unito, che per forza di cose non poteva che avere una storia di totale antagonismo; o come nel caso dei Paesi Baschi e della Catalogna e delle loro espressioni sportive all’interno di una lotta irriducibile per l’indipendenza e l’autodeterminazione politica; o ancora, come quella dell’Omonia Nicosia, baluardo internazionalista in un paese in cui il cancro del nazionalismo su base etnica ha portato grandi tragedie. D’altro canto ci saranno storie di contrapposizioni nate al contrario in epoche del tutto recenti, come accade in paesi come Israele e Stati Uniti, che spesso consideriamo (a ragione) avamposti del peggiore oscurantismo imperialista, ma dove allo stesso tempo fioriscono anche gli antagonismi, e negli ultimi anni fioriscono anche e soprattutto sulle gradinate. Attraverseremo, come detto, le piazze bollenti della Turchia e del Nordafrica, ma anche le altrettanto roventi città dell’America Latina che si rivoltano contro i governi della destra neoliberista e nostalgica delle dittature fasciste del Novecento. Perché in quelle città c’è anche un inestimabile ed enorme patrimonio di lotte e movimenti sociali, e quindi, manco a dirlo, ne sono piene anche le curve. Non mancheremo poi di soffermarci, grazie anche a preziosi contributi di cari amici, su piazze europee coerentemente presenti nelle lotte anticapitaliste degli ultimi decenni, come quelle greche e quella del Sankt Pauli, o come quelle delle torride e tragiche giornate di Genova 2001, così strettamente connesse ai movimenti politici e sociali che si battono senza sosta contro lo stato di cose presente.
Nell’affrontare in questo volume il fenomeno ultras, rifacendosi alle categorie dei banditi, dei ribelli e dei rivoluzionari proposte da Eric Hobsbawm, secondo gli autori la categroria a cui possono essere associati gli ultras è quella dei banditi, in particolare gli aiduchi, che lo storico inglese «indicava come la forma più alta di banditismo primitivo: un uomo libero che non si considera da meno dei signori, che vive nell’anonimato ai margini della società dotandosi di strutture sociali, combatte contro gli oppressori, ma non è legato ad approvazioni morali che siano differenti dalla propria, in una dimensione prepolitica e potenzialmente in perenne rivolta».
Ranieri e Moretti individuano in questo
un ritratto chiaro di chi si ritrova idealizzato suo malgrado, proprio come gli ultras quando si sono ritrovati a scendere in piazza dando anima all’adagio “ci togliete dagli stadi, ci ritroverete nelle strade”, ma spesso senza quell’intenzionalità che gli è stata affibbiata a posteriori per romanticizzarne i tratti. Molto più prosaicamente, la gentrificazione del calcio e la normalizzazione delle curve a un certo punto sono diventate tasselli fondamentali della ristrutturazione sociale che impone il nuovo corso neoliberista, e coloro che avrebbero dovuto tradurre in pratica questo nuovo paradigma facendolo rispettare alla “plebe” sarebbero stati i medesimi attori di sempre: i presidenti oligarchi a raccogliere i frutti più maturi e le forze dell’ordine a fare rispettare il nuovo ordine. Proprio la commistione tra la capacità – propria degli ultras – di fronteggiare queste ultime senza paura e l’allergia a ogni forma di autorità e alle gerarchie sociale imposte dall’esterno sono i motivi per cui è nato questo libro, in cui si è cercato di rintracciare analogie e differenze tra i vari casi [evidenziando] come certi gruppi, a prescindere dal reale attivismo propriamente politico, costituiscano quasi una subcultura nazionale capace di coagulare generazioni di ribelli, reietti e sognatori che spesso la prima volta che sono scesi in piazza non avevano altra bandiera per cui battersi se non quella della propria squadra del cuore.
Soprattutto di questi tempi è difficile non pensare a quanto alcuni settori dell’universo ultras abbiano, nei fatti, finito per fare da manovalanza al potere in diverse sue sfaccettature, dalla criminalità organizzata ai gruppi militari. Di certo le curve rappresentano una palestra di violenza e autoritarismo che hanno trovato sbocchi persino nel più infame e sanguinario nazionalismo in mimetica – basti pensare ai conflitti nei Balcani e in Ucraina –, il volume di Ranieri e Moretti ha il merito di ricordare e raccontare come le curve siano però anche spazi d’intervento e di vita per antagonisti, sovversivi e antifascisti ostili al potere in tutte le sue forme.