di Franco Pezzini
Almanacco dell’Italia occulta. Orrore popolare e inquietudini metropolitane, a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni, pp. 336, € 24,00, Odoya, Città di Castello 2022.
Seguito ideale dell’Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano degli stessi curatori Camilletti e Foni e per gli stessi tipi Odoya, questo nuovo Almanacco – il termine è importante, a suggerire una varietà di temi da compendio popolare – torna anche a riproporre la dialettica del volume precedente tra Folk Horror e Urban Wyrd. Soffermandosi qui maggiormente su questo secondo aspetto, per cui l’inurbarsi dell’orrore popolare legato alla civiltà rurale a seguito dei fenomeni di migrazione interna al Paese, e lo stesso imprevisto innesto di storie perturbanti sul tessuto cittadino, conducono all’assorbimento di inquietudini specifiche della vita metropolitana. Ne emergono paure dai connotati arcaicissimi ma in realtà sempre presenti – magari con disagio, vergogna o strappando ironie forzate – al nostro orizzonte interiore, irruzioni dell’occulto, dell’insolito e dello strano che in un’indagine di questo tipo (in gran parte saggistica e memoriale, con modiche dosi di fiction) permettono di svelarsi anche a noi quale conosciuto non riconosciuto: in sostanza, perturbante. Il volume richiama anche uno studio precedente di Camilletti, Italia lunare. Gli anni Sessanta e l’occulto (Lang, 2018), virato su editoria, cinema e televisione nei Sixties: in questa coppia di Almanacchi ne troviamo l’ideale sviluppo cronologico con una fase topica negli anni Settanta e strascichi fino all’oggi.
Articolato in tre parti, dopo la bella introduzione Storie arcane di Fabrizio Foni (qui maestro di cerimonie, come Camilletti lo era stato del primo volume), il volume presenta ricche spigolature dai rotocalchi e incomparabili amarcord, con storie altrimenti destinate a perdersi. Teniamo presente il ricchissimo fondo di storie familiari che nutre gli annali dei fantasmi nostrani: sarebbe davvero prezioso che si prendesse l’abitudine di trascrivere tali storie, con tutte le ricchezze e le trasversalità delle appartenenze sociali. Come ricorda Pupi Avati,
La tavola veniva sgombrata, tutti si sceglievano una sedia e mia zia Laura tirava fuori da non so dove un tabellone con le lettere e un piattino: era il momento della seduta spiritica. Non avendo televisione né altri passatempi, la grande passione di quel periodo era l’evocazione dei defunti, praticata come gioco, senza alcuna titubanza in una famiglia cattolica come la mia, malgrado la tassativa proibizione della Chiesa.
A casa mia non si usava (lo faremo noi, da ragazzi, negli anni Settanta, con un ruspante spirito sperimentale che oggi mi appare piuttosto naïf), però ricordo il fascino e il brivido quando questi temi venivano evocati, magari alla venuta dei parenti, a casa di mia nonna. Storie spesso legate alla guerra: dall’amica che pettinandosi al mattino allo specchio se n’era uscita nel raggelante e incomprensibile epiteto “vedova” senza sapere che il marito era appunto caduto su qualche fronte, al conoscente di mio zio angosciato perché sapeva quali dei compagni d’armi non sarebbero tornati dalle missioni, doveva resistere alle loro pressioni sul tema e rientrando in casa si vedeva accogliere dal tavolino – tanto gonfio di medianità da muoversi sua sponte, lasciando tracce di sporco dove la gamba andava a battere sulle imbottiture circostanti… Prendeteli come mi sono arrivati: ma io li trovavo – e li trovo, ancora – terribili e meravigliosi.
La prima parte del volume riguarda – inevitabilmente, diremmo – Fantasmi d’oggi e leggende nere dell’età moderna: dopo una gustosa introduzione sul tema tra Leo Talamonti e le leggende metropolitane, vediamo così sfilare in spettrale processione i contributi di Francesco Scimemi, Via Principe di Scalea, 42, tra sedute spiritiche e riti crowleyani in quel di Palermo; Alessandro Scarsella, Nord e magia. Buzzati e altri reporter dell’occulto (Barzini, Pitigrilli, Angela, Bevilacqua); Tommaso Braccini, Culti innominabili. Percorsi popolari di sette diaboliche, rapimenti e sacrifici tra cronaca, leggenda e narrativa; Ivan Cenzi, SHOCK! Mezzo secolo di ‘Cronaca Vera’; Irene Incarico, Un devil dietro la schiena. Dalle leggende delle Tre Strade alla storia dei tre santerenzini in Brasile; Bruna Dal Lago, La Salwarìa (straordinario il tema della defunta strappata alla morte per altri sette anni, come attraverso certi rituali documentati in magia cerimoniale).
La seconda parte, Nel mezzo sta l’orrore, presenta – debitamente incorniciata dai cenni dei curatori – una lanterna magica di temi orrifici dove il folk traghetta al pop. Vi troviamo, a firma del leggendario Tony Binarelli, Alfredo: il Maestro; le ricognizioni di Antonio Tentori, La paura viene dal profondo. I film gotici di Pupi Avati (su un regista di importanza capitale per il recupero di queste tradizioni) e di Howard David Ingham, Tè, biscotti e satanismo, sull’immaginario nero di una serie di thriller cinematografici anni Settanta; i contributi di Felice Pozzo, «Chi l’ha vomitato? L’Inferno!». Superstizioni, spiritismo, magnetismo e tafofobia in Emilio Salgari, di Stefano Curreli sulla storica collana horror popolare I Racconti di Dracula, di Moreno Burattini, Nostra Italia degli Orrori. Breve cronistoria dell’horror nel fumetto italiano da Virus a Dylan Dog, di Luigi Cozzi, Horror: un ricordo (sullo storico mensile a fumetti 1969-1971, edito da Gino Sansoni), di Fabio Camilletti & Paolo Di Orazio, Splatter. La rivista che faceva incazzare i genitori (molto più tarda, compare nel 1989) e di Stefano Marzorati, Party on, dudes. Le stagioni del Dylan Dog Horror Fest; i testi dello iamatologo Massimo Soumaré, Guerrieri leggendari e creature soprannaturali del folclore italiano (e un confronto con le loro controparti del Sol Levante) e di Davide Bosco (già Davide Tarò), Suta la pàuta la carta campa, suta la pàuta la carta crepa, “un racconto di terrore e nostalgia, atto d’amore verso i periodici che ci piacciono” (dall’introduzione alla parte II).
La terza parte, Trilli del diavolo, da Tartini & Paganini di nuovo a folk e pop, denuncia già nel titolo come una certa musica strappi brividi d’epoca. Vi troviamo i testi di Claudia Padalino, Il fantastico viaggio del bagarozzo Goblin. Ovvero come la musica di ‘Profondo rosso’ (ma anche di altri film) si è infiltrata nel nostro immaginario; Eduardo Vitolo, Paranormal rock. «…e tu vivrai nel terrore!»; Antonello Cresti, Il black metal alla ricerca delle oscure radici; e il racconto di Maso Bisi (all’anagrafe Tommaso Bisi), Il violino di zio Bruno, apparso nel 1906. Il tutto con una quantità di ricchissime schede di approfondimento dei curatori.