di Paolo Lago
Paolo Zanotti, Trovate Ortensia!, Ponte alle Grazie, Milano, 2021, pp. 486, euro 22,00.
Trovate Ortensia! è un romanzo polifonico nel senso che possiede una pluralità di voci nel testo, secondo la definizione offerta da Michail Bachtin soprattutto in relazione ai romanzi di Dostoevskij. Si tratta di un’opera animata da più punti di vista, da più voci che si intrecciano e entrano in conflitto tra loro. Ma è anche un’opera aperta a una pluralità di stili e di registri nonché a una pluralità di ispirazioni. Non sono pochi, cioè, i riferimenti letterari sui quali è imbastita la sua tessitura narrativa. Il romanzo giunge solo ora alle stampe ma è stato scritto circa vent’anni fa, sul finire degli anni Novanta, da uno dei più originali scrittori e saggisti contemporanei, Paolo Zanotti, scomparso prematuramente nel 2012.
La vicenda si svolge a Pisa, nell’ambiente universitario della seconda metà degli anni Novanta (lo stesso vissuto dall’autore e, fra parentesi, anche dal sottoscritto). A creare scompiglio fra i personaggi principali del racconto (Florian, regista del teatro “Sant’Andrea”, la sua fidanzata Emilia, l’ingegnoso Luca, il poeta Giacomo, il “seduttore punito” Simone, Oreste e Lodovico, padri rispettivamente di Florian e di Emilia), a un certo punto, sopraggiunge una bellissima ragazza sconosciuta, Ortensia, la cui identità è sfuggente e non definibile dal momento che assume anche nomi diversi a seconda della situazione, Viola, Lisa, Arabella. Ortensia è un personaggio fluido, nomadico, caratterizzato da una propensione naturale all’erranza, soprattutto notturna, aperto a una pluralità di ruoli e di identità ed è caratterizzato da tratti soprannaturali tanto da essere connotato, in diversi momenti, come una vampira. Anche un altro personaggio, Emilia, possiede in sé una fluidità di genere che si oppone al rigido schematismo maschile-femminile. A un certo punto, infatti, per mezzo di una vera e propria metamorfosi transgender, la ragazza si tramuterà – fasciandosi i seni e indossando abiti maschili, quasi come la protagonista del film Titane (2021) di Julia Ducournau – nel fantomatico fratello Edoardo, che ha abbandonato da anni la casa paterna per vivere all’estero.
E sul palcoscenico pisano (importanti, come vedremo, sono i riferimenti al teatro) agisce una sarabanda di personaggi che sembrano muoversi ininterrottamente da una parte all’altra della città, in un impianto narrativo tenuto saldamente insieme da una struttura di tipo picaresco. Il soprannaturale, però, non si insinua nella narrazione solo tramite il personaggio di Ortensia: ci sono altri personaggi evanescenti, eterei, onirici, connotati anche da una venatura a metà fra il diabolico e il buffonesco, come Tancredi, il gatto parlante di Florian, con tanto di stivali, che si esprime con una elegante cadenza francese da moschettiere, o come Titti e Osvaldo, i “fratellini infernali”, o il personaggio ambiguo e sfuggente di Francesco Paolo o, ancora, il misterioso Hermann Salice Contessa.
Chissà se, tra le fonti di ispirazione di Zanotti, figura anche Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, uno dei più grandi scrittori russi contemporanei, nato a Kiev nel 1891. L’atmosfera fiabesca e onirica che si respira in Trovate Ortensia!, venata di soprannaturale, ricorda molto quella che ci avvolge se sfogliamo le pagine del capolavoro dell’autore russo. Secondo Francesco Orlando, “il soprannaturale è qui prima di tutto scatenamento dei precedenti leggendari dentro il quotidiano”1. Nella quotidianità della Mosca degli anni Trenta fanno irruzione una serie di personaggi dai tratti soprannaturali: Woland, un misterioso professore straniero esperto di magia nera (che altri non è se non il Diavolo in persona) e i suoi accoliti, tra cui incontriamo l’enorme gatto Behemoth che, insieme a Korov’ev (Fagotto) crea scompiglio in tutta Mosca con i suoi poteri magici; poi Azazello, che porta sempre un pince-nez con un vetro rotto, Hella, un vampiro femmina il cui nome è un chiaro riferimento a “Hell”, “inferno” e, infine, Abadonna, signore della guerra e servo di Woland. Secondo Orlando, questo romanzo “propugna anche di fatto una solidarietà tra soprannaturale e letteratura, dimensione privilegiata del diritto alla fantasia e alla libertà”2.
Anche il soprannaturale che pervade le pagine di Trovate Ortensia! dischiude una dimensione di fantasia e libertà: apre al lettore un immaginario liberato e trasforma i momenti quotidiani di una città in una sospensione magica e incantata, attraversata in alcuni momenti da connotazioni veramente orrorifiche e infernali. Come già accennato, i personaggi sono persi in un vortice nomadico e picaresco, impegnati in scorribande cittadine che diventano viaggi onirici e fiabeschi in spazi senza confini. Come sempre osserva Orlando, rifacendosi alle teorie freudiane, “come i giochi del bambino, la letteratura apre uno spazio immaginario fondato sulla sospensione o neutralizzazione della differenza tra vero e falso, uno spazio in cui vige il diritto di rispondere al piacere dell’immaginario”3. In uno spazio aperto ad un immaginario liberato si muovono anche i piccoli protagonisti di Bambini bonsai (2010), in cui Zanotti racconta con grazia e maestria il viaggio di Pepe e altri bambini in un futuro post-apocalittico e eco-distopico, verso la “casa-nave” di Petronella. In Trovate Ortensia! non sono solo i tratti soprannaturali a dischiudere una dimensione di fantasia e di libertà ma anche la stessa struttura “polifonica” della narrazione. Sono anche le svariate voci che agiscono nel racconto a offrire spazi di libertà, sono anche i diversi registri stilistici e lessicali, aperti verso un pastiche quasi gaddiano che bene ingloba nella narrazione parole ed espressioni del vernacolo pisano (i cui termini sono spiegati in un glossario alla fine del libro), a plasmare nuove aperture verso il piacere dell’immaginario. E, non da ultimo, a permettere le vie di accesso a una fantasia liberata è anche la natura enciclopedica dell’opera, cui si è già accennato, quella pluralità di generi e di autori che si nascondono dietro la tessitura narrativa.
Una natura enciclopedica che è riscontrabile fin dal titolo, il quale è una vera e propria citazione da Rimbaud, da H, un componimento delle Illuminazioni – nel quale l’enigmatica figura femminile è caratterizzata da “mostruosità” e “gesti atroci” – che si conclude proprio con le parole “trovate Ortensia” (“trouvez Hortense”). Del resto, un preciso rimando a Rimbaud lo possiede anche il personaggio di Florian, caratterizzato, durante uno dei suoi vagabondaggi per la città, come un “Pollicino rêveur incapace di rintracciare il filo della prossima mollica”. In La mia bohème, è lo stesso poeta francese a definirsi come un “Petit-Poucet rêveur” (“Pollicino sognatore”) mentre vagabonda per strade e osterie nelle notti di settembre. Il romanzo ritrovato di Zanotti è costellato anche da criptocitazioni, le quali, parafrasate, si inseriscono quasi naturalmente all’interno della narrazione, perfettamente inglobate e ‘naturalizzate’ nel testo ospitante. Ad esempio, nel momento in cui Francesco Paolo, nel suo giardino, è intento a sfogliare un libro sul Madagascar, sopraggiunge Ortensia come un’apparizione fantasmatica e l’autore commenta: “Perché gli spettri ti possiedano non c’è bisogno di una stanza, non c’è bisogno di essere una casa”, frase che appare quasi come una parafrasi dei seguenti versi di Emily Dickinson: “Non occorre esser camera né casa / per sentirsi invasati dallo Spettro” (One need not to be a chamber – to be Haunted / One not to be a House”).
Una spiccata letterarietà di fondo non risparmia neppure certe descrizioni trasognate dei personaggi. Nel momento in cui Emilia e Florian si incontrano per la prima volta, la reciproca attrazione che li travolge è rivestita di connotazioni romantiche venate di letteratura. Infatti, “Emilia era bella come una reincarnazione di Emilia Viviani, la Rapunzel dell’Ottocento rinchiusa nel convento di Sant’Anna e amata dal poeta Shelley esiliato a Pisa: Emilia Viviani, l’«anima amante che si slancia fuori del creato e si crea nel infinito un Mondo tutto per essa diverso assai da questo oscuro e pauroso baratro»”. Se Florian, nel guardare Emilia, possiede un filtro romantico e letterario, anche la ragazza, nel momento in cui vede il giovane per la prima volta, non è da meno: “E a questa apparenza di anima bella corrispondevano pensieri altrettanto romantici, se anche Emilia era riuscita allora a vedere in Florian, nei suoi riccioli e nella sua barba che sapeva di mare l’ultimo fiore di una lunga genìa di viaggiatori, pirati, avventurieri, liberatori della Grecia, garibaldini, anarchici cavalieri dell’ideale, partigiani, sessantottini e più in generale combattenti per la libertà”. Anche le descrizioni della città di Pisa sono incastonate in una dimensione letteraria e incantata. Se nella frase “in questo periodo, le notti di Pisa hanno qualcosa delle notti bianche”, la città toscana è immediatamente accostata all’immaginifica Pietroburgo di Dostoevskij, in quest’altro brano un po’ più lungo, la città, sotto lo sguardo di Ortensia, si trasforma letteralmente in uno scenario da romanzo:
Per le strade di Pisa, intanto, Ortensia cammina col suo passo ciondolante, eppure svelto e snello. Di tanto in tanto, senza fermarsi, sorride e ridacchia. Percorre via Vittorio Veneto, e poi via Battelli e via De Amicis fino all’arco e a piazza Gondole. Di lì inizia la scenografia notturna di via Santa Marta, e infine si arriva all’Arno. Dal ponte della Fortezza il fiume si vede più largo che dal ponte di Mezzo. Ci si può anche scendere e trovare un piccolo lembo di terra tra erbosa e sabbiosa. Ortensia si ferma sul ponte, ma guarda in alto. Al di sopra dell’Arno incombe un cielo romanzesco: metà turchino intenso, metà blu cobalto – forse domani pioverà (e forse è quello che stanno pensando tutti). Nella parte più chiara del cielo, le stelle vanno a comporre un percorso prefissato. Un aereo ne costeggia alcune e poi, sotto forma di automobile, si scontra con una stella più luminosa. Ortensia ridacchia e sorride, sorride e ridacchia, poi guarda al vecchio palazzo del lungarno Galilei, si rabbuia e se ne va (pp. 112-113).
Come in un esperimento di geopoetica, le vere strade di Pisa si trasformano in uno scenario narrativo e romanzesco. Con Trovate Ortensia! possiamo insomma divertirci a seguire un personaggio letterario sulla mappa reale di una città, come fa Umberto Eco con Parigi per scoprire “dove abitava quell’individuo reticente e misterioso che era Aramis”4 oppure a ripercorrere dal vero quelle stesse strade nella Pisa contemporanea che, da quella seconda metà anni Novanta, non è poi cambiata così tanto.
Una ben salda caratterizzazione letteraria (e musicale in quanto, in un’occasione, si trasforma quasi nella Marinella della celebre canzone di De André) la possiede anche Ortensia. Nella sua veste di personaggio etereo e fantasmatico viene infatti più volte avvicinata a una vampira. Non a una vampira qualunque, ma a Carmilla, la protagonista dell’eponimo romanzo di Joseph Sheridan Le Fanu del 1872, a cui si ispira anche il nome di questa webzine. I riferimenti alla vampira del romanzo dello scrittore irlandese vengono attuati anche tramite un sottile gioco allusivo, in quanto “Carmilla” è il nome di un locale di Pisa, molto frequentato dagli studenti nel periodo in cui si ambienta il romanzo. Ad esempio, a proposito di Viola-Ortensia così si esprime Luca: “Luca, per sdrammatizzare, gli disse che l’aveva scampata bella, perché questa Viola – che non a caso, beh, era finita al Carmilla – doveva essere tipo una vampira aliena che deve accoppiarsi, e all’uopo cerca il maschio più adatto […]”. E anche di fronte alle avances del “seduttore” Simone, Ortensia ha una reazione quasi vampiresca: “La reazione di Ortensia a queste effusioni si dimostrò, anzi, persino eccessiva, specie quando si chinò sul collo di Simone e iniziò a succhiarlo e baciarlo metodicamente, quasi a fargli male”. Successivamente, la ragazza appare preda di una misteriosa malattia – simile a quella da cui è afflitta Carmilla – che la illanguidisce e la fa dormire molto, rendendola ancora più evanescente ed eterea. Tra l’altro, ammalata, viene condotta a casa di Emilia, la quale le si affeziona nello stesso modo in cui, nel romanzo di Le Fanu, Laura, che vive con il padre in un castello isolato della Stiria, si affeziona alla languida e bellissima protagonista. E, non a caso, una volta che Ortensia si sarà ristabilita, Emilia progetta di portarla proprio al “Carmilla”: “Progetto per il prossimo fine settimana: la metto in tiro e la porto al Carmilla”. Un diretto rimando a Carmilla di Le Fanu è poi attuato da Florian, in riferimento alla possibilità che Arabella e Ortensia possano essere la stessa persona: “Però, se è veramente il suo vampiro, doveva averci il nome anagrammato: Carmilla-Mircalla. Ortensia, invece, non c’incastra con niente”. Si può ricordare che un riferimento alla protagonista del romanzo dello scrittore irlandese lo incontriamo anche in un racconto di Zanotti dal titolo La cella geografica (adesso, insieme ad altri racconti usciti sul “Caffè illustrato” fra il 2004 e il 2010, incluso nella raccolta L’originale di Giorgia e altri racconti, pubblicata nel 2017): qui, l’io narrante riveste di connotazioni quasi demoniche e soprannaturali una sua amica d’infanzia di nome Camilla, chiamata appunto con i due appellativi dei doppi di Carmilla, Mircalla e Millarca, anagrammi del nome della fanciulla vampiro.
Come già accennato, anche la dimensione teatrale riveste una notevole importanza in Trovate Ortensia!. Punto culminante della polifonia espressiva che anima l’intera narrazione è la messa in scena finale al “Sant’Andrea” del Racconto d’Inverno di Shakespeare: il teatro pisano si configura come lo spazio affabulatorio verso il quale convergono le erranze narrative del racconto e che vedrà riuniti tutti i personaggi. Il paradigma teatrale, nel romanzo di Zanotti, non è però rappresentato soltanto dal modello illustre di Shakespeare (pure se diverse opere dell’autore inglese appaiono come importanti ipotesti nel senso delineato da Gérard Genette). Esso compare anche, se così si può dire, in una sua dimensione più umile e popolare incarnandosi in una vera e propria rappresentazione di teatro vernacolare pisano attraversata dal registro stilistico più basso e buffonesco. Memorabile è la scenetta domestica, dominata da trovate comiche espresse con termini dialettali e popolari, che vede protagonisti il signor Lodovico, sua figlia Emilia, il signor Oreste e suo figlio Florian. Lodovico arriverà poi a trasformarsi quasi in un re che tiene imprigionata la figlia nella torre del suo castello per impedirle la frequentazione del pretendente Florian. Allora si scateneranno duelli, singolar tenzoni, avventure degne di un romanzo cavalleresco, monologhi drammatici in una granduignolesca mescolanza fra alto e basso.
Ogni dimensione narrativa appare dolcemente pervasa da un soprannaturale che, alleandosi con la letteratura, come osservava Orlando riguardo al Maestro e Margherita, permette il dischiudersi di un irrinunciabile diritto alla fantasia e alla libertà. È qui, credo, che risiede l’aspetto più significativo di Trovate Ortensia!, un vero e proprio gioiello letterario che finora era rimasto nascosto e che adesso, come un dispettoso e salvifico folletto, è riemerso dalle brume degli anni Novanta. E davvero, ai giorni nostri, c’è più che mai bisogno di una letteratura che, per mezzo di un immaginario venato di soprannaturale, possa offrire inediti slanci di liberazione a percorsi fin troppo obbligati. E allora ci rendiamo conto di quanto ci manca, oggi, la magica penna di Paolo Zanotti.