di Armando Lancellotti
Claudio Vercelli, Neofascismo in grigio. La destra radicale tra l’Italia e l’Europa, Einaudi, Torino, 2021, pp. 112, € 15,00
Claudio Vercelli, nel suo ultimo libro, torna su un argomento già affrontato in precedenti lavori1, ma da una prospettiva almeno in parte differente: il neofascismo ed il radicalismo di estrema destra non vengono analizzati da un punto di vista tipicamente storiografico ed italiano, per individuarne le origini ed i legami di diretta emanazione dal fascismo storico, o gli sviluppi, le mutazioni e le diverse modalità aggregative, ovvero per analizzarne le manifestazioni terroristiche ed il coinvolgimento nelle pagine più tragiche della storia italiana del dopoguerra, cogliendo infine i lasciti odierni del neofascismo eversivo della stagione della prima repubblica. La prospettiva qui si allarga al resto d’Europa, con qualche incursione anche al di fuori di essa e l’analisi si limita nel tempo, focalizzandosi sulla stretta attualità del fenomeno.
Pertanto, più dei legami col fascismo storico, delle persistenze ideologiche di durata ormai secolare e delle prossimità o distanze da un idealtipo storiografico, Vercelli si propone di studiare e tracciare i connotati dell’odierno estremismo di destra, col preciso proposito di non cadere nell’errore dell’”astoriologia”, neologismo coniato da Emilio Gentile, con cui lo studioso del fascismo stigmatizza l’eccessivo e scarsamente rigoroso ricorso al ragionamento analogico che impiega il fascismo come concetto così elastico da renderlo applicabile a cose molto diverse tra loro, fino ad indebolirne l’efficacia interpretativa. Il fascismo come fenomeno storico-politico consustanziale al Novecento si è esaurito, perché ne sono venute meno le condizioni di possibilità, legate ai processi di piena affermazione del capitalismo industriale, ma se alla parola “fascismo” assegniamo un significato più ampio, tale da trascendere i limiti del periodo storico dei regimi fascisti, allora – osserva Vercelli – i collegamenti col presente sono evidenti. «Come spiegare, altrimenti, il ritorno del radicalismo di destra, che si richiama, spesso apertamente, a quel passato? Un fenomeno ancora marginale nel suo nucleo militante, assai meno se si considera il sistema di trasmissione subculturale che crea anelli di condivisione e di compromissione» (p. 4).
L’estremismo di destra oggi – osserva l’autore – si propone come “esercizio di contropotere”, come opposizione all’ordine delle cose esistente e come àncora di salvezza dinanzi ai disordini della modernità globalizzata; si rivolge a quella parte in continua crescita delle società occidentali che percepisce il declino irreversibile delle sicurezze di un tempo e il fallimento delle prospettive a venire. Anche il fascismo storico, figlio precoce del “secolo breve” e dell’evento tragico che lo ha inaugurato – la Grande Guerra – germinò dallo sconquasso di una società postbellica destabilizzata e disorientata, ben presto ergendosi ad argine del potere costituito nella lotta di classe contro il proletariato e la rivoluzione, anch’essa sollevatasi dalle macerie del conflitto.
Questo non significa, chiarisce Vercelli, «preconizzare e richiamarsi al “ritorno del fascismo”. Ciò almeno per due ordini di motivi: un fenomeno storico non si ripete mai nel medesimo modo; del pari, non si può parlare del ritorno di qualcosa che non se ne è mai andato via del tutto dalle società continentali, neanche con la frattura epocale del ‘45» (p. 12). Anzi, è proprio nella lotta contro l’ordine dei vincitori del ’45, considerati come antesignani ed artefici dell’attuale globalizzazione capitalistica, che i movimenti di estrema destra oggi trovano un punto di convergenza ed un argomento con capacità attrattive elevate a potenza dall’odierna crisi sistemica, in una dimensione che è sempre più transnazionale e che stabilisce connessioni e condivisioni tra movimenti di estrema destra in Europa ed oltreoceano.
Procedendo nella ricerca delle costanti e dei caratteri essenziali del neofascismo e dei radicalismi di estrema destra più in generale, Vercelli mette in evidenza come i fascisti di oggi per prima cosa si dichiarano non fascisti, ma al contempo deridano la matrice antifascista della Costituzione, sostenendo la necessità di superare le distinzioni tra destra e sinistra. In secondo luogo, si presentano come depositari del senso comune, come interpreti autentici del comune sentire di un popolo concepito in maniera anti-pluralistica, come comunità indistinta, priva di conflittualità interne, secondo un approccio all’analisi sociale che ricalca da vicino le modalità del fascismo storico. In terzo luogo, il Leitmotiv di tutta la destra estrema è la presunta e pretesa “non conformità” radicale del pensare e dell’agire neofascista, che si traduce in un sovversivismo e in un ribellismo tanto generici e disorganici quanto antidemocratici, la cui matrice originaria può essere colta nel dannunzianesimo e nel futurismo di Fiume. In quarto luogo, l’anti-intellettualismo fa da cornice generale, in quanto modalità di approccio alle cose, che rifiuta l’analisi della complessità strutturale della realtà materiale dell’epoca e della società odierne e preferisce il ritorno all’istinto e alla forza, che si nutrono delle suggestioni evocative di miti quali quelli ossessivi ed onnipresenti dell’“identità” e della “tradizione”.
«I neofascismi e i neonazismi, quindi, sono fenomeni al contempo mimetici e mitopoietici» (p. 13): conservano e replicano un nucleo ideologico essenziale e lo adattano al tempo presente; rifiutano la politica come partecipazione, pluralismo e impegno collettivo, contrapponendole l’identità, l’ordine, la gerarchia e l’etica della milizia. Si tratta di “suggestioni molto potenti”, osserva l’autore, che si stanno diffusamente rianimando in più parti dell’Occidente.
Il conflitto sociale principale che i radicalismi di destra cercano di intercettare e di incanalare è quello tra i cosiddetti “garantiti”, che con un lavoro regolare usufruiscono dei benefici del sistema sociale articolato nei suoi diversi organismi e chi da tale sistema è o si sente escluso. «L’azione del radicalismo di destra è volta a cercare di raccogliere l’adesione di coloro che si sentono esclusi dal circuito dei diritti» (p. 15). La destra fascista oggi cerca di assumere la rappresentanza di tale disagio, per orientarlo verso un rifiuto eversivo (non necessario violento, ma manifestabile anche nella forma della diffidenza, del discredito, dell’insofferenza) della democrazia partecipativa, delle sue istituzioni, dei suoi organi e dei suoi corpi intermedi rappresentativi.
Questo atteggiamento si struttura e cresce attorno ad alcuni principi essenzialmente presenti in tutte le manifestazioni odierne dell’estremismo politico di destra: l’idea di nazione come identità etnica, che riprende ed aggiorna al presente il principio fascista della comunità organica del popolo, della Volksgemeinschaft nazista; la logica dell’esclusione dell’altro, dell’alieno alla comunità; il complottismo, come paradigma di lettura dei rapporti sociali e di potere diseguali, interpretati come conseguenza non di conflitti e processi socio economici, ma in quanto effetti di trame segrete ordite dalle élites economico-finanziarie e politiche. Si aggiungono poi il demagogismo, come forma comunicativa; il rifiuto del pluralismo democratico rappresentativo, sostituito da una distorta “democrazia diretta”, consistente in realtà nel mistico rapporto non mediato tra comunità popolare e capo, secondo le modalità del Führerprinzip fascista; l’intolleranza verso ogni alterità, che si traduce in una visione bellicistica dei rapporti sociali, tale da creare unione e compattezza tra simili nella lotta contro il comune nemico.
Il pericolo principale rispetto al quale il radicalismo di destra oggi promette vigilanza e protezione è rappresentato dai cambiamenti incontrollabili indotti dalla globalizzazione, dalla mondializzazione che produce contaminazione di popoli e identità, infrangendo un presunto ordine naturale delle cose e pianificando la distruzione delle comunità di popolo autentiche, attraverso la sostituzione demografica funzionale agli interessi del capitalismo finanziario globale, che, per mezzo dei flussi migratori planetari, arruola il proprio esercito di riserva di manodopera sottopagata e sfruttata. Attorno a questo ragionamento gravita l’anticapitalismo dell’estrema destra odierna che ripropone, variandolo, quello del fascismo storico e della “terza via” tra liberismo e collettivismo, tra liberalismo e comunismo. Quest’ultimo si era raggrumato attorno all’antisemitismo e al complottismo antisemita, metastasi della contemporaneità non sanate dalla sconfitta del fascismo del 1945 e che ricompaiono inesorabilmente in ogni nuova teoria complottista e razzista: il caso recente di Eric Zemmour in Francia è uno dei tanti che rientra in questa fattispecie.
I gruppi e le organizzazioni neofasciste dimostrano una considerevole capacità di riempire il vuoto politico apertosi e il disorientamento conseguente alle trasformazioni in atto, fornendo un immaginario in cui la disillusione è compensata dalla rabbia e la paura dell’esclusione dalla voglia di rivalsa. Si tratta di gruppi numericamente ancora esigui, ma che prosperano in un milieu ben più vasto della militanza neofascista in senso stretto e che si manifesta tanto in azioni e fatti concreti della realtà quotidiana, quanto in atti della virtualità via web. Si tratta, secondo Vercelli, di una “fascia grigia” che, pur non essendo composta di militanti dichiaratamente neofascisti e politicamente coscienti, si sente attratta da iniziative, slogan e parole d’ordine dell’ultradestra e in essa va alla ricerca di una qualche forma di rappresentanza e di riconoscimento politici.
Il razzismo immancabilmente presente in ogni forma di radicalismo di destra– così come le più eclatanti teorie complottiste – si diffonde, cresce e fa proseliti attraverso i mezzi comunicativi odierni, che ne amplificano in maniera incontrollabile forza e letalità. Insomma l’odio razzista – osserva Vercelli – viaggia attraverso “meme” digitali, contenuti che per l’immediata replicabilità e per l’altissima potenzialità emulativa diventano facilmente virali in rete e originano una forma di pseudo conoscenza collettiva e diffusa, non consapevole, ma assunta per ripetizione; una sorta di (non)sapere senza conoscenza. Dal “meme” al pregiudizio il passaggio è immediato, anzi in un certo senso il “meme” stesso è già di per sé un pre-giudizio, ossia l’assunzione di un punto di vista e la formulazione di un giudizio senza nessuna base di verifica.
Nei capitoli centrali del libro, Vercelli studia i casi più importanti e più diffusi delle attuali teorie complottiste – nate, cresciute e radicatesi via web – in particolare soffermandosi sul fenomeno QAnon, per comprenderne le dinamiche di sviluppo e diffusione e le ragioni del successo e riconducendolo al paradigma, all’archetipo primo di ogni complottismo contemporaneo: i Protocolli dei Savi anziani di Sion.
Il radicalismo di destra europeo ha conosciuto un sostanziale cambiamento di pelle a seguito di svolte epocali succedutesi dalla fine del secolo breve ad oggi, quali la caduta del Muro di Berlino e la fine del socialismo reale, la globalizzazione, la finanziarizzazione economica e la digitalizzazione, che hanno indotto il neofascismo a compiere un mutamento ontologico: dalla lotta contro il comunismo, dalla nostalgia per il passato, dalla rappresentanza piccolo borghese della “maggioranza silenziosa”, alla battaglia contro l’immigrazione pilotata dalle forze complottiste internazionali e al tentativo di rappresentare i ceti sociali rimasti schiacciati dalle trasformazioni sociali ed economiche in corso. Questi processi hanno portato il radicalismo di destra a collocarsi in un campo tradizionalmente appartenente alla sinistra, ma da questa abbandonato progressivamente a causa della sua crescente subalternità «nei confronti del neoliberalismo, quello che dagli anni Ottanta ha predicato che “There is non alternative” al regime di mercato come istituzione collettiva ma anche come sistema di relazioni pubbliche pressoché totalizzante» (p. 66).
L’estremismo di destra, rivolgendosi oggi alle fasce sociali degli esclusi dalle trasformazioni economiche globali tenta – riflette Vercelli – di sdoganarsi da se stesso e di costruirsi un’immagine diversa da quella del neofascismo della prima repubblica, che associava alla militanza eversiva le collusioni con gli apparati deviati dello Stato. I tratti “anti” che sono propri anche del fascismo storico – che per questo Norberto Bobbio definì una “ideologia anti” – oggi si presentano nella forma dell’antiliberalismo, dell’antiliberismo e dell’anti individualismo, in nome di un solidarismo sociale e di un comunitarismo che possano dare possibilità di crescita ad un «processo di fascistizzazione dal basso» (p. 61). Pertanto, conclude Vercelli, oggi il fulcro ideologico dell’identità “radicale” e “non conforme” di destra è la “comunità” di omologhi che «vivono in relazioni gli uni con gli altri in un dato territorio» (p. 67), ovviamente escludendo il diverso, l’estraneo. «La lettura della storia come di una eterna dicotomia razzista è quindi uno dei miti rifondativi della destra radicale. Immarcescibile e insindacabile in quanto vero punto di sintesi di un universo mentale» (p. 62).
Tratto ricorrente della destra radicale oggi è il rimando al “sociale”, «laddove con ciò si indica la sfera di azione sotto la quale essa si è rigenerata, nel nome di una veracità e di un’autenticità che alle altre forze politiche, rappresentative di interessi sovra-ordinati rispetto alla società, altrimenti mancherebbero. […] Alla collettività si rivolge, semmai, richiamando il bisogno di una rappresentanza nei termini del riconoscimento e del soddisfacimento dei suoi bisogni materiali» (pp. 65-66). Ed infatti, proprio lo sforzo di animare un’azione sociale che metta al centro il problema abitativo ha consentito nel corso degli anni a Casa Pound di sfondare ed occupare la scena del neofascismo italiano, superando per esempio Forza Nuova e dimostrandosi capace più di quest’ultima di presentarsi non più solo sotto la veste del neofascismo nostalgico, pur mantenendo un impianto ideologico che per molti versi ripropone, appena un po’ rimodellato, il solito armamentario fascista (la terza posizione, il revisionismo dell’esperienza di Salò come originale esperimento politico atipico, ecc.). La crescita di Casa Pound è stata tale da condurla ad allacciare relazioni con la Lega di Salvini – ricorda Vercelli – in occasione delle elezioni europee del 2014, attraverso il sostegno assicurato ad un candidato leghista nella circoscrizione dell’Italia centrale. Sul piano ideologico questo ha prodotto una sorta di scambio e di condivisione di idee quali il sovranismo, l’antieuropeismo, il rifiuto dell’immigrazione, il nazionalismo identitario, ecc.
Interessanti risultano, infine, le considerazioni che l’autore avanza riguardo al bagaglio ideologico dell’attuale neofascismo, che, al netto dei richiami inevitabili agli immancabili archetipi storici fascista e nazista, comprende un arco di idee ed atteggiamenti che ha i suoi estremi nel comunitarismo etnicista da un lato e nell’iperliberalismo individualista dall’altro; termini opposti che non necessariamente si respingono. Il comunitarismo etnicista ragiona avendo come riferimento la dimensione collettiva della comunità, tenuta assieme dal legame etnico che si alimenta del mito delle origini, delle tradizioni identitarie e dell’unità organica. Anche il fenomeno “rosso-bruno” del nazibolscevismo rientra in questa fattispecie di odierno estremismo di destra o neofascismo.
L’iperliberalismo, invece, ha come riferimento l’individuo privato visto come soggetto assolutamente libero in una dimensione agonistica che non prevede altro che la forza come criterio di competizione e modalità di relazione. Un «liberismo di ritorno di una destra che si finge libertaria» ma che si ricongiunge alla «fantasia di un individuo che esiste in ragione dei legami profondi che condivide solo ed esclusivamente con quanti sono identici a lui, dal punto di vista etnico, culturale, comportamentale» e che esprime la diffidenza «verso la politica come sistema di rappresentanza astratta, che privilegia la “cittadinanza” di contro alle “radici di suolo e sangue”» (p. 75-76).
Gli atteggiamenti del militante o del simpatizzante di estrema destra possono quindi oscillare dalla esaltazione sovranista della comunità nazionale alla quale l’individuo sente di appartenere e da cui è assorbito (l’Ungheria di Orban può fare da modello), all’individualismo ipertrofico che si illude di poter essere autosufficiente, senza il bisogno di un legame sociale e collettivo che non sia quello della stretta comunità degli omologhi (come nel caso della destra del Tea Party o delle milizie paramilitari estranee ed ostili al governo federale nell’America di Trump).
Numerose e mutevoli sono le nuove forme del neofascismo, che vanno diffondendosi nel nostro paese e in Europa e che, nutrendosi delle criticità strutturali, delle contraddizioni e delle storture profonde della società odierna, rievocano gli spettri nefasti di un passato mai del tutto tramontato.
Claudio Vercelli, Neofascismi, Edizioni del Capricorno, Torino, 2018 [su Carmilla]. ↩