di Valerio Evangelisti
[La casa editrice Lorusso ha pubblicato un’antologia di racconti di fantascienza di autori palestinesi: Basma Ghalayini (a cura di), Palestina 2048 – Racconti a un secolo dalla Nakba, Roma, 2021, pp. 232, € 14,00. Questa è la mia postfazione.]
Dal 1948 una delle peggiori infamie che la storia ricordi si consuma sulle coste orientali del Mediterraneo. Un popolo perseguitato, in nome di un diritto ripescato in antiche mitologie, si è appropriato con la forza e col denaro di un territorio occupato da secoli da un’etnia diversa. Intenzionato non a fondersi con gli autoctoni, ma per scacciarli, piegarli e nel frattempo schiavizzarli.
Lo Stato di Israele è nato con la violenza, e con la violenza continua ancora oggi a espandersi a spese di genti arabe che abitavano quelle terre, di cui nega persino l’identità: palestinesi. Facenti parte, secondo i governanti israeliani presenti e passati, di un coacervo islamico indistinto in cui ricacciarli a furia di prepotenze e di stragi.
Nel 1948 le Nazioni Unite, nel riconoscere il sopruso iniziale, posero all’invasore dei confini. Inutile: Israele si gonfiò come un tumore, cosparse di metastasi le porzioni di suolo che ancora osavano chiamarsi Palestina. Scoppiò un conflitto mai sopito, con dubbi rigurgiti bellicosi del resto del mondo arabo. Si arrivò alla situazione odierna, in cui ai palestinesi ostinatamente affezionati alla loro terra natia e alla propria identità culturale sono riservate insignificanti frange geografiche divise tra loro, lembi di mare, aree impervie private di acqua.
Ogni volta che si manifesta qualche conato di resistenza, Israele lo punisce non solo con una brutale repressione armata, ma distruggendo case palestinesi, schiantando oliveti, devastando terreni coltivabili, impedendo la pesca, sabotando i commerci, bloccando i rifornimenti vitali. Nel deserto così creato sorgono le colonie (mai termine fu più azzeccato) di nuovi occupanti da sistemare, armati, arroganti, minacciosi, feroci. Se una Palestina unita, non confessionale e democratica non è più all’orizzonte, ancor meno lo è l’ipotesi “due popoli, due patrie”. I tentacoli israeliani, penetrati a fondo nel territorio da annettere, l’hanno resa impossibile. Spinta nel campo della fantasia.
Ed ecco che le possibili soluzioni sono affidate alla fantascienza. Una FS moderatamente utopica e pochissimo tecnologica, proiettata di poco nel futuro e basata su sviluppi attendibili di tecnologie correnti. Realtà virtuali, hackeraggi, inganni informatici. La Palestina del 2048 spesso così prende forma, con contorni onirici e provvisori. Non è un avvenire consolante. La maggior parte delle storie di questa antologia tende alla tristezza, alla perpetuazione del dolore.
Siamo mille miglia distanti dalla fantascienza anglosassone. L’elemento scientifico è tutto sommato marginale, mai descritto in dettaglio. Eppure, la forza espressa in questi racconti supera buona parte di quel che emerge dalla narrativa avveniristica americana o britannica. Contrariamente a quel che si sostiene in uno dei testi, una letteratura utopica esisteva in Medio Oriente fin dal tempo ottomano (L. Mignon, in Cycnos A. 22 n.2, Nizza 2005). Qui però parliamo non di utopia, bensì di distopia. Nulla, nel presente, allude a un rapido riscatto, a un trionfo della giustizia. Al contrario, quel che attende i palestinesi del futuro sono fatica e dolore, ulteriori sofferenze, inganni e false vie d’uscita.
Che c’è di autenticamente palestinese in ciò, di lontano dall’imitazione di prose occidentali? Metterei al primo posto una scrittura raffinata, elegante, che lascia trapelare una cultura antica mai soffocata interamente. E la costruzione di caratteri credibili, simpatetici, umani, molto più di quanto accade nella fantascienza corrente: brillante nelle idee, fragile nelle psicologie.
Cosa augurare a questo nucleo di scrittori palestinesi? Quello che nemmeno loro osano immaginare; una Palestina unita, laica, aconfessionale, in cui arabi ed ebrei possano convivere. E magari una Palestina socialista, perché no. Serviranno molti scontri e lutti per giungere allo scopo, ma chi sa scrivere così bene sa anche battersi bene.