di Paolo Lago
Sgattaiolarono fra i vicoli, sfuggendo allo sguardo di un guardiano robot, e si ritrovarono nella piazza. Era il loro passatempo preferito farsi un giro fra le bancarelle di lamiera del mercato vecchio ma dovevano fare molta attenzione. Per muoversi nelle strade, infatti, ci voleva il permesso di circolazione e davvero non si è mai sentito dire che un ragazzino potesse averne uno. Il governo planetario di Dragone II aveva suddiviso tutti i luoghi della Terra ancora abitabili in distretti severamente controllati e solo gli adulti potevano ottenere il permesso di circolazione. Ma Romero, Dick e Scotty non avevano mai avuto voglia di passare le loro giornate come gli altri ragazzi, chiusi nelle loro stanze climatizzate, immersi nelle lezioni e negli svaghi dispensati dal robot monitor. Volevano respirare quegli ultimi lembi di aria respirabile rimasta. A loro piaceva la piazza del mercato.
Il signor Carpenter gli aveva detto che una volta, nella piazza, c’erano tanti alberi. I ragazzi non ci potevano credere perché non ne avevano mai visto nemmeno uno in vita loro. Tutte le strade della città erano lisce e levigate, talmente perfette da sembrare plastificate. La stessa città era immensa: a parte le strade, non esisteva più un solo spazio, nel mondo abitabile, che non fosse ricoperto da gigantesche costruzioni cubiche. Tutti i negozi erano costituiti da enormi spazi attraversati da scale mobili in tutte le direzioni e in essi si vendeva ogni cosa: qui gli adulti si muovevano in modo meccanico, proprio come i guardiani robot, lentamente, spostandosi a scatti, prestando attenzione unicamente alle lucide merci esposte. Non proprio tutti i negozi, però. La piazza del mercato era l’unica eccezione: lì, le bancarelle erano all’aperto, fatte di vecchia plastica e di lamiera e si potevano percorrere in lungo e in largo come in un vero e proprio labirinto. Le persone che frequentavano le bancarelle della piazza erano diverse da quelle che potevi incontrare negli altri negozi: sembravano più calme e posate, più sorridenti e meno silenziose. Anche i negozianti erano particolari: c’era Tom Pulce che vendeva giochi di pulci ammaestrate e il banchetto di Brad Ray dove, fra gli innumerevoli oggetti esposti, c’era qualcosa di veramente strano: dei blocchi di carta che si potevano sfogliare e che una volta erano chiamati “libri”. C’era anche “La zona morta”, il negozio di Cronny Dave, dove erano venduti dei vecchi apparecchi chiamati “PC” grazie ai quali si potevano recuperare tutte le password dimenticate, dai robot domestici ai monitor di istruzione.
Inutile dire che la bottega preferita di Romero, Dick e Scotty era quella chiamata “La cosa”, ovvero il negozietto gestito dal signor Carpenter. Lì si poteva trovare di tutto un po’ ma soprattutto oggetti metallici vecchi e vecchissimi. C’era un vetusto robot che, collegato ad una batteria, poteva muoversi e compiere alcuni gesti meccanici: certo – ripeteva il signor Carpenter – si trattava di un oggetto costruito anni e anni prima della scoperta della vera Intelligenza Artificiale, che adesso era invece all’ordine del giorno. C’erano delle ceste piene di arcaici giocattoli, pupazzi e robot e fra questi Romero fu attratto soprattutto da un modellino di astronave di colore blu scuro, mezzo rotto. Lo prese in mano e ne rimase affascinato: era strano perché sembrava un marchingegno ibrido, costruito da parti moderne e da altre che sembravano più antiche. Quella – disse il signor Carpenter, sorridendo sotto la spessa barba da marinaio – è l’Arcadia, l’astronave del Capitan Harlock. E chi era questo capitano? – chiese Romero. Un pirata – disse Carpenter con lo sguardo ammiccante di chi la sapeva lunga. Uno che difendeva i poveri e i deboli contro i soprusi dei ricchi e dei potenti. Uno che non avrebbe permesso a Dragone II di non concedere ai ragazzini come voi il permesso di circolazione: per questo lo avrebbe attaccato e avrebbe attaccato tutte le guardie robot. Non avrebbe voluto che i bambini e i ragazzi fossero costretti a non uscire di casa. L’Arcadia solcava i cieli come gli antichi vascelli pirata solcavano i mari. Già, il mare: fu allora che una pesante malinconia calò come un velo sul volto di Carpenter. Egli era stato marinaio, poi pescatore e adesso erano anni e anni che non aveva più visto il mare. Infatti, dopo le innumerevoli sostanze inquinanti che gli uomini vi avevano riversato, era ormai ridotto a una massa putrida e quasi plastificata. Su tutte le coste erano state erette gigantesche barriere per proteggere l’umanità dagli influssi acidi e nocivi che emergevano da ciò che un tempo era stato il mare.
Eppure – diceva il signor Carpenter – la stessa Arcadia era stata un vascello pirata che in tempi remoti solcava i mari, col suo elegante castello di poppa e la bandiera col teschio che impetuosa si muoveva nel vento. Dopo aver abbordato le navi dei ricchi, gli allegri corsari ballavano e bevevano sul ponte fino a notte inoltrata. Il capitano se ne stava da solo nel suo alloggio elegante, a sorseggiare liquori e a perdersi nel sogno di nuove libere scorribande. Ma ora non ci sono più navi, il mare è una massa putrida e morta e dobbiamo starne lontani. Carpenter si ricordava di aver letto in un certo libro, trovato sul banchetto di Brad Ray, che “nelle civiltà senza navi i sogni si inaridiscono”. “Ragazzi, aspettatemi un attimo” – disse a Romero, Dick e Scotty – vado da Brad Ray. Attaccò una rincorsa, per poco non cadde rovinosamente a terra dopo aver inciampato in una gamba del robot, e si diresse verso la bancarella dei libri. Tornò tutto trafelato, tenendo in una mano un libretto di color amaranto e con l’altra grattandosi vistosamente. “Che è successo?” – fece Dick – “perché si gratta signor Carpenter?” “Eh ragazzi, niente di speciale, mi succede sempre quando vado da Brad Ray, vicino c’è la bottega di quel furbacchione di Tom Pulce e passando mi prendo sempre qualcuna delle sue stramaledette pulci, statene lontani, mi raccomando!” I ragazzi soffocarono una risatina e si disposero ad ascoltare ciò che il vecchio Carpenter stava per leggere da quel libro: “Le civiltà senza navi sono come i bambini, i cui genitori non hanno un letto matrimoniale sul quale poter giocare. I loro sogni allora si inaridiscono; lo spionaggio si sostituisce all’avventura e lo squallore della polizia prende il posto dell’assolata bellezza dei corsari”.
“Senza mare e senza navi, i sogni dei bambini e dei ragazzi sono destinati a inaridirsi, controllati da spie e polizia” – disse malinconico Carpenter – “siamo in un mondo senza sogni”. Purtroppo, però, si trattava di un mondo dove, insieme a un pervasivo controllo su ogni azione del quotidiano, esisteva anche lo spionaggio. Nessuno si fidava di nessuno e tutti non aspettavano altro che il momento adatto per denunciare il conoscente o il vicino di casa. Infatti, Tom Pulce, sotto sotto, era una spia del governo e fra i suoi animaletti si trovavano microscopiche ricetrasmittenti che ‘saltarono’ insieme alle pulci sul corpo del povero signor Carpenter. I guardiani robot stavano arrivando nella piazza del mercato e avrebbero catturato i ragazzini. Per chi veniva trovato in giro senza permesso di circolazione la punizione era terribile: stare un mese in una stanza buia a pane e acqua, senza monitor o altri comfort. Ma il signor Carpenter aveva mille risorse e fece nascondere i ragazzi dietro una tenda del suo retrobottega, una vera corte dei miracoli piena di oggetti ancora più vecchi e più strani di quelli che esponeva. “Coraggio ragazzi, muovetevi, non c’è tempo” – disse Carpenter. “Ma ci troveranno subito! Basta sollevare la tenda e guardare nel retrobottega” – fecero all’unisono, tutti e tre. “Eh eh, io non ne sarei troppo sicuro”, rispose Carpenter, aggiungendo: “Forza, non c’è tempo, nascondetevi!”.
Appena passati dall’altra parte della tenda verdolina che delimitava l’ingresso nel retrobottega, i tre ragazzi furono avvolti dal buio più totale. Lo spazio appariva più grande di quello che poteva sembrare visto da fuori, anzi era addirittura enorme. Camminando lentamente giunsero fino a una specie di lanterna che ardeva in lontananza. “Ma dove siamo?” – si domandarono – non senza una discreta quantità di paura. Videro nella penombra una figura alta con un mantello nero che teneva stretto fra le mani quello che sembrava il timone di un antico vascello. Davanti a loro si apriva un vetro enorme attraverso il quale, nel buio cosmico, rilucevano miriadi di stelle. “Non è possibile” – pensò Romero e, subito dopo, cercò di tramutare in realtà la sua fantasia: “Siamo nella sala comandi dell’Arcadia e quello è il capitan Harlock! È bastato attraversare la tenda della bottega del signor Carpenter perché i nostri sogni diventassero realtà!”. Harlock sorrise ai ragazzi e diede loro il benvenuto. “Che ne pensate” – disse – se ci dirigessimo verso la Terra a dare una bella lezione al crudele Dragone II?” I tre ragazzini rimasero in silenzio, incantati ad ascoltare la voce del capitano. Nel frattempo, quest’ultimo diede un ordine a un buffo e piccoletto pirata che si trovava lì vicino e che ancora non avevano visto: “Filibustieri, rotta verso la Terra!” “Rotta verso la Terra” – ripeté il pirata, dando una gozzata a una bottiglia di rum delle Antille.
“Che ne dici Romero” – ora il capitano si rivolgeva solo a lui, strizzandogli l’occhio – “di andare a liberare i bambini e i ragazzi dalle loro prigioni domestiche e a dare una sveglia anche agli adulti, persi come zombie in quegli enormi centri commerciali?” E l’Arcadia volava veloce, con gli stendardi pirateschi, i suoi rostri e i suoi cannoni, col suo sguardo di mostro gentile, tutta blu come lo spazio profondo.