di Rocco Marzulli
“Per liberarci dalle logiche dello sfruttamento, della diseguaglianza crescente e della guerra è necessario saper guardare oltre il presente e immaginare un futuro diverso, anche per quanto riguarda le sostanze”, sostiene in Lo spettro della droga. Storia, mercato e politica delle sostanze (Agenzia X, 260 pagine, 15 euro), Pablo Pistolesi, storico, dj, attivista, fondatore dell’etichetta Rexistenz che, con il nom de guerre Pablito el Drito, su questi temi – sempre con Agenzia X – ha pubblicato anche: Once were ravers. Cronache da un vortice esistenziale (2017); “Rave in Italy. Gli anni novanta raccontati dai protagonisti” (2018); Diversamente pusher. I battitori liberi dello spaccio si raccontano (2019).
L’autore, probabilmente per primo in Italia, già aveva affrontato l’argomento di quei rari spacciatori che percorrono una strada etica sia nella scelta delle sostanze da vendere sia nel muoversi autonomamente rispetto alle reti della criminalità organizzata. Questa volta scrive della droga sotto ogni profilo; questo termine è qui finalmente trattato come estremamente approssimativo, poiché annovera sostanze, naturali e sintetiche, estremamente differenti tra loro da ogni punto di vista.
Basato su fonti di vario tipo, tra cui quotidiani, letteratura alta e popolare, riviste mainstream e underground, interviste, memoir, reportage tv, saggi di storia, politica, antropologia e farmacologia, il libro di Pistolesi dimostra che il controllo delle sostanze è una faccenda politica, perché decide della fortuna o delle disgrazie di intere nazioni, gruppi etnici e sociali. Si parte dagli albori della civiltà per giungere sino ai nostri giorni. Prevale ovviamente il periodo che inizi grosso modo dal secondo dopoguerra, perché coincide con la nascita del consumo di massa. Ricorrono nell’opera, quale periodo cruciale, gli anni Ottanta del Novecento: in Italia è il periodo dell’eroina, “un mass market controllato direttamente dalle organizzazioni criminali, che ha cancellato una generazione intera”. Sono anche gli anni del virus HIV, che contribuisce a far rivivere un pregiudizio nei confronti dei drogati: malati di mente, untori, criminali.
Questa ricerca di Pistolesi condensa numerose questioni, evidenziando come il pianeta sia globalizzato e condizionato da una economia capitalistica selvaggia e pervasiva, in cui il colonialismo non è mai morto: i paesi dominanti sfruttano quelli dominati, e proprio in questi ultimi è disponibile la materia prima necessaria al commercio mondiale della droga, forse da sempre il più fruttifero. I singoli paesi si muovono tutti in modo molto simile, pur considerata qualche eccezione, in una situazione in cui apparentemente vi è contraddizione tra potere politico e potere economico nel rendere legali o illegali determinate sostanze. I vari governi negli ultimi decenni, in verità, esprimono il proprio potere anche con la modificazione dello stato psico-fisico provocato dal consumo. Mentre la droga è vietata, alcuni prodotti di uso quotidiano che sono permessi si rivelano talvolta più dannosi, fino a provocare la morte (i dati inerenti agli alcoolici, fra gli altri, sono impressionanti). Inoltre le politiche proibizionistiche, di fronte a una richiesta che non si ferma, arricchiscono il ceto dei narcotrafficanti che è innanzitutto interessato a diffondere le sostanze che inducono dipendenza.
L’autore, che ritiene la droga un vero e proprio strumento tecnologico, perché è comunque un mezzo utile a “potenziare ed espandere capacità umane”, afferma, relativamente all’assunzione per finalità ludiche, di cura alternativa, o di evasione, che le sostanze, naturali o artificiali, legali o illegali, è bene che comportino solo beneficio e non ulteriore alienazione, né autodistruzione. Ci ricorda inoltre che nell’illegalità il rischio è dato anche da una assenza di controllo su prodotti che sono diffusi dopo essere stati adulterati, sofisticati, alterati. Infine è interessante la considerazione per cui le conseguenze pericolose di un consumo non consapevole possono essere indotti dalla mancata distinzione tra droga “pesante” e “leggera” e dall’ignoranza del principio attivo di sostanze diverse talora per giunta mescolate in letali combinazioni.
Lo spettro della droga riporta ancora molto altro, è un’opera monumentale, che, pur in poco più di duecento pagine, affronta tutti gli argomenti fondamentali con un punto di vista nuovo, e con la professionalità del ricercatore storico che agisce con perizia e rigore scientifico. Il taglio divulgativo rende in ogni caso agevole la lettura e immediatamente chiaro ogni concetto.