di Luca Cangianti
I complessi abitativi classicheggianti dell’Istituto case popolari si alternano a palazzoni privi di balconi che nascondono antichi casali agricoli e villette rustiche, un tempo in piena campagna. A Roma, l’Appio Tuscolano è da sempre un quartiere ibrido: in parte era popolato da impiegati e commercianti, in parte da operai ferrotranvieri, edili e delle officine che sorgevano lungo la ferrovia Roma-Viterbo. In epoca fordista tale composizione sociale si rispecchiava in una geografia politica densa e particolarmente conflittuale: davanti all’Alberone, a pochi metri le une dalle altre, sorgevano le sedi dei partiti della sinistra storica e quella degli autonomi del Comitato di Quartiere. Di contro Piazza Tuscolo, via Noto e via Acca Larenzia erano centri attivi di militanza fascista.
Entro in quello che fu un magazzino ortofrutticolo in via della Stazione Tuscolana 84: alcune decine di persone discutono ordinatamente. Capto le parole “preventivo”, “perizia”, “compenso professionale”, “bonus” rimanendo un po’ perplesso. Ma di che si discute oggi in un centro sociale? Mi siedo in una saletta con Maurizio, Sofia e Valerio: vengo a sapere che si tratta di una riunione condominiale. Scup – Sport e cultura popolare nasce nel 2012 dall’occupazione degli stabili della Motorizzazione in via Nola. Gli attivisti e le attiviste si focalizzano sulla socializzazione attraverso la cultura e lo sport: “A fronte di una società frammentata dove si soffre di solitudine”, dice Sofia, “lo sport popolare offre la pratica rugbistica del ‘terzo tempo’, cioè stare insieme dopo la partita, valorizzare le dinamiche di collaborazione e di comunità, il passaggio dei valori tra gruppi e generazioni diverse.” Dopo lo sgombero della vecchia sede, Scup rinasce nel 2015 negli edifici della Stazione Tuscolana riorganizzando le proprie attività: presentazioni di libri e iniziative culturali, corsi di arti marziali, di yoga e di altre discipline sportive e olistiche, un laboratorio di cucina per ragazzi con sindrome di Asperger, un gruppo di acquisto solidale, molte iniziative sui migranti, il caporalato e la filiera alimentare. A disposizione del quartiere vengono messi, oltre agli spazi per riunirsi, luoghi di coworking e di studio per gli studenti. Con la pandemia, attraverso il gruppo di acquisto solidale Punto In Comune e la collaborazione con Nonna Roma, sono consegnati beni di prima necessità a chi si trova in stato di bisogno. In questo modo si garantisce cibo sano e di qualità al di fuori dalle logiche della grande distribuzione organizzata; al tempo stesso si sostengono i piccoli produttori agricoli locali. Nel frattempo lo stabile è utilizzato da venti compagnie artistiche che provano “in bolla” per mesi. Da questa esperienza nascono numerosi spettacoli che verranno rappresentati anche all’estero.
Attualmente Scup è una casa comune in cui si riuniscono ogni settimana gruppi, associazioni e movimenti quali Libera VII, la Rete delle economie sociali e solidali, Black lives matter – Roma, la Rete ecosistemica (che raggruppa Fridays for future, Extinction rebellion, Coordinamento romano per l’acqua pubblica e altri movimenti per la giustizia sociale e climatica), il collettivo universitario Controtempo. Ogni prima domenica del mese, infine, si svolge il mercato alimentare a filiera corta EcoSolPop!
Adesso tutto ciò potrebbe andar perso. Rfi, una società del gruppo Ferrovie dello Stato che aveva concesso gli spazi in comodato d’uso fino al 2023, ha intimato a Scup di lasciare entro il 31 dicembre i locali “liberi da persone e cose, nel medesimo stato di manutenzione in cui si trovavano”. Questa data è poi slittata di due settimane: “una proroga che”, commentano gli attivisti, “suona come una beffa per chi negli ultimi anni ha rigenerato dal basso quei capannoni abbandonati e pieni di rifiuti e da tempo chiede un tavolo con l’Amministrazione e la proprietà per trovare una soluzione.”
L’area è stata oggetto di un bando del Comune di Roma nel contesto del progetto Reinventing Cities, portato avanti da un gruppo internazionale di città. “L’obiettivo inizialmente dichiarato”, interviene Valerio, “era trasformare le zone dismesse in un’ottica di riduzione dell’impatto ambientale e della partecipazione della cittadinanza. Scup aveva raccolto la sfida e partecipato alla prima fase di selezione del bando in partenariato con lo studio romano Nemesi, ma non ha avuto accesso alla fase successiva. Il progetto vincitore del bando è una tipica operazione di valorizzazione della rendita estranea ai bisogni sociali.” Secondo quanto si legge nel dossier realizzato dal centro sociale, tale progetto, realizzato dalla società Fresia S.p.a., prevede: aumenti di cubature, edificazione su terreno pubblico (venduto da Ferrovie dello Stato e Roma Capitale al gruppo privato) di palazzi fino a otto piani che ospiterebbero coworking, student hotel e altri edifici residenziali di lusso con il verde relegato al margine dei binari dove non si possono piantare nemmeno alberi. “Abbiamo avuto grandi difficoltà ad accedere agli atti, anche passando per via istituzionale” continua Valerio, “inoltre la variante al piano regolatore è stata realizzata senza procedere alla consultazione della cittadinanza, in deroga alla delibera 57/2006 del consiglio comunale.”
Visto che degli abitanti del quartiere non gliene importava a nessuno, gli attivisti hanno realizzato una serie di iniziative per capire quali fossero i bisogni maggiormente percepiti dalla popolazione. “Dal settembre del 2020 allo scorso maggio, abbiamo organizzato dei ‘laboratori di progettazione partecipata’ e delle passeggiate esplorative” racconta Maurizio Crocco, uno degli architetti che ha accompagnato il collettivo di Scup in questo percorso. “Il territorio è disseminato di targhe commemorative della Resistenza e di edifici di pregio: industriali (l’ex deposito Atac, le officine di via Assisi), di servizio (l’edificio delle Poste di via Taranto) e residenziali (i villini dei ferrovieri e i complessi di case popolari dell’Icp) che racchiudono un patrimonio di storia urbana e di architettura da preservare, conoscere e valorizzare.”
Il processo di consultazione ha messo in rilievo gli ambiti del verde, della mobilità, dei servizi pubblici e di luoghi per la cultura, lo sport e la partecipazione cittadina (spazi dedicati all’associazionismo, ai movimenti sociali e alle attività comunitarie). Insomma l’esatto contrario della progettazione guidata dalla valorizzazione della rendita, per contrastare la quale è stato costituito il Forum di vigilanza e controllo sulle trasformazioni urbanistiche nell’area della Stazione Tuscolana. Vi hanno aderito, oltre a Scup, altri spazi sociali sotto sfratto come Communia ed Esc Atelier insieme a decine di associazioni e movimenti.
Come spiegava il filosofo Henri Lefebvre la città nasce dall’interazione dei gruppi sociali che la abitano, non solo lavorandoci, ma anche proiettandovi le proprie dimensioni etiche, estetiche e ideologiche. La valorizzazione capitalistica, tuttavia, tende a dissolvere questa trama separando i luoghi della produzione da quelli del tempo libero (mercificato): gli spazi pubblici vengono così privatizzati, le relazioni di vicinato distrutte, la vita sociale impoverita, i quartieri ridotti a dormitori o a centri commerciali. È questa la fonte del “degrado”, della solitudine sociale, della frammentazione che ci fa percepire come consumatori impoveriti e rancorosi, piuttosto che come portatori di interessi comuni. È questo il meccanismo che il collettivo di Scup sta contrastando.
Dopo lo sgombero del Cinema Palazzo nel quartiere di San Lorenzo, la pressione per mettere a profitto le aree ex industriali del territorio sta subendo un’accelerazione: “Si stanno muovendo cordate e interessi molto forti: noi, siamo un po’ Davide contro Golia”, commenta Sofia. Maurizio, che in questo quartiere ha vissuto fino dall’infanzia negli anni ’60, mi guarda negli occhi: “Ne siamo coscienti, è una storia più grande di noi, ma ciò nonostante va combattuta. Ne vale del nostro quartiere, della nostra vita e del senso che vogliamo darle.” Per il 14 gennaio, la data dello sgombero, Scup ha annunciato una giornata di mobilitazione generale.