di Paolo Lago
Recentemente mi sono ritrovato a percorrere i corridoi di un Intercity 451 diretto a Milano Segrate. Era appena sorta l’alba e dopo un’abbondante colazione consumata al bar accanto a Martin detto Alga, il boss della stazione, salii sul treno e entrai nello scompartimento: l’unico passeggero era un mago. Egli era torvamente vestito di nero, con un lungo cappello a punta sul quale erano dipinte stelline colorate. Nello scompartimento a fianco c’era una ragazza travestita da Bassotto (uno di quei ladri che vogliono derubare Paperon de Paperoni, n.d.a.) che si stava recando al carnevale di Mareggio. Il treno, un gigante bianco, lungo come un serpente tranquillo, iniziò la sua lenta marcia. Mi sedetti: il mio unico cruccio era di non poter fumare per almeno cinque ore il mio sigaro cubano aromatizzato al Sassolino (noto liquore labronico, n.d.a.). Il mago aveva capelli lunghi, ricciuti, ed era somigliante a un personaggio televisivo, ma non ricordo più chi.
Il viaggio cominciò così tranquillo che non ebbi nemmeno il coraggio di fiatare. Ero zitto, nel mio cantuccino di ghiaccio, lontan dal finestrino e vicino al corridoio. Alla prima fermata, Pisa Est, salì Johnny detto il Pisano; egli era addobbato come un fuorilegge e aveva un cinturone dal quale pendevano numerose pipe contadine. Non mi degnò di uno sguardo e entrò nello scompartimento. Egli asseriva, parlando col mago, di aver attraversato quindici volte il Meridiano di Greenwich e alla sedicesima riportò una contusione psichica, per cui si guadagnò il nomignolo di “Tardo”. E parlava e parlava, con me che lo stavo a sentire, mentre la pianura pisana non voleva finire. Basta. Cambiai scompartimento. In quello a fianco la Bassotta, col suo numero giallo stampigliato sulla tuta rossa, non faceva altro che strusciare le dita su un cosiddetto “touch screen”. Insomma, finalmente un po’ di pace. Alla stazione di Red Mountain salì un indiano con la chitarra, soprannominato “Ombra Rossa Urlante”: a mie spese capii il motivo del soprannome. Si sedette nello scompartimento con me e la Bassotta. Cominciò a urlare parole sconnesse, in una sorta di canto medianico evocatore di spiriti delle foreste del Dakota Sud e di Berlino Est e di Roma Tiburtina, accompagnandosi con la sua chitarra da ranchero. Evidentemente aveva bevuto troppo sakè. Non capii il perché del sakè (in effetti non importava un granché). Comunque. Insomma. Va bene.
A Genova salì un personaggio silenzioso (solo dopo seppi che era soprannominato Bufalo Pil): ondeggiava sul treno, per i corridoi, avanti e indietro e quando tornava nello scompartimento emetteva parole sconnesse agitando le mani. “Basta. Volevo un viaggio tranquillo e viaggio tranquillo avrò!” – dissi. Perdinci. Cambiai di nuovo scompartimento. Ma, con mio grande orrore, mi resi conto che il treno ora era pienissimo, non vi era più un posto libero. Tornai indietro ma il mio posto era stato già occupato da un solitario viaggiatore antartico. Che paura! Dovevo stare in piedi fino a Segrate! E passarono scorci di mare, e scogliere stupende e palazzi liberty ma non liberi e scaglie di grana e schiocchi di merli dai calvi picchi e anche picchi che rutilanti, con creste color ocra, cantavano, cantavano e dicevano ridendo, io son libero! tu no! tu no! tu non devi andare via! tu no, amore no! disse il picchio ma fu un attimo e il treno corse via, mentre un merlo afferrava ridendo il picchio. E furon gallerie e poi ancora mare e via e via fino a montagne e poi una lunga pianura piena di nebbia. Alla fermata di Tortona salì un pasticcere stalinista con una torta gigante, ma rimase in piedi perché non c’era più posto. Io ero schiacciato tra un Vatusso di nome – mi disse – Alfio, e un australiano venditore di pulci ammaestrate. E via e via e l’indiano Ombra Rossa Urlante faceva fede al suo nome urlando in falsetto canzoni cretine sulla sua chitarra, la Bassotta ignara di tutto continuava a fissare il suo touch screen, Bufalo Pil ora era perso in un lungo, infinito sibilo che finiva puntualmente in una pernacchia prolungata, il mago stava lievitando una pizza che aveva messo in borsa, il Pisano si era messo a fumare le sue otto pipe contemporaneamente e un romano, il controllore, fuggiva nella direzione opposta alla nostra carrozza.
Finalmente una mano mi toccò la schiena e mi riscosse: era il mago che voleva avvertirmi che eravamo giunti a Milano Segrate. E come poteva – chiesi terrorizzato – lei sapere la meta del mio viaggio? “Sono un mago” – disse – e tacque. Finalmente! Scendemmo solo io e il mago. Un po’ di pace, un po’ di silenzio. Mi diressi verso la metropolitana mentre il mago prendeva il volo su una pizza gigante totalmente lievitata. Egli lievitava tranquillo verso Segrate. Mi diressi al metrò e mi apprestai, stavolta davvero, a un viaggio tranquillo per giungere a destinazione. Quando giunse il metrò, di fronte all’entrata, però, si parò il famigerato bandito milanese Ghisolfo Pescherecciglio detto il Buono che, agitando a mezz’aria un sigaro aromatizzato al puffo (gusto di gelato per bambini dal colore blu, n.d.a.), mi sorrideva tremebondo.