L’Orma, Roma 2021, pagg. 296, € 20
[Marino Magliani, classe 1960, è un ex giramondo che ha trascorso una parte della vita in Sud America e in Spagna, vivendo di mille mestieri, e incamerando, forse, dentro di sé la melodia un po’ scalena dell’esule tra gli esuli. Tra l’altro la conoscenza acquisita dello spagnolo gli serve per il mestiere di traduttore e curatore di una collana di letteratura latino-americana. Ora si è fermato in una cittadina dell’Olanda, spazzata da un vento che scorre come uno spiritello sulle acque grigie del mare del Nord. Ma è un ligure, un duro, spartano uomo ligure, con poche smancerie e tanta volontà di sopravvivere e di studiare. E un ligure può emigrare, soffrire, combattere, ma non dimenticherà mai la sua terra, coi carrugi, i boschi, il mare che schiaffeggia e accarezza le rocce. Pertanto i suoi libri lo portano sempre lassù, in quei territori aspri e assolati, coi muretti a secco e i viottoli impervi che bucano i macchioni e incidono quella terra dura e sassosa. Col suo personalissimo stile, un mix consapevole di popolano e di raffinatezza non si dilunga in descrizioni, ma cerca di evocarne le atmosfere, le luminosità e le suggestioni notturne. Sembra fondersi col territorio, in una formula chimica uomo/Liguria, uomo/ambiente, forse l’unico modo per non rinunciare alla sua origine, e al contempo senza negarsi la scoperta del resto del mondo.
Anche in questo nuovo romanzo storico i protagonisti, tre soldati dell’armata napoleonica in Egitto, esausti, ormai disanimati dalla guerra, decidono di disertare e di fuggire, seguiti dal dottor Zomer, che vuole indagare sugli effetti di una nuova sostanza, l’hasisc, che pare sia una delle cause delle numerose diserzioni. Approdano in un visionario paesaggio ligure, incontrando sulla loro strada spie e nemici, ma anche amori più o meno disperati, spinti dalla ricerca, forse impossibile, della libertà.
Di seguito pubblichiamo la “Notizia”, il capitolo iniziale che funziona da prefazione al testo. MB]
“In seguito all’inquietante numero di defezioni subite dal suo esercito in Egitto, nel 1799 Napoleone decise di costituire una commissione composta da ufficiali e uomini di scienza affinche si indagassero le cause del fenomeno.Tra queste furono individuate la desolazione dell’ambiente e il tentativo di fuggire alla peste che aveva infettato gli accampamenti attorno a Jaffa.
La missione di Johan Cornelius Zomer, un dottore di origini fiamminghe al servizio dell’ospedale da campo di Jaffa, fu quella di convincere i colleghi che a determinare l’alto tasso di abbandono dei ranghi avesse contribuito in gran parte una sostanza estratta da piante angiosperme dell’ordine Urticales.
Quella sostanza in Algeria ed Egitto era consumata in un composto chiamato madjound; in seguito, in Europa e altrove si sarebbe diffusa con il nome di hascisc.
L’incarico conferito al dottor Zomer forni uno studio approfondito sugli usi e i costumi dei consumatori di hascisc, i metodi di approvvigionamento, la diffusione, i crimini legati a quel commercio. Il dottor Zomer chiamò attorno a sé alcuni aiutanti, stipendio guide indigene e uomini di azione, reclutando agenti della polizia segreta, tra cui il suo piu fidato collaboratore, Victor Pangloss. Si trattava di monitorare, seguire i consumatori e i rifornitori durante i loro movimenti, intuire e in qualche modo prevenire. E una delle intuizioni del dottor Zomer, sebbene scontata, fu proprio quella di prevedere che prima o poi qualche reduce dalla campagna delle Piramidi avrebbe attraversato il Mediterraneo, in rotta verso la Francia, portando con sé una grossa scorta di hascisc.
Inoltre, nel tentativo di capire come un fenomeno del genere si fosse potuto propagare, al di la delle cause che l’avevano provocato, il dottor Zomer cercò di individuare il periodo preciso e circoscrivere il luogo in cui era iniziato tutto quanto. Le notizie raccolte a questo proposito non lasciavano dubbi: in grande scala, l’armata francese aveva fatto conoscenza con l’hascisc sulle rive di uno strano lago salmastro e paludoso, non distante dalle foci del Nilo. Gli indigeni chiamavano quelle acque Maryut, per gli antichi Greci era Mareotis.”