di Gioacchino Toni
Ricorrendo alla definizione di videogioco proposta da Marco Accordi Rickards1 che lo vuole “un’opera multimediale interattiva che richiede l’immersione in un mondo simulato e regolato da leggi tecniche ove le azioni del fruitore attivo siano teleologicamente orientate”, è facile comprendere come il suo sviluppo creativo e tecnologico non potesse che sconfinare il territorio del mero intrattenimento per investire ambiti di carattere artistico, scientifico, didattico, divulgativo e militare.proprio ad alcuni sconfinamenti dell’universo videoludico in ambito bellico che si intende qua far riferimento dopo aver visto come più che al semplice ricorso dell’apparato militare a tecnologie sviluppate nell’industria dei videogiochi, sembrerebbe essere di fronte, almeno secondo alcune interpretazioni, a uno scambio determinato da un immaginario condiviso.
Matteo Bittanti, nell’introduzione al voluminoso libro da lui curato, Game Over. Critica della ragione videoludica (Mimesis, 2020), afferma perentoriamente che l’immaginario videoludico contemporaneo risulta dominato da due ideologie solo apparentemente contraddittorie:
il fascismo, che si presenta spesso nella modalità stealth del criptofascismo, e il neoliberismo. Queste due espressioni non sono ravvisabili esclusivamente nei prodotti consumati – i videogiochi – ma anche nei consumatori – i videogiocatori. […] Pur non essendo apertamente fascista, la cultura videoludica manifesta evidenti tendenze totalitariste. Infatti, come spiegano Nick Dyer-Witheford e Greig de Peuter, il videogioco nasce come espressione del complesso militare-industriale nordamericano, a sua volta fondato sull’imperialismo, sullo sciovinismo e sull’iper-mascolinità. Prodotti e consumati in un contesto connotato come essenzialmente maschile, i videogiochi hanno a lungo celebrato le figure del “cittadino-soldato, dell’imprenditore, dell’avventuriero cyborg o del criminale aziendale”.2.
Emblematica in tal senso è la campagna d’odio esplosa in ambito videoludico incentrata sul sessismo e, più in generale, su posizioni fortemente reazionarie denominata Gamergate scatenata tra il 2014 e il 2015 negli Stati Uniti da parte di una galassia identitaria che individua il modello normativo del gamer nel maschio bianco eterosessuale, ciò che Andrea Braithwaite e Michael Salter definiscono “mascolinità geek”3.
Secondo quanto ricostruito a posteriori da Sarah Jeong sul “New York Times”4, il Gamergate è stato il primo evento di rilievo a dimostrare come a partire da una discussione priva di rilevanza pubblica, un gruppo di individui, grazie al web, è riuscito a dare vita a una campagna reazionaria di proporzioni spropositate rispetto alla causa scatenate.
La vicenda prende il via nell’agosto del 2014 quando un giovane pubblica su un blog un’invettiva contro l’ex-fidanzata sviluppatrice di videogiochi tirando in ballo anche un giornalista recensore di produzioni videoludiche. Da quel momento numerosi utenti hanno diffuso sul web – sfruttando soprattutto Twitter, 4chan e 8chan – fantasiose ricostruzioni di favori sessuali elargiti dalla ragazza al fine di ottenere dal giornalista una buona recensione (in realtà inesistente). L’episodio è stato abilmente sfruttato da una nicchia di giovani gamer maschi e bianchi per dare vita a un’incredibile campagna votata a denunciare la “corruzione” del mondo dei videogiochi in buona parte, a loro dire, determinata dalla presenza di alcune donne intenzionate, con le loro produzioni, a stravolgere un mondo, quello videoludico, che doveva continuare a restare maschile.
Charlie Warzel ha scritto a tal proposito sulle pagine del “New York Times” che ormai è l’intero web ad essere divenuto una sorta di grande Gamergate.
C’è un fil rouge che collega la pressione su alcune aziende da parte dei seguaci di Gamergate – che ha spinto Intel a ritirare i propri investimenti pubblicitari da siti come “Gamasutra” – alla campagna di Sean Hannity nel 2017 contro il brand Keurig, che ha convinto centinaia di telespettatori di Fox News a gettare dalla finestra le loro macchinette del caffè, filmare il gesto e condividerlo su Twitter. Si tratta del medesimo filo che lega gli youtuber antifemministi che usano Patreon per finanziare i loro massacri e losche campagne di crowdfunding per “costruire il muro” ai complottisti di Pizzagate e QAnon. […] E, naturalmente, c’è la presunta premessa centrale di Gamergate, il bigottismo mascherato da critica ai media5.
Riprendendo il concetto di “razionalità tecnologica” formulato da Herbert Marcuse per denunciare lo svilupparsi, nel corso del Novecento, di una nuova ideologia totalizzante basata sull’innovazione tecnologica, Michael Salter ritiene che il videogioco sia riconducibile alla medesima matrice disumanizzante, pertanto il fenomeno Gamergate confermerebbe come l’universo dei videogame, insieme a quello dei social media con cui si intreccia, sia attraversato da modalità comunicative incentrate sulla prevaricazione e sull’insulto scatenate da quelli che Ian Williams ha perentoriamente definito “soggetti incompleti” dotati di identità fabbricate da aziende che esortano a consumare determinate merci nelle modalità prescritte6, una galassia di individui che riscattano vere o presunte deficienze personali attraverso il surrogato videoludico, dunque privi di reale autorità. Il gamer, sostiene Bittanti, «si serve delle fantasie elettroniche per conferire significato a un’esistenza che considera vuota, deludente o fallimentare»7. Esisterebbe dunque, secondo lo studioso, una sorta di affinità elettiva, di convergenza culturale, tra un certo tipo di gamer e la galassia politica dell’estrema destra.
Aldilà di un’acritica accettazione della logica consumistica – mascherata dalla natura interattiva del videogioco che feticizza il fruitore “attivo”, “partecipativo” e “autonomo” rispetto al presunto consumatore passivo della televisione, del cinema e della letteratura – ciò che preoccupa maggiormente è la convergenza tra l’identità gamer e l’estrema destra8.
A sostengo del proprio convincimento Bittanti ripropone le posizioni di Alfie Bown che ritengono la logica e il tipo di divertimento associati all’attività videoludica come del tutto funzionali alle posizioni politiche di destra per almeno due motivi:
In primo luogo, le ideologie di destra sono pervasive e dominanti nella storia dei videogiochi. Sebbene influenzati dal contesto, i videogiochi hanno a lungo privilegiato temi quali l’espulsione degli “alieni” (da Space Invaders a XCOM), la paura dell’infezione impura (da Half-Life a The Last of Us), il controllo dei confini (da Missile Command a Plants vs. Zombies), la conquista del territorio (da Command & Conquer a Splatoon), la costruzione degli imperi (da Civilization a Tropico), il salvataggio delle principesse (da Mario a Zelda) e la necessità di ripristinare l’armonia naturale (da Sonic a FarmVille). In secondo luogo, i videogiochi spingono l’utente ad agire in modo istintivo, sollecitando un’adesione “spontanea” alle ideologie che essi veicolano. Giocare a Resident Evil non equivale a guardare l’omonimo film, perché il giocatore che impugna il controller percepisce i desideri del videogioco come propri, anziché come i desideri di qualcun altro9.
In un suo recente volume Alessandro Alfieri invita a guardare alla “violenza dell’immaginario” come a una violenza gestita, edulcorata da surrogati utili al mantenimento degli equilibri sociali ma che continua a pulsare sotto la superficie e che, in qualche modo, può farsi violenza agita. «Il web diventa un’ulteriore forma di gestione dell’ira accumulata, che però definisce il passaggio all’azione e perciò stesso alla responsabilità etica: non si tratta più solo di fruire della violenza più o meno palesata nella produzione audiovisiva, ma di partecipare attivamente – anche se “non troppo”»10.
Bittanti ricorda poi come tali derive fascisteggianti non siano tanto diverse da quelle presenti in quel libertarismo estremo che ha definito fin dall’inizio gran parte delle culture videoludiche in rete. Negli ultimi decenni, secondo lo studioso, all’interno della cultura videoludica si è affermata una logica binaria del “noi contro di voi” che si palesa anche nella violenta ostilità che gli hardcore gamer manifestano nei confronti di quanti vengono considerati una minaccia al loro divertimento.
Parafrasando Herbert Marcuse, si potrebbe affermare che il gamer è un uomo a due dimensioni, quelle dello schermo: concepisce infatti la realtà concreta come un’estensione delle fantasie di cui si nutre. Nel momento in cui la realtà smette di conformarsi alle illusioni, le frizioni sono inevitabili. Detto altrimenti, non ci troviamo di fronte a un equivoco epistemologico – la presunta confusione tra reale e virtuale paventata dagli psicologi pop dei talk show televisivi – quanto alla precisa volontà di trasformare dei deliri di onnipotenza in realtà11.
Le parole di Bittanti riferite alla contiguità tra diffusi settori della cultura videoludica e le posizioni politiche dell’estrema destra e della cultura neoliberista sembrano applicabili anche al riversarsi della tecnologia videoludica – intesa non semplicemente come insieme di conoscenze tecnologiche ma, in linea con Michael Salter, come ideologia disumanizzante – direttamente all’interno dell’ambito militare. Vale dunque la pena citare almeno alcuni tra i sempre più numerosi esempi di inquietante sconfinamento videoludico in ambito bellico.
Nel corso di una conferenza internazionale sull’Intelligenza artificiale tenutasi a Melbourne, in Australia, nell’agosto del 2017, più di un centinaio di scienziati ed esperti provenienti da tutto il mondo hanno indirizzato un appello all’ONU per porre fine allo sviluppo dei cosiddetti “robot killer”, sistemi d’arma autonomi in grado di uccidere senza alcun intervento umano. Mentre veniva presa in considerazione l’ipotesi di una moratoria a proposito dello sviluppo di tali armi sia dalle Nazioni Unite che dal Parlamento europeo, che ha votato nel 2018 una risoluzione richiedente la loro messa al bando a livello internazionale12, sono stati diversi gli stati che hanno continuato a sviluppare un arsenale bellico che sembra riprendere quanto introdotto dai videogiochi.
Da tempo l’Israel Aerospace Industries sta sviluppando un particolare tipo di carro armato – denominato Carmel – dotato di sensori, telecamere, completamento privo di finestre visto che l’osservazione dell’ambiente circostante è garantita da uno schermo panoramico che permette di regolare i movimenti e la gestione dell’armamento con i dati che compaiono in costante aggiornamento sul lato dello schermo, proprio come nei videogiochi. Si tratta di un sistema pensato per essere usato da militari giovani che non necessitano di un lungo processo di addestramento essendo abituati alla logica dei videogiochi.
Il Carmel non guarda ai videogiochi solo per l’interfaccia o per quanto riguarda il controllo ma anche per quanto concerne l’implementazione di un’intelligenza artificiale che è stata allenata in larga parte con StarCraft II e che è stata integrata nel carro armato con l’Engine Unity e la piattaforma VBS. StarCraft II viene considerato un allenamento ideale per una IA perché propone situazioni competitive molto varie, in tempo reale e caratterizzate anche da tempi di scontro piuttosto lunghi. Il tutto con informazioni incomplete sui combattenti e con centinaia di variabili. Per migliorare ulteriormente l’IA sono anche stati sfruttati titoli che come DOOM [che] insegnano strategie diverse per gli spostamenti, l’individuazione degli obiettivi, la selezione delle armi e altre capacità autonome. Grazie a queste implementazione si dà vita a un mezzo corazzato che ha modalità completamente autonome, semiautonome e completamente manuali13.
Altro caso di sconfinamento del videogioco in ambito militare riguarda il sistema di gestione dei sottomarini nucleari della US Navy elaborato da Microsoft sull’onda della sua esperienza relativa al controller Xbox dei videogiochi, sistema che è stato preferito al tradizionale joystick realizzato da Lockheed Martin decisamente costoso e non altrettanto intuitivo14. Sempre in ambito statunitense, l’esercito e l’Idaho National Laboratory stanno congiuntamente sviluppando la gestione di robot militari attraverso il controller del popolare sistema di gioco Nintendo Wii (Wiimote) rivelatosi efficace nel ridurre il carico di lavoro dell’operatore e permettere un allargamento dei domini d’impiego.15. In questo caso, attraverso il raggio a infrarossi gestito attraverso un sistema di IA, diviene possibile indirizzare il robot a un luogo specifico ed attendere, al sicuro, che questo svolga il suo compito.
In Cina, oltre ad una riconversione di parte dei tradizionali carri armati in mezzi corazzati controllabili da remoto in grado di fronteggiare il nemico, sono stati sviluppati robot armati e dotati di videocamere di sorveglianza mobili di forma ovoidale denominati Anbot che ricordano R2D2 di Star Wars e Dalek di Doctor Who.16. In Corea del Sud invece è stato progettato per i suoi confini con la Corea del Nord un robot sentinella prodotto da Samsung denominato Techwin SGR-A1 dotato di sensori infrarossi, videocamere termiche, mitragliatrici e lanciagranate con un raggio d’azione di circa tre chilometri. Sebbene al momento tale dispositivo sembri essere ancora controllato da remoto, risulterebbe già in grado di svolgere la maggior parte dei suoi compiti in piena autonomia17. Tra i robot mobili finalizzati al monitoraggio disponibili alle forze armate statunitensi si può invece segnalare Groundbot, un dispositivo a forma di sfera dal diametro di circa 60 cm dotato di telecamere esterne in grado di muoversi con facilità su diversi terreni18.
Sempre nell’ambito dei robot impiegati in ambito militare, l’esercito iracheno si è dotato di una jeep telecomandata denominata Alrobot19, mentre negli Stati Uniti la Carnegie Mellon University ha sviluppato per il corpo dei Marines un veicolo da combattimento denominato Gladiator, disponibile sia in versione a sei ruote che cingolata, dotato di lanciarazzi e mitragliatrici comandato da remoto ma in grado di lavorare in autonomia. Anche MAARS (Modular Advanced Armed Robotic System) progettato da QuinetiQ Nord America è un robot militare comandato a distanza, dotato di batterie, con una capacità visiva di 360°, armato di mitragliatrice, lanciagranate e in grado di mettere in sicurezza i militari feriti20. La stessa Marina militare nordamericana sta sviluppando navi da guerra prive di equipaggio sia in una versione di ricognizione che in una di combattimento dotata di missili.
Numerosi sono poi i paesi che hanno sviluppato “droni kamikaze” di dimensioni estremamente ridotte, difficilmente individuabili ai radar, attivabili tanto in maniera manuale che automatica: una versione russa è realizzata dalla celebre ditta Kalashnikov, mentre negli USA si lavora a micro-droni come PD-100 Black Hornet, dal peso di soli 16 grammi, equipaggiato con foto e termocamera in grado di agire autonomamente una volta attivato21 e RoboBee sviluppato dall’Università di Harvard, vero e proprio drone-insetto di soli 8 grammi in grado di elevata autonomia di azione e pensato per operazioni di ricognizione o soccorso22.
Riprendendo il progetto “Future Soldier” statunitense che sin dagli anni Novanta intendeva sviluppare equipaggiamenti e tecnologie in grado di amplificare le abilità dei militari sul campo di guerra, anche l’Italia ha stanziato importanti finanziamenti per sviluppare il suo “Soldato futuro” ad opera di Selex (Finmeccanica, Beretta, Sistema Compositi e Aerosekur).23.
Nonostante il progetto statunitense sia stato cancellato nel 2016 e quello italiano sembri aver subito una battuta d’arresto, ingenti somme continuano a finanziare l’ambizione di ibridare macchina e soldato, come testimonia il progetto Next Generation Squad Weapons24 portato avanti dagli Stati Uniti che prevede militari iperconnessi, sostenuti da amplificazione sensoriale e dotati di armi con balistica computerizzata in grado di calcolare in autonomia le condizioni ambientali e la posizione del bersaglio, assistendo il soldato attraverso informazioni proiettate sull’ottica o ricorrendo a realtà aumentata o mista in modo da operare senza esporsi al nemico. Sono in fase di sviluppo anche sistemi di monitoraggio della salute del militare attraverso chip sottocutanei impiantati al polso.
Le possibilità di ibridazione tra l’universo videoludico e quello militare sono dunque molteplici ma aldilà degli elementi di coincidenza culturale tra alcuni settori della galassia dei videogiochi, l’estrema destra, le logiche neoliberiste e l’universo militare, quel che è certo, e inquietante, è che il ricorso alla forza e alla sopraffazione, che si tratti di hater da tastiera o di forze armate in divisa, sembra sempre più disincarnarsi e disumanizzarsi in quanto gli attacchi vengono portati da vere e proprie comfort zone che preservano dai rischi di un confronto diretto con il nemico, ormai percepito come un’incorporea immagine sullo schermo. Insomma, con sempre più “naturalezza” si sarebbe indotti ad agire sulla realtà come si trattasse di un videogioco. Massacrare esseri umani non è mai stato così facile.
Marco Accordi Rickards, Storia del videogioco. Dagli anni cinquanta a oggi (Carocci 2020). ↩
Matteo Bittanti, Introduzione: Make Videogame Great Again, in Matteo Bittanti (a cura di), Game Over. Critica della ragione videoludica, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 7-8. Circa le argomentazioni dei due autori citati si veda Nick Dyer-Witheford, Greig de Peuter, Games of Empire: Global Capitalism and Video Games, University of Minnesota Press, Minneapolis, Minnesota 2009. ↩
Si vedano a tal proposito i saggi di Andrea Braithwaite, Per un’etica del giornalismo videoludico? #gamergate e la mascolinità geek e di Michael Salter, Dalla mascolinità geek a Gamergate: la razionalità tecnologica dell’abuso online, entrambi pubblicati in Matteo Bittanti (a cura di), Game Over. Critica della ragione videoludica, Mimesis, Milano-Udine, 2020. ↩
Sarah Jeong, When the Internet Chases You From Your Home, “New York Times”, 15 agosto 2019. ↩
Charlie Warzel, How an Online Mob Created a Playbook for a Culture War, in “The New York Times”, 15 agosto 2019. Riportato in Matto Bittanti, op. cit., pp. 8-9. ↩
Ian Williams, Death to the Gamer, in “Jacobin”, settembre 2014. ↩
Matteo Bittanti, op cit., p. 13. ↩
Matteo Bittanti, op. cit., p. 14. ↩
Alfie Bown, How video games are fuelling the rise of the far right, in “The Guardian”, 12 marzo 2018. Riportato in Matto Bittanti, op. cit., pp. 17-18. ↩
Alessandro Alfieri, Video web armi. Dall’immaginario della violenza alla violenza del potere, Rogas, Roma, 2021, p. 95. ↩
Matto Bittanti, op. cit., p. 26. ↩
Risoluzione approvata con 566 voti a favore, 47 contrari e 73 astensioni il 12 settembre 2018: European Parliament resolution of 12 September 2018 on autonomous weapon systems ↩
Alessandro Baravalle, Xbox controller, StarCraft II e Doom. Non è una console ma Carmel, un carro armatoisraeliano, in “Eurogamer.it”, 31 luglio 2020. Si veda anche Noah Smith, Leore Dayan, A new Israeli tank features Xbox controllers, AI honed by “StarCraft II” and “Doom”, in “The Washington Post”, 28 luglio 2020. ↩
Si veda, ad esempio, Travis M. Andrews, The Navy’s adding a new piece of equipment to nuclear submarines: Xbox controllers, in “The Washington Post”, 25 settembre 2017. ↩
Si veda, ad esempio, Eric Bland, Wii-controlled robots made for combat, in “Nbc News”, 19 dicembre 2008. ↩
Si veda, ad esempio, Jane Wakefield, Tomorrow’s Cities: Dubai and China roll out urban robots, “BBC News” 10 giungo 2018. ↩
Si veda, ad esempio, Future Tech? Autonomous Killer Robots Are Already Here, in “Nbc News”, 15 maggio 2014. ↩
Si veda, ad esempio, Rotundus GroundBot spherical surveillance robot broadcasts live in 3D, in “New Atlas”, 24 ottobre 2011. ↩
Si veda, ad esempio, Mark Frigg, The remote controlled robot tank fighting ISIS: Iraqi military confirms Alrobot has been deployed in Mosul, in “Daily Mail”, 8 novembre 2016. ↩
Si veda, ad esempio, Heba Soffar, Modular Advanced Armed Robotic System (MAARS robot) features, uses & design, in “Sciences Online”, 19 marzo 2019. ↩
Si veda, ad esempio, PD-100 Black Hornet Nano Unmanned Air Vehicle, in “Army Technology”. ↩
Si veda, ad esempio, Giorgio Bellocci, I droni-insetto con laurea a Harvard per situazioni di soccorso, in “Robotica”, 23 maggio 2016. ↩
Se ne parla anche nel sito dell’Esercito italiano: “Future Soldier” Program, in “Esercito – Ministero della Difesa”. ↩
Next Generation Squad Weapons (NGSW) – U.S. Army Acquisition Support Center (USAASC). ↩