di Paolo Lago
Moira Dal Sito, Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende, a cura di Wu Ming 1, Alegre, Roma, 2020, pp. 266, € 16,00.
Il romanzo pubblicato recentemente da Alegre, Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende, costituito da diversi racconti e realizzato dal collettivo Moira Dal Sito, si presenta come un interessante esperimento di geopoetica, la quale si interessa alla riscrittura creativa dei fenomeni naturali e del territorio. Essa si inserisce all’interno delle recenti teorie scaturite dalla geocritica – di cui il massimo esponente è Bertrand Westphal – che predilige una visione multifocale del paesaggio e dello spazio di un determinato territorio. Si tratta di una dimensione in cui si intersecano flussi continui di informazioni, percezioni sensoriali, esperienze vissute, migrazioni identitarie. La riscrittura creativa attuata da Moira Dal Sito, ponendosi dichiaratamente dal punto di vista del cambiamento climatico e assumendo così uno sguardo ecocritico, si focalizza sul territorio del basso ferrarese, che viene inglobato in una futura dimensione distopica.
Il romanzo è il frutto di un’esperienza che si è sviluppata dal 2018 al 2020 nelle sale della biblioteca “Mario Soldati” di Ostellato, in provincia di Ferrara, coordinata da Wu Ming 1, che firma anche la prefazione del volume. Si è così formato un gruppo di scrittura collettiva, animato da uno spirito antigerarchico, i cui partecipanti non seguivano delle lezioni ma si ritrovavano in riunioni. Il nome del collettivo nasce da un anagramma del nome Mario Soldati, omaggio allo scrittore e alla biblioteca in cui il gruppo si ritrovava. Vi è però anche un significato più profondo nella scelta di questo nome: “Moira”, infatti, in greco significa “destino”, “fato”, una forza che tiene a bada gli dei e punisce il loro arbitrio. Come scrive Wu Ming 1, “oggi più che mai serve una ‘Moira’ per porre un freno alla distruzione di ambiente e risorse. “Dal Sito”, invece, significa “dal posto”, “dal luogo”. Come ribadisce l’autore della prefazione, “«Moira Dal Sito» suona dunque come un fiducioso auspicio che venga dal basso, dai territori, dalle loro singolarità, la forza che fermerà l’ecocidio e il disastro climatico”.
Come accennato, la prova narrativa offerta dal collettivo assume anche una dichiarata impronta ecocritica. Negli ultimi anni, del resto, le connessioni fra letteratura ed ecologia si sono fatte sempre più strette fino a divenire oggetto di studio di una particolare branca della critica letteraria, l’ecocriticism, di matrice anglo-americana. Essa studia le complesse relazioni fra la letteratura e l’ambiente fisico, approcciando gli studi letterari da una prospettiva rigorosamente incentrata sulla Terra. Anche in Italia, recentemente, sono stati dati importanti contributi a questa nuova branca della critica: basti ricordare gli studi di Serenella Iovino o di Niccolò Scaffai nonché un interessante sito come Zest. Letteratura sostenibile, che raccoglie interventi narrativi e critici incentrati sulla relazione fra letteratura e ambiente e promuove la pubblicazione periodica di “Tellus. Quaderni di letteratura, ecologia, paesaggio”, un progetto editoriale che consiste in una raccolta di saggi di ecocritica, approfondimenti e recuperi letterari.
La prospettiva ecocritica adottata da Moira Dal Sito coinvolge un determinato territorio, il quale diviene oggetto di una riscrittura creativa. Secondo gli scienziati, l’area più a rischio di tutto il continente europeo, per quanto riguarda l’innalzamento del livello dei mari, è quella nord-adriatica. Il basso ferrarese, nel territorio che giunge fino al delta del Po, “in ottant’anni” subirà inondazioni e allagamenti fino alla scomparsa di gran parte del suo territorio. La letteratura che si situa in una prospettiva ecocritica ha perciò il compito di smuovere le coscienze, di creare una diffusa consapevolezza nella popolazione a partire dal basso, come appunto si propone il collettivo coordinato da Wu Ming 1. Tra l’altro, questi territori non sono nuovi a una intrusione di acqua salata nel Po, evento che ha creato problemi all’agricoltura e pericoli per la falda di acqua potabile. Nel 2006 – ricorda lo scrittore nella prefazione – l’ingressione fu di trenta chilometri e dai rubinetti usciva acqua salata. Se di queste problematiche la politica non si occupa, impegnata soltanto a racimolare voti, è giusto allora che se ne occupino gli scrittori, i quali, per “raccontare il disastro climatico in una chiave che non sia soltanto quella ‘postcatastrofica’”, forse, “possono cantare la mappa. Scegliere un territorio e raccontare com’era, com’è e come sta per diventare”. Ecco che il territorio del basso ferrarese si trasforma in un luogo letterario, rivestito della magia della scrittura che, proponendolo in forma fantastica come sarà nel 2070 o giù di lì, solletica l’immaginario dei lettori. Si dipana di fronte ai nostri occhi un luogo devastato dall’acqua, disseminato di villaggi costruiti su palafitte dove vigono l’abbrutimento e la violenza (ma anche una solida auto-organizzazione comunitaria) come in uno scenario distopico che si rispetti. Lo spazio fantastico che ci viene dispiegato è inesorabilmente collegato all’oggi: è adesso, infatti, che è ancora possibile, forse, scongiurare molte catastrofi climatiche prima che sia troppo tardi. D’altronde, se volgiamo lo sguardo alla stringente attualità, come scrive Wu Ming 1, “la pandemia da Sars-Cov-2 ha aggravato la situazione imponendoci svariati passi indietro. Si veniva da due anni di mobilitazione planetaria, dalla discesa in campo delle nuove generazioni grazie a movimenti come Fridays for Future ed Extinction Rebellion. Sembrava che finalmente il clima fosse all’ordine del giorno, e poi… Puff!”. Eppure il clima c’entra, eccome se c’entra. Se le mascherine, come i sistemi effimeri per arginare l’innalzamento delle acque, riescono temporaneamente a fermare la ‘mareggiata’ del virus, le cause vere e proprie che stanno alla base della pandemia sono ben lungi da essere affrontate: “È così che una pandemia reale diventa una narrazione diversiva. All’ombra della quale la situazione peggiora”.
Diversi romanzi recenti hanno già affrontato le problematiche del cambiamento climatico e dell’inquinamento sempre più pervasivo: basti pensare a molte opere di Amitav Ghosh oppure, in ambito italiano, a Qualcosa, là fuori (2016), di Bruno Arpaia, in cui è affrescato lo scenario futuro di un’Italia e di un’Europa desertificate, solcate da migranti climatici in fuga verso i paesi del Nord. Si potrebbe pensare anche a Bambini bonsai (2010) di Paolo Zanotti, che mette in scena una Genova del futuro, cementificata dall’edilizia selvaggia e devastata da piogge acide, nella quale si muove, alla stregua di migranti, un gruppo di bambini alla ricerca di uno spazio incontaminato dove potersi fermare. Sempre in ambito italiano, si può ricordare il recente Pietra nera (2019), di Alessandro Bertante, nella cui narrazione viene descritta una abbandonata Milano del futuro in cui la natura ha ripreso il sopravvento. Per quanto riguarda, nella fattispecie, scenari apocalittici legati all’innalzamento dei mari, un romanzo interessante è invece Terre sommerse (After the Flood: A Novel, 2019) di Kassandra Montag, che narra di un mondo completamente sommerso, in cui le cime delle montagne più alte sono diventate isole fra le quali fanno la spola degli avventurieri che, anche qui, si configurano come una sorta di migranti climatici in cerca di una terra dove potersi insediare.
Il romanzo di Moira Dal Sito si articola in cinque “atti” seguiti da un “ultimo atto”. Si tratta di racconti indipendenti fra di loro ma, anche, tutti legati dal filo comune del territorio che si trasforma in un vero e proprio scenario fantastico. Come ha scritto Bertand Westphal in Geocritica. Reale Finzione Spazio a proposito dell’Odissea e delle Argonautiche di Apollonio Rodio, “è il discorso che fonda lo spazio”. Sono le parole del poeta che rivestono di nuovo significato lo spazio e quasi lo creano: “Giasone e gli argonauti inanellano i luoghi come perle sulla collana di parole del poeta”. Lo stesso avviene per i luoghi di Quando qui sarà tornato il mare: cantando la mappa, gli scrittori creano nuovi luoghi e nuovi spazi rivestiti di un immaginario resistente. I vari “atti” raccontano il territorio e il suo scempio per mezzo di svariati personaggi caratterizzati da continue migrazioni identitarie: da G.F., che scruta gli spazi del basso ferrarese devastato dai rifiuti tossici avendo “ormai abbandonato il suo corpo fisico”, alla biologa marina Diana Carli (che, come in un ecothriller – al cui centro vi è solitamente un giornalista o uno scienziato che deve fronteggiare e sventare un’emergenza ambientale – avrebbe voluto distruggere una diga dispensatrice di scempi ambientali e naturalistici); da Teresa che, insieme a Jesus, si reca in quei luoghi spinta da vecchi ricordi di famiglia, fino a Celso e Nena, legati da un nodo d’amore che investe anche il territorio e, per finire, fino alla piccola Miriam, la cui “fiaba” chiude il libro con un finale di speranza, nel quale si dischiude la possibilità di un cambiamento.
La prova narrativa che ci offre Moira Dal Sito è sicuramente interessante. Si tratta di una narrazione che riveste di connotazioni mitiche e fantastiche dei territori ben precisi, oggetto, tra l’altro, di un precedente esperimento di geopoetica realizzato da Gianni Celati con il suggestivo Verso la foce (1989), diario di un viaggio a piedi verso il delta del Po. Ma, soprattutto, come già ampiamente discusso, Quando qui sarà tornato il mare porta allo scoperto problematiche ambientali e climatiche di fronte alle quali non possiamo più chiudere gli occhi. Ne va veramente della nostra vita. È necessario, allora, riprendere in mano, per intero, la nostra dimensione umana e compiere un atto di resistenza creativa, di liberazione di un immaginario che vada anche e ben oltre l’immaginario stesso. Esempi di letteratura resistente come il romanzo di Moira Dal Sito stanno inequivocabilmente dalla nostra parte e ci accompagnano nella lotta.