di Sandro Moiso
Mali che se ciapa. Epidemie e contagi nel Veneto moderno, Lunario veneto di Dino Coltro 2021, Redazione di Marco Girardi, Cierre edizioni, Verona, ottobre 2020, 12,00 euro.
Certo, è una cosa che non si era mai vista: Carmilla che segnala e recensisce un calendario.
E poi mica uno di quelli moderni con le immagini realizzate da fotografi famosi, oggi un po’ più castigati di quelli che un tempo erano conosciuti e ricercati come ad esempio i “calendari Pirelli”, oppure di ‘movimento’. No, tutt’altro, qui si parla di un ‘lunario’. Ma quanti sono ancora coloro che si ricordano, o anche solo immaginano, che un tempo, nelle culture che oggi si ritengono superate e arcaiche, il calendario avesse una funzione educativa e ancor più pratica, soprattutto per i contadini?
Certamente pochi e già immagino i sorrisini e gli sguardi di scherno che correranno sulle labbra e i volti di molti lettori.
Evidentemente, da popolo di bevitori di birra oppure di bottiglie di vino acquistate in tutta fretta (al supermercato, nelle enoteche o nei ‘wine bar’) qual siam diventati, anche solo il fatto che la conoscenza delle fasi lunari possa essere stata (e sia ancora) di fondamentale importanza per l’imbottigliamento del vino potrebbe sembrare un residuo passatista antiquato e inutile, e forse anche un po’ conservatore. Eppure, eppure…
Il nuovo calendario/lunario per l’anno che viene, pubblicato dalle edizioni Cierre di Verona che continuano la tradizione dei lunari ispirati dalle ricerche sulla cultura popolare veneta condotte da Dino Coltro per più di trent’anni1, avrebbe potuto intitolarsi anche Mala tempora currunt visto che è totalmente ispirato dalla lunga stagione pandemica in cui siamo immersi e di cui, nonostante le miracolose e incerte promesse vaccinali, non si vede ancora con certezza una fine.
Ed è proprio questa incertezza a far sì che questo mondo, questa società e questo stile di vita che si credono e definiscono come moderni in realtà non siano poi così distanti dai timori, dalle paure e dalle pratiche sociali, compreso il distanziamento in epoca di epidemie, che caratterizzavano le culture, alte e basse, dei secoli e delle età precedenti la nostra. Timori, paure e contagi che non sono mica mai scomparsi e che hanno fortemente segnato la vita, e la morte, di milioni di persone anche in periodi non troppo distanti temporalmente da quello in cui viviamo.
Dalle diverse ondate di peste che hanno percorso l’Europa e l’Italia dal Medio Evo al XVII secolo, fino al colera e alla tisi, insieme ad uno straordinario cocktail di malattie endemiche, che costrinsero all’esodo e all’emigrazione verso altri paesi e altri continenti milioni di italiani poveri tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento2 passando poi per l’epidemia di “Spagnola” che causò poi ancora milioni di morti negli anni a cavallo della fine del primo macello imperialista, prima nelle trincee e poi tra i civili, le malattie infettive e contagiose hanno costantemente segnato il cammino delle società umane, costringendolo a brusche svolte e ancor più spesso a bruschi arresti. E di tutto ciò, soprattutto per quanto riguarda l’area veneta, il lunario per il 2021 rende conto.
Chiarendo, indirettamente, come fosse quindi inevitabile che tale tradizione epidemica lasciasse un segno profondo nelle culture e nell’immaginario delle civiltà precedenti e in particolare, almeno qui in Italia, in quella contadina.
Valga per tutte, a livello di immaginario religioso, la frequenza con cui, soprattutto nel Nord Italia, è possibile imbattersi in feste patronali oppure edicole e cappelle dedicate alla figura di san Rocco, al quale, non a caso, è dedicato il 16 agosto.
Autentico santo della peste, ispirato alla figura di un mercante di Montpellier che si distinse, narra la leggenda più che la storia, per essersi prestato alla cura dei malati di peste mentre era in pellegrinaggio verso Roma. Colpito dalla stessa malattia, sarebbe guarito miracolosamente grazie anche alle cure prestategli da un cane che aveva preso con sé durante il viaggio. Sarà poi il cattolicesimo post-tridentino a trasformare l’immagine del santo accompagnato dal cane e con la piaga pestilenziale su una gamba in quella decisamente più gore del cane che gli lecca le piaghe per guarirle. Come ben si sa, infatti, al peggio non c’è mai limite.
Ma torniamo al nostro lunario, iniziando proprio dalle immagini che lo accompagnano.
Il lunario è illustrato con immagini legate al tema delle epidemie e con alcune incisioni che Hans Holbein il giovane (1497 circa – 1543) dedicò alla danza macabra. Nei momenti di grande crisi, come durante i contagi, la morte è la rivincita sulle disuguaglianze sociali, rivela la vanità del potere e della ricchezza. In un ritmo inesorabile, Holbein raffigura scene di vita quotidiana, in cui uno scheletro accompagna i protagonisti umani, per ricordare che la morte non risparmia nessuno: grandi e piccoli, poveri e ricchi, giovani e vecchi. Di fronte alla minaccia, il vivo reagisce cercando di venire a patto con la morte, che risponde con ironia macabra: lo scheletro trascina nel girotondo il vivente; ride delle sue paure; si fa beffe dell’attaccamento umano alla vita e ai beni terreni; sfotte il tentativo maldestro di sottrarsi all’inevitabile destino3.
Molto ci sarebbe da dire e scrivere sull’incredibile florilegio di Trionfi della morte e danze macabre che costellarono l’arte occidentale a partire dal XIV secolo, donandole alcuni dei più significativi capolavori, sia come affreschi che come incisioni. Ma occorre qui fermarci un attimo sul significato di questo terribile e implacabile memento mori4, soprattutto per quanto riguarda una società e un modo di produzione che hanno fatto della loro progressiva eternizzazione la base di ogni narrazione politica, storica, scientifica e sociale.
La pandemia e le epidemie, riportano alla luce ciò che si vuole inutilmente negare e nascondere: la vita umana è a termine5 e così pure le società in cui si svolge, compresa quella attuale. Ergo se tutto muore, come affermava già Howars P. Lovecraft secondo il quale dopo lunghi e strani eoni anche la morte muore, anche il capitalismo, come tutti gli altri modi di produzione che l’hanno preceduto, è destinato a morire. Anche se sarà soltanto la Storia futura a rivelarci se di inedia o di morte violenta .
Ma se questo manifestarsi della morte e della fine dei cicli vitali e storici è accolto nelle culture tradizionali come un fatto, per quanto tragico, la società degli ultimi decenni ha fatto di tutto per nasconderlo oppure negarlo. Quasi come se la morte e la malattia invece che un fatto naturale, appartenessero al regime del non detto, di ciò di cui non si può parlare e, soprattutto, fossero diventate qualcosa di cui vergognarsi oppure qualcosa di talmente eccezionale da doverlo sottolineare con forme drammatiche spettacolari. Da lì derivano sia la spettacolarizzazione dei funerali e delle esequie (con tanto di applausi di cui non si riesce mai bene a capire il significato, considerato la distanza siderale che separa, in tali occasioni, i destinatari dell’omaggio da coloro che lo porgono), quanto la corsa verso forme di feste di morte (come quelle di cui già parlava Giovanni Boccaccio nella “cornice” del Decameron), rituali e scaramantiche, celebrate sia con la partecipazione di massa ad eventi collettivi che potrebbero rivelarsi compromettenti per la salute, sia nelle attuali risse tra gang di minorenni che, senza reali motivazioni nemmeno nel campo del controllo territoriale, si affrontano nelle piazze e nelle vie o sui ponti delle città italiane da qualche tempo a questa parte.
Fughe, dalla realtà della morte e da quella delle malattie che, però, hanno il pregio, almeno per il potere, di non intaccare mai o mettere in discussione le cause profonde e diffuse delle pandemie e delle emergenze. Mentre lo stato di emergenza tende a creare l’attesa del rimedio miracoloso, vaccino o altro che sia, e trasformando così l’antica e primitiva fede magico-religiosa popolare delle società contadine nella fede in una scienza svenduta un tanto al chilo.
Recuperare consapevolmente il memento mori potrebbe invece rivelarsi come un momento liberatorio per la specie umana attuale, come già suggeriva il materialista Leopardi indicando la necessità di collaborazione tra gli esseri umani, la cui triste condizione mortale obbligò a stringersi in social catena6 oppure come, in forma più aristocratica e guerriera, già faceva il libro del Bushido giapponese che nel vivere come si fosse già morti coglieva la possibilità di realizzare con audacia una vita completa e consapevole.
Completezza di vita, comunità umana e consapevolezza che sono agli antipodi della proposta solitaria ed egoista di vita individuale prospettata dal sistema economico-sociale attuale.
Il paradosso odierno è infatti quello di una società che, per negare la morte e la necessaria fine di ogni cosa, finisce con l’esaltarla e diffonderla sempre più massicciamente a discapito della vita, in un contesto in cui la biopolitica del potere si trasforma sempre più in necropolitica7. E che per paura della propria morte, in nome del mantenimento dello stato di cose presenti, è disposta a sacrificare l’intera biosfera e il suo futuro8.
Il calendario qui proposto ha sicuramente un grande pregio, quello di ricordarci come società ritenute arretrate nell’immaginario moderno e progressista potessero rivelarsi molto più disincantate nei confronti del potere, della ricchezza, dell’ambizione personale e della morte di quanto lo sia quella odierna, in ogni sua componente. Senza dimenticare che quelle stesse società, e nella fattispecie quella contadina veneta, dylanianamente non avessero bisogno di un meteorologo per sapere in quale direzione spirasse il vento. Non soltanto nel senso sotteso da Blowin’ in the Wind.
Il lunario si presenta diviso in cinque colonne:
La prima intitolata “Luna”, registra le fasi lunari di un comune calendario; nella seconda, distinta con il termine “Quarantìa”, sono riportate le conoscenze meteorologiche della tradizione orale. Pe renderli attuali si devono confrontare con le fasi lunari della prima colonna che, essendo diverse da un anno all’altro, ne garantiscono il significato meteorologico e rendono probabili le previsioni. Se non si tiene conto di questi “continui confronti”, esse perdono ogni riferimento reale. E’ infatti sulle fasi lunari che il contadino misurava l’annata agraria, contava le quarantìe, arrivava a fare delle previsioni del tempo alle quali si legavano le regole agronomiche, formulate sull’esperienza secolare delle generazioni passate e tramandate oralmente.
[…] I mutamenti violenti e repentini di questi decenni hanno cambiato, mutato o cancellato molto della sapienza del tempo contadino e il lunario rischia di essere dimenticato dalle nuove generazioni. Forse non è tempo perso quello riservato alla riscoperta di come eravamo e quale fosse il modo di “contare” il tempo dei nostri nonni, a confronto con i metodi attuali.
La terza colonna, infatti, riporta i giorni di lavoro, le feste, i santi secondo il consueto schema dei calendari, fatta eccezione per quei santi che sono direttamente legati alle indicazioni meteorologiche, alle usanze, al lavoro di una volta. La tradizione orale non ha mai tenuto conto delle riforme calendariali, avvenute nel corso dei secoli e, generalmente, è ferma al calendario di Cesare, come lo sono i russi e gli ortodossi.
La quarta colonna sviluppa il tema scelto per il 2021, Mali che se ciapa. L’ultima riporta, giorno per giorno, i proverbi, i modi di dire, i detti, che esprimono gli aspetti sapienziali del lavoro e della vita dei contadini, legati alla tradizione orale9.
In attesa di poter riempire di pece e piume i rivenditori di dati economici farlocchi, di terapie miracolose e di suggestioni nazionaliste, dell’enorme Medicine Show mediatico su cui si fonda la sottomissione al dominio del modo di produzione attuale, il cui unico scopo è quello di negare l’orrore “vero” del presente per mantenerlo in vita a discapito di tutto ciò che è davvero vivo e necessario per la nostra specie e quelle che ci hanno accompagnato fin qui, la consultazione e la lettura di questo calendario, nonostante la serietà dell’argomento, potrebbe ancora rivelarsi di buon auspicio per l’anno che verrà.
La cui opera principale è stata recentemente recensita su Carmilla qui ↩
Si veda in proposito almeno G.A. Stella, Odissee, Rizzoli, Milano 2004 ↩
Mali che se ciapa. Epidemie e contagi nel veneto moderno, Lunario veneto di Dino Coltro 2021 ↩
Sul tema del buon morire e della danza macabra si veda il sempre fondamentale A. Tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento (Francia e Italia), Einaudi, Torino 1977 (prima edizione 1957) ↩
Come avrebbe affermato il teologo tedesco Meister Eckhart, vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo, ci sarebbe data soltanto “in prestito d’uso” ↩
G. Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto, v. 149; cui andrebbero aggiunte le considerazioni svolte nel Dialogo della Natura e di un Islandese: “Natura – Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione.” ↩
Si veda D. Di Cesare, Virus sovrano? L’asfissia capitalistica, Bollati Boringhieri, Torino 2020 ↩
Come sembra suggerire lo straordinario romanzo di George A. Romero e Daniel Kraus, I morti viventi, recentemente pubblicato da La nave di Teseo ↩
Lunario veneto di Dino Coltro 2021 ↩