di Gioacchino Toni
«La storiografia ci ha insegnato, a partire dagli studi oramai classici di Michel Foucault e George Mosse, che la sessualità è un elemento attraverso il quale comprendere il funzionamento dei fenomeni storici: le rappresentazioni culturali, il rapporto dell’uomo con la scienza e quello con la natura, le politiche sociali. Lo studio della sessualità ha permesso di agevolare la comprensione di temi essenziali, collocata com’è all’incrocio tra il vissuto intimo del corpo e lo spazio delle relazioni intersoggettive, oggetto di attenzione politica e investimento istituzionale, di normazione morale e giuridica. La rilevanza storiografica delle questioni sessuali è data dalla consapevolezza del peso che la bio-politica – ovvero il disciplinamento della vita biologica, dei corpi e della sessualità – ha avuto e ha per il mantenimento della sovranità, dunque per la storia del potere politico e religioso».
Con queste premesse Anna Pattuzzi, con il suo Il piacere e la colpa. Cattolici e sesso in Italia 1930-1980 (Mimesis 2020), si è proposta di colmare un vuoto presente negli studi del panorama italiano a proposito del rapporto tra mondo cattolico e sessualità. A differenza di quanto accaduto in altri contesti storiografici europei, se in ambito italiano non mancano studi sulla sfera sessuale su specifiche problematiche e sulla dottrina magisteriale, scarsa attenzione è stata fino ad ora dedicata «alla ricezione diffusa di quella dottrina da parte della base, del laicato cattolico, capace di cogliere anche le elaborazioni teologiche, le proposte pastorali e politiche autonome, prodotte dal basso e in relazione con le trasformazioni che coinvolsero l’Italia» dal dopoguerra fino all’aprirsi degli anni Ottanta.
L’analisi di Pattuzzi prende il via con l’emergere di un primo discorso pubblico dei cattolici nel corso degli anni Cinquanta su questioni inerenti la sessualità matrimoniale, il controllo delle nascite, la ridefinizione della verginità e del celibato, l’educazione sessuale, la prostituzione e il diffondersi della pornografia.
L’autrice passa poi ad esaminare lo sguardo cattolico alla sessualità e alla vita coniugale che caratterizza il periodo del Concilio Vaticano II, e quello immediatamente ad esso successivo, soprattutto tra il 1966 e il 1968, contraddistinto da una presa di parola autonoma, non di rado conflittuale, da parte del variegato mondo del laicato cattolico alla ricerca di un’alternativa tanto alla rigidità dei dettami dottrinali circa la morale sessuale, quanto e quella vista come “concezione consumistica” del sesso e del corpo della società italiana dell’epoca.
L’ultima parte dello studio di Pattuzzi è dedicato agli anni Settanta, periodo in cui il cattolicesimo italiano si trova a fare i conti con le leggi sul divorzio e sull’aborto, oltre che ad interrogarsi sulla sessualità prematrimoniale ed extramatrimoniale, sull’omosessualità, sulla sessualità femminile e sull’istituzionalizzazione dell’educazione sessuale.
Tra gli anni Cinquanta e Settanta all’interno della dottrina, della morale e del discorso pubblico del mondo cattolico italiano, la sfera sessuale assume un ruolo di assoluto primo piano sia per una crescente volontà dei fedeli di affrontare un ambito sostanzialmente sino ad allora rimosso, che per un bisogno dell’istituzione religiosa di “sorvegliare e indirizzare” la società italiana.
Secondo l’autrice quello tentato dal cattolicesimo italiano è stato il tentativo di strutturare una morale differente da quella tradizionale, da quella libertaria e da quella consumistica. Un tentativo rivelatosi fallimentare, schiacciato tra «il relativismo e il nichilismo della ‘fine delle narrazioni’ nella società secolarizzata, e la privatizzazione della condotta sessuale» e «l’arroccamento ecclesiastico e politico sui ‘valori non negoziabili’, in cui l’attenzione al corpo e al controllo della vita biologica ha avuto i toni dell’ossessione che tutti conosciamo e che la ricerca ha saputo mettere in luce».
Il fallimento può certamente essere imputato alla chiusura del dialogo da parte della gerarchia e al venir meno delle mobilitazioni da parte della base, ma è dovuto anche, sottolinea la studiosa, alle «caratteristiche storiche peculiari del cattolicesimo italiano e della società italiana. Per i ritardi decennali dei cattolici nel nostro Paese nel confronto con la psicanalisi, con le scienze moderne, per l’assenza di fermenti dal basso, di movimenti di spiritualità coniugale come furono i foyer catholique in Francia e Belgio, e l’assenza di un clero illuminato, sufficientemente indipendente dalla Curia romana e desideroso di aprire su questi temi un dialogo reale con i fedeli sui territori. Non attecchì per la mancanza, nell’esperienza quotidiana del mondo laico, di un confronto culturale contestuale con il mondo protestante, che già a partire dagli anni ’30 compì diversi passi avanti sul fronte della morale sessuale».
La stessa rapidità con cui è mutata la società italiana nel secondo dopoguerra in direzione di «processo rapido di secolarizzazione e scristianizzazione» ha probabilmente sottratto alla comunità religiosa il tempo necessario a metabolizzare i cambiamenti. Inoltre, sottolinea Pattuzzi, al fallimento ha sicuramente concorso anche il «contesto nazionale laico, con i retaggi radicati della morale borghese e di quella comunista», un contesto poco propenso ad intraprendere un «discorso fondato sul sesso nell’esperienza umana».
Una ricostruzione, quella proposta dall’autrice, che induce a riflettere sul fatto che in questo Paese non sembrano essere stati soltanto i cattolici a perdere l’occasione di fare i conti con la sessualità. E se ne vedono purtroppo i risultati.