di Alessandra Daniele
Gli USA bruciano, e stavolta non è un film.
L’ennesimo efferato omicidio d’un afroamericano, George Floyd, assassinato da poliziotti bianchi è stato il detonatore, ma l’esplosivo s’accumula da secoli, e il catastrofico decorso della pandemia di Covid-19 – già oltre 100.000 morti e 40 milioni di disoccupati – ne è diventato parte integrante.
Donald Trump, sempre più rabbioso e grottesco, s’aggrappa ancora ai tipici rampini della destra, l’esercito – che però gli sfugge – e la Bibbia, sperando che lo stato d’assedio e il clima da seconda guerra civile distragga l’opinione pubblica dalle sue colpe nella gestione criminale della pandemia, e spaventi abbastanza la cosiddetta maggioranza silenziosa da consegnargli una rielezione che vede altrimenti diventare ogni giorno più improbabile.
In realtà gli eventi precipitano così velocemente e con tale violenza da far sembrare velleitario e preistorico ogni calcolo politico di stampo tradizionale.
Dal suo bunker presidenziale Trump ha minacciato i manifestanti twittando “Se si avvicineranno, troveranno i cani più feroci mai visti”. Si riferiva a se stesso e ai suoi soci. Cani da guardia del capitale, arrivati alla Casa Bianca anche grazie al voto di fin troppi appartenenti alle classi sfruttate, che però la prossima volta difficilmente rifaranno lo stesso errore.
La rabbia sociale cresce in tutto il mondo, e supera ormai anche la paura del virus.
Le piazze tornano a riempirsi, ed è un contagio che nessuna mascherina sembra più in grado di fermare.