di Giorgio Bona
Qui e qui le precedenti puntate.
“L’uomo va, sempre e comunque, difeso e l’onere delle prove sta tutto e sempre sulle cose, soprattutto su chi le produce e le immette nell’uso umano, nell’ambiente di vita ed in particolare di lavoro. La vita dell’uomo va difesa non soltanto dai danni, ma anche dai rischi, va riparata dai colpi ma anche dalle ombre se queste proiettano una minaccia di malattia e di morte.”
Questo scriveva Giulio Alfredo Maccaccaro, medico, biologo e biometrista, che si occupò di metodi della statistica applicata alla medicina e alla ricerca delle cause soprattutto ambientali e lavorative delle malattie.
Maccaccaro fu uno dei fondatori di “Medicina Democartica” e, ancora studente di medicina all’Università di Pavia, partecipò attivamente alla resistenza con i partigiani dell’Oltrepò Pavese nelle file della Brigata Barni.
Questa epigrafe fu il viatico, come raccontò Riccardo Coppo, sindaco di Casale ai tempi della chiusura della Eternit, per mettere in vigore quell’ordinanza 83 che vietava la produzione e l’uso dell’amianto sul territorio Casalese. E tutto ciò fatto per riparare la città e chi la abita dalle ombre se queste proiettano una minaccia di malattia e di morte.
Anche se la produzione di amianto era diminuita a partire dalla metà degli anni 70 proprio perché si erano rilevate malattie professionali dovute alle polveri come l’asbestosi e la silicosi, ecco che, proprio in quegli anni, cominciano ad arrivare le prime denunce e si inizia a prendere timidamente in considerazione il problema.
La struttura dell’amianto ha una composizione formata da fibre simili a quelle di un tessuto. Queste, quando vengono maneggiate, producono una polvere che si libera nell’aria e può essere respirata. La pericolosità consiste, infatti, nella capacità che i materiali d’amianto hanno di rilasciare fibre facilmente inalabili.
La produzione di cemento amianto alla Eternit di Casale Monferrato ha provocato nel tempo una sorta di pandemia, dovuta al rilascio in fabbrica e nell’ambiente circostante di fibre invisibili a occhio nudo, del diametro non superiore al mezzo millimetro e lunghe dai due ai cinque millesimi di millimetro di diametro, letali per i polmoni.
Uno studio condotto negli Stati Uniti rilevava che la polluzione della polvere di questo materiale ha incidenza fino a ventisette chilometri dal punto di lavorazione. Ecco allora che la fibra killer poteva avere effetto non soltanto su chi con l’amianto era a contatto per la lavorazione, ma su tutta la popolazione della città e la popolazione delle zone limitrofe.
Possiamo aggiungere che l’attenzione a questo problema non ha interessato soltanto la scienza, anche perché c’è stata una letteratura che ne documentava la gravità. Lo scrittore Franz Kafka, padrone di una piccola fabbrica a Praga in cui si lavorava l’amianto, raccontò e descrisse le serie condizioni delle sue operaie a contatto con la fibra.
È interessante sapere cosa succedeva in quegli anni all’interno della Eternit che non era sicuramente il modello di fabbrica ideale, quella per intenderci del sogno olivettiano di azienda famiglia. La Eternit era al passo con i tempi di tutte le grandi fabbriche dove di ambiente, prevenzione e rischio non si voleva sentir parlare. Per dirla in breve, nonostante le ricerche scientifiche, avessero comunicato la pericolosità dell’amianto, l’azienda ha continuato imperterrita nella sua produzione, in barba ai dati documentati riguardo le tragiche conseguenze dell’esposizione del materiale.
Dal 1976 venne istituita all’interno dello stabilimento il consiglio di fabbrica, che decise di promuovere indagini ambientali con lo scopo di verificare la concentrazione di fibre di amianto.
Ci fu anche, coordinato dalle associazioni sindacali, su una forte spinta dalla base, uno sciopero durato ottantasette ore. La richiesta dei lavoratori era quella di ottenere modifiche al processo di lavorazione.
L’imposizione di mascherine di carta, la disposizione di ventole e cappe aspiranti bastarono perché la stampa si mobilitasse a parlare di una grande conquista e che l’amianto aveva cessato la sua opera di nocività e che non doveva dare più preoccupazioni.
Inoltre l’imposizione dell’INAIL che aveva imposto all’azienda di predisporre pulizie straordinarie e alternare il ciclo produttivo in modo da ridurre lo spargimento delle polveri, aveva portato l’azienda medesima a ridurre il premio per il rischio di amianto .
Sembra che già dagli anni 40 l’azienda fosse a conoscenza dei rischi provocati da questo materiale. Non era un caso che agli operai che lavoravano in un ambiente “a rischio” fosse riconosciuta un’indennità in busta pari a circa ventimila lire. Questa cifra molto simbolica e ridicola rispetto alla portata del rischio, o meglio ancora del pericolo cui il lavoratore era sottoposto, era una sorta di “indennità polvere”.
Alla Eternit prendevi la polvere, ti rivestiva, la respiravi, era quasi considerato normale perché faceva parte del duro lavoro.
Sul finire degli anni settanta l’azienda dispose pulizie straordinarie alternando il ciclo produttivo per ridurre lo spandimento della polvere e questo intervento portò l’INAIL a ridurre il premio corrisposto per il rischio amianto, perché per l’azienda, a parte due reparti, non c’era più alcun rischio per i lavoratori.
La mobilitazione all’interno si fece sentire. La camera del lavoro inoltrò una denuncia nei confronti dell’INAIL conducendo un’indagine con i propri periti. Nonostante le macchine spente e i reparti lucidati, emerse da questa seconda indagine che l’amianto era ovunque.
Avremo modo successivamente di parlare di ottantanni di storia dell’amianto, muovendoci tra narrazione e dati alla mano che sono un disastro per una città di 34.000 abitanti.
Dentro un tunnel buio buio…. quello che non si è voluto vedere…
(continua)