di Mauro Baldrati
A Casalecchio di Reno, un comune di 36.000 abitanti facente parte della Città Metropolitana di Bologna, si stendono i 110 ettari di un maestoso parco fluviale/collinare, il Parco della Chiusa, o Talon, dal nome della famiglia nobiliare che lo possedeva. Era particolarmente amato da Stendhal, che nel 1817, durante un soggiorno a Bologna, lo frequentava: “Vado quasi ogni mattina a Casalecchio, passeggiata pittoresca alle cascate del Reno: è il Bois de Boulogne di Bologna.”
Ha una morfologia complessa e spettacolare: è un parco selvaggio, con una parte di territorio a golena del fiume Reno, con vasti prati e fitti boschi secolari; poi si inerpica su per la collina, verso San Luca, con grandi cespugli di rosa canina, ginestre, boschetti di Roverella. Di fatto è il punto di partenza della Via degli Dei, il percorso pedonale che collega Bologna con Firenze, frequentato quotidianamente da camminatori con gli zaini che si apprestano ad affrontare il trekking di una settimana lungo l’Appennino.
E’ una creatura della natura, un ecosistema che ospita una quantità di animali selvatici e di uccelli. E come tutte le creature di questo pianeta ha un nemico, che può essere mortale: l’uomo. Ma l’uomo significa tutto e niente. Il vero nemico è costituito dalle associazioni della specie umana che hanno la pretesa di dominare, modificare, ed eventualmente distruggere tutto ciò che nasce e cresce sul pianeta per i loro scopi.
Una precedente amministrazione di Casalecchio, a maggioranza PD, ha già tentato di intervenire sul parco con la parola-chiave foriera di mille ambiguità e mille minacce: riqualificazione. E’ una modalità ormai consolidata quella di procedere per slogan, come teste d’ariete che vengono lanciate contro l’immaginario dei cittadini/consumatori/elettori.
L’amministrazione guidata dal sindaco Castagna, nella seconda metà degli anni Novanta aveva già progettato di aprire il parco alla riqualificazione vendendo una casa colonica, attestata sul crinale di un colle con una bella veduta sul parco. Sarebbe stata ristrutturata e trasformata in un condominio, con una inevitabile intrusione del traffico privato. Ma poiché questo progetto conteneva una sua violenza, e poteva rappresentare un pericoloso precedente, è stato bloccato dalle proteste di associazioni ambientaliste. Pericolo scampato. Per ora.
Ma le politiche delle amministrazioni, che per loro natura sono tecnocratiche e aziendaliste, non si fermano. E non si fermeranno. Può lo scorpione non pungere la rana, anche a costo di annegare?
Così, con un’altra parola-chiave particolarmente moderna e pericolosa, non ci sono i soldi, l’amministrazione seguente, guidata dal sindaco Gamberini, ha finalmente aperto ai privati. Ma questa volta è andata bene. L’assessore all’ambiente era Beatrice Grasselli, dei verdi, che ha fatto una scelta che si può definire etica: una parte del parco è stata ceduta a un’azienda agricola biodinamica che, con la collaborazione dell’Università di Ferrara, l’ha coltivata a grani antichi e ortaggi. Si è verificato pertanto un certo movimento di macchine agricole, ma tutto sommato l’intervento si è dimostrato sostenibile. E’ stato realizzato anche un forno tradizionale per cuocere pane biodinamico, un forno “pubblico” aperto a chi voleva prepararlo in sede, con l’utilizzo della pasta madre. Inoltre per un certo periodo in una grande casa colonica all’interno del parco i gestori tenevano le capre, le galline due asini e un cavallo, con stile anche un po’ fricchettone (le capre e le galline erano allo stato brado, bivaccavano e brucavano sui sentieri dove camminavano gli umani), con grande gioia dei bambini. Tutto il progetto, compresa la ristrutturazione di due case coloniche e della villa Talon, nelle cui scuderie è stata anche ricavata una serra per la conservazione della biodiversità, è stato realizzato senza cartolarizzazioni, ma con un PSR (Piano di Sviluppo Agricolo) proposto all’UE per ottenere i contributi.
Ma intanto il tempo passava, e le amministrazioni cambiavano. E anche le generazioni. Il progetto si è estinto, per l’allontanamento della Grasselli, che non è stata riconfermata all’assessorato. Ora, è possibile che le generazioni tecnocratiche e aziendaliste migliorino? Sarebbe un evento, ma di pura fantasia. Migliorano, sì, ma nel senso che si sviluppano. Così il nuovo progetto, lanciato dall’attuale amministrazione Bosso/Negroni nel sistema informativo istituzionale da mesi, che ora si chiama “Contratto di concessione di servizio integrato di gestione del verde urbano” è stato firmato il 29 ottobre 2019, per una durata di 19 anni. Avrà un costo complessivo, compresa la manutenzione anche delle altre aree verdi del comune, di 13 milioni di euro. Nella sua fase iniziale, presentata alla cittadinanza con conferenze faraoniche con esperti botanici e finanziari, prevedeva un ampliamento della superficie coltivabile, la realizzazione di un agriturismo e una struttura ricettiva. Di nuovo un’idea pericolosissima: aumento esponenziale del traffico agricolo e dubbi sul divieto di entrare con le auto private. La testa d’ariete è sempre la stessa: non ci sono i soldi (in realtà ci sono, il problema è dove e come vengono investiti). Insomma, il progetto originario di Castagna, reso ancora più aziendale e “scientifico”. Poi pare che anche questo “sogno” sia svanito, di fronte a varie difficoltà: i cinghiali che devastano i terreni, dubbi sull’effettiva resa della parte economica, l’agriturismo ecc. Di nuovo pericolo scampato? Si vedrà. Perché lo scoprpione…
Intanto i primi interventi già si vedono, e ciò che si vede non fa ben sperare.
Nel corso delle conferenze l’assessore Barbara Negroni ha garantito che la natura selvaggia e incontaminata del parco non sarebbe stata modificata. Parco selvaggio significa rispettare la vegetazione esistente, il sottobosco, le piante cresciute spontaneamente, l’andamento del terreno ecc. Invece numerose distese di boscaglia, anche molto vaste, sono state estirpate. L’ultima risale a pochi giorni fa. Un’area di circa settemila metri quadrati è stata rasa al suolo, lasciando il terreno a nudo. La vegetazione, spontanea, era formata da vasti cespugli di rosa canina, piccoli alberi, rovi e piante fiorite. Inoltre una lunga fila di ciliegi secolari è stata distrutta, col pretesto che erano secchi. In realtà solo una minima parte lo era veramente, gli altri continuavano a produrre i frutti. Ma forse non erano abbastanza efficienti?
Sembra di assistere a un’estensione del concetto di decoro, di ordine e pulizia, che le amministrazioni cittadine, indifferentemente che si dichiarino di destra o di sinistra, applicano con sempre maggiore zelo. I brutti, i selvaggi, i mendicanti, i matti, i centri sociali, i turisti poveri, vanno cacciati, multati e persino arrestati (così recitano le ordinanze di Ciro Nardella a Firenze, dei vari sindaci leghisti del nordest, di Merola a Bologna ecc.). Così impongono il cosiddetto “decreto Minniti” (n. 14 del 2017), e i Decreti Sicurezza.
Per cui la vegetazione selvaggia, detta infestante, non nobile, cresciuta nei decenni, che crea il sottobosco, e ospita le varie specie animali, deve essere estirpata, in nome della pulizia e del dominio della specie umana aziendalizzata e neoliberistizzata.
Ma non è finita. Sarà mai finita?
Il parco ha uno spettacolare viale d’acceso detto “degli ippocastani”. Due filari di alberi piantati all’inizio del secolo scorso ci accolgono come monumenti. L’amministrazione affermava che molte piante erano secche o quasi. Per cui dovevano essere abbattute. Ci sono state proteste, un gruppo di “difensori” ha organizzato un flash mob nel quale si sono simbolicamente incatenati ai tronchi. L’obiezione è che solo una decina di piante erano effettivamente malate, ma le altre dovevano rimanere. Ne sono appena state abbattute 22. I tronchi sono stati immediatamente rimossi, mentre hanno lasciato sul posto alcuni tronconi palesemente cariati, come dimostrazione. Si registra anche un aggiornamento della terminologia. Infatti accanto alla tristementre famosa riqualificazione ora è spuntata la rigenerazione. Perché non è finita qui. Ora il progetto è di abbattere anche le 26 rimanenti. “Le taglieremo tutte entro il 2021” ha detto a muso duro la Negroni. E il costo (diecimila euro) lo pagherà il Rotary Club.
E non è ancora finita. Come potrebbe?
Nel corso di alcuni lavori di consolidamento idrogeologico (utili, va da sé), canalizzazioni e terre armate per contrastare le frane, è stato abbattuto un numero inverosimile di piante di alto fusto all’interno di uno dei boschi. Alcuni alberi non erano neanche compresi nelle zone operative, ma sono stati abbattuti, hanno riferito gli operatori (che hanno affermato di agire sotto la supervisione del comune), perché “inclinati”. Inclinati. Degli alberi enormi in un bosco fitto, si sostengono gli uni con gli altri, non cadrebbero neanche se investiti da un tifone.
Così, mentre il mondo parla (o finge di parlare?) di emergenza climatica, di CO2, di ossigeno, l’unica difesa naturale contro questa piaga causata dall’uomo viene aggredita, depredata e ferita.
Sembrerebbe tutto folle, tutto incomprensibile. In parte lo è. Perché il sistema neoliberista, oltre che fallimentare, è anche folle. Pretende di dominare su tutto, di devastare ciò che gli aggrada, per i suoi scopi di profitto e di dominio. E così finisce per distruggere, inesorabilmente, anche se stesso.
[Si ringrazia Alesandro Conte, guida ambientale di Casalecchio, per le informazioni e i consigli. Le foto sono state scattate all’interno del parco Talon durante i vari lavori di disboscamento: in apertura, si estirpa la vegetazione infestante; il taglio di un ippocastano; uno degli alberi secolari abbattuti per i lavori di consolidamento idrogeologico; alcuni resti dei ciliegi; uno degli ippocastani minacciati.]