di Paolo Lago
Cristò, La meravigliosa lampada di Paolo Lunare, Terrarossa Edizioni, Bari, 2019, pp. 97, € 13,00
Il fantastico, secondo la definizione di Tzvetan Todorov, è “l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale”. L’avvenimento soprannaturale, nel bel romanzo di Cristò recentemente uscito per Terrarossa, sembra avvenire – mi si perdoni il bisticcio – in modo del tutto naturale. È con grazia magica e quasi naturalezza, infatti, che il fantastico si insinua all’interno della storia che è e rimane una storia come tante. Al centro c’è una coppia che, dopo tanti anni di matrimonio, comincia a entrare in crisi, ma non c’è solo questo. C’è la vita di tutti i giorni, incanaglita e assuefatta nei suoi ritmi quotidiani, nelle routine lavorative, nella monotonia dell’esistenza di provincia che sempre uguale si ripete. I protagonisti sono Paolo e Petra, due sposi che, nonostante si vogliano bene, hanno vissuto in un mondo di menzogne e bugie. Il fantastico, all’improvviso, irrompe nella storia: anche se il personaggio di Paolo, dal cognome di “Lunare”, già rimanda ad un universo fantastico e surreale (in un continuum letterario che parte da Pirandello per arrivare fino al Calvino delle Cosmicomiche e oltre), è grazie appunto a una sua invenzione che il soprannaturale entra nel racconto.
Il personaggio inventa infatti una lampada che riesce a svelare i fantasmi, una lampada che emana luce lunare. Si instaura quindi una netta dicotomia fra notte e giorno: il giorno è il momento della menzogna e della bugia, del lavoro e dello stress quotidiano, delle incomprensioni, delle falsità, della rabbia. È il momento delle bugie che Petra ha sempre detto a Paolo, affermando che sua madre era morta e che non poteva avere figli; è il momento del non detto alla stessa Petra da parte di Paolo. La notte, invece, assume le fattezze di un vero e proprio spazio liberato. Assistiamo a una spazializzazione del tempo: il momento notturno diviene spazio liberato dalle angosce del quotidiano. Se, come afferma Fredric Jameson, col postmodernismo si attua un vero e proprio spatial turn, una predominanza dello spazio sul tempo, la stessa letteratura postmoderna sembra offrirci numerosi esempi di questo mutamento. Comunque, definire ‘postmoderno’ (una categoria che appare ormai superata nella contemporaneità) il romanzo di Cristò sarebbe riduttivo: esso è un intarsio narrativo che, rinnovando, si situa in una precisa tradizione del fantastico italiano che trova fra i suoi esponenti più significativi scrittori come Calvino, Buzzati e Landolfi. A quest’ultimo autore e alla sua Pietra lunare, poi, il nostro romanzo sembra attuare un preciso riferimento: anche nell’opera di Landolfi, la notte è il momento magico che si oppone al giorno; è lo spazio e il tempo in cui, grazie alla luce della Luna, si possono vedere e contemplare misteriose magie che alla luce del Sole sono assolutamente invisibili. La Luna e i ‘lunatici’ sono sempre stati avvolti da un alone di mistero nella letteratura, saturi di magia e di leggerezza, a partire dai viaggi sulla Luna raccontati nella Storia vera di Luciano di Samosata e nell’Orlando furioso fino al Voyage dans la Lune di Georges Mèliés. Del resto, la Luna, come scrive Calvino nelle Lezioni americane, nei versi dei poeti ma soprattutto in Leopardi, “ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo”. Anche nella Meravigliosa lampada di Paolo Lunare, la luce della Luna si distende sulle strade notturne come un “silenzioso e calmo incantesimo”.
I fantasmi dei genitori che i protagonisti incontrano di notte sono in fondo loro stessi: non a caso, la madre di Petra compie i medesimi gesti e movimenti di lei quando era bambina e la portava a giocare nel parco. La città notturna illuminata dalla lampada lunare appare quindi lo spazio del fantastico, il luogo in cui può intromettersi un alone misterioso che, come la luce della Luna, crea la magica sospensione di un incantesimo. E – ricordiamolo con le parole di Franco Pezzini – il “fantastico non è tanto un contenuto quanto un modo di narrare e di guardare.” Il modo di narrare di Cristò, anche laddove il territorio del fantastico non è esplicitato, vale a dire nei momenti diurni, nei dialoghi domestici, nelle routine quotidiane, possiede una grazia e una leggerezza fuori del comune. Si tratta di uno stile sintatticamente semplice che non si concede nessun autocompiacimento retorico o linguistico. Uno stile che riesce a scovare nella banalità del quotidiano la magia delle piccole cose. È una scrittura che, per mezzo della sua leggerezza, riesce a svelare la magia del quotidiano, nello stesso identico modo in cui la lampada di Paolo riesce a mostrare gli spettri. Ed ecco che, fin dalle soglie testuali del libro, emerge un altro sicuro punto di riferimento letterario dell’autore: Gianni Rodari, un vero e proprio maestro nel rendere incantata e magica la banalità e la semplicità quotidiana. L’epigrafe del libro reca infatti una frase dello scrittore: “Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare”. Alla fine, la luce della lampada potrebbe semplicemente rappresentare questa capacità di guardare e ascoltare di cui parla Rodari: per mezzo di essa, i personaggi, rappresi nella disaffettività quotidiana, riescono gradatamente a guardare e a guardarsi con spirito nuovo, con uno sguardo diverso, frutto di una lenta e consapevole resistenza. E allora il fantastico si può considerare veramente come una resistenza culturale, un riuscire a guardare più in profondità ciò che ci circonda e, ovviamente, anche noi stessi. Frutto appunto di una resistenza contro il banale, contro il vuoto piattume imposto da oscure logiche di potere che governano i rapporti sociali.
Non è un caso che il racconto inizi in un ottobre inoltrato in cui si comincia a sentire freddo dopo una lunga estate torrida. Quel freddo che arriva ha la stessa valenza della luce della Luna, quella luce che, come ha scritto Calvino, riesce a creare magia e incantesimo. Quel freddo che arriva conduce con sé il dolce mantello di un inverno in cui tutto potrà apparire più leggero e rarefatto, in cui, insieme all’immaginario fantastico, si possono finalmente squarciare le sbarre della falsità di cui la vita pare avvolta. Il fantastico che scaturisce dalle pagine di Cristò riesce a creare compagini di resistenza nelle scontate vie della quotidianità, una resistenza dell’immaginario che lotta nella notte, alla luce della Luna, per cercare di cambiare lo scontato ordine delle cose.
Riferimenti bibliografici:
Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 1993.
Franco Pezzini, Le lenti, lo specchio e i vetri della finestra. Il fantastico come linguaggio-laboratorio e macchina per pensare, in AA.VV., Immaginari alterati. Politico, fantastico e filosofia critica come territori dell’immaginario, Mimesis, Milano-Udine, 2018, pp. 49-73.
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 2011.