di Mauro Baldrati
Nella precedente corrispondenza dal Fantabosco letterario editoriale avevo posto l’accento sulle difficoltà del lettore, ovvero l’utente finale della cosiddetta “filiera”, colui che decide le sorti dei libri. O almeno che crede di farlo, perché il suo libero arbitrio viene omologato dal marketing, dalla pubblicità, e dalla sua mancanza di tempo libero per cercare, per studiare e per decidere.
Ora vorrei spostarmi verso la parte iniziale, cioè la genesi: l’autore. E’ da lui che viene la materia prima, il progetto dal quale parte la lavorazione del “prodotto” che poi viene proposto al lettore. Il quale compra, e paga. E i suoi soldi servono per pagare i vari operatori della catena: l’editore, la tipografia, il distributore, l’ufficio stampa. Tutti ricevono il dovuto compenso per l’opera prestata.
Tutti meno uno. Chi non viene pagato? Proprio colui dal quale dipende tutta l’operazione: l’autore. Senza l’autore nulla verrebbe pubblicato. Invece lui è l’anello debole. Ma vediamo di chiarire perché.
Ovviamente da questa considerazione sono esclusi gli autori famosi, che hanno degli agenti particolarmente agguerriti che mettono in riga gli editori, e se ci sono dei ritardi sollecitano, e risolvono.
Ma la situazione cambia per le creature cosiddette “minori” del Fantabosco: gli scoiattoli, i topolini, gli uccelli, i ricci, le bisce, gli scarabei, i conigli, le talpe, i fagiani. Ovvero la massa di scrittori non famosi, o semplicemente “conosciuti”, che pubblicano per gli editori indipendenti, alcuni con l’agente altri no.
E qui iniziano i problemi. Sappiamo che ormai lo scouting è quasi estinto, ora gli agenti per ricevere un testo chiedono di essere pagati. 400 o più euro per la lettura di 200 cartelle e poi, se funziona, lo prendono in carico. Almeno in teoria. Non c’è una vera logica, né una scadenza. E’ tutto molto vago, le attese possono essere molto lunghe, anche anni. Diciamo che chi riesce ad affidarsi a un agente riuscirà a incassare l’anticipo che alcuni editori indipendenti prevedono nei contratti, ovviamente decurtato della sua percentuale. E qui c’è il secondo problema: solo una parte degli editori indipendenti prevede l’anticipo, diciamo quelli di pesatura media, mentre i più piccoli mettono subito in chiaro che, per le tirature modeste, non possono permetterselo. Tutti lo sappiamo, e tutti sanno che lo sappiamo, per cui in molto casi la questione non si pone. Inoltre, e qui entriamo nel terzo problema, anche alcuni editori di pesatura media che prevedono l’anticipo poi al momento di versarlo non lo fanno. Non vogliamo generalizzare ma succede spesso, pare. Gli agenti hanno una lista di editori famosi per la loro insolvenza. “No, a quello no, tanto non paga”. A nulla valgono i solleciti. Sì, certo, stiamo per versarlo. E invece niente. Se l’autore è senza agente può non vedere un euro. Anche se è nel contratto. Che si fa, una causa? 1000 euro di anticipo meno il 20% per 3000 minimo per le spese legali, e anni di attesa? Tutti lo sanno, e tutti sanno che lo sappiamo. Per cui questo è l’andazzo.
Quindi lui, l’autore, è l’unico che resta al verde, benché rappresenti la genesi. E’ questa la sua difficoltà, la sua sofferenza.
Ma è giusto? E’ ingiusto? Concetti che oggi hanno un valore relativo. L’obiezione è semplice e prevedibile. L’editore dice: siamo al limite della copertura delle spese, se pago te dovrei abbassare i compensi degli altri, e quindi non potrei pubblicare il libro. Perché se non li paghi quelli non stampano, non distribuiscono, non promuovono. Ed è vero. Gli editori non fanno così perché sono delle creature uscite da Underworld. E’ tutto tirato all’osso. Proprio un editore, Giulio Milani, l’ha spiegato qualche tempo fa: oggi, con le nuove tecnologie, anche con una vendita di 100 copie si coprono le spese. Per questo bisogna stampare tanto, per non perdere gli spazi presso i distributori, e gli sconti, ecc. Pubblicare tanto, con poche copie, e pochi soldi. E in questo meccanismo non è presente l’autore. Il suo compenso sarebbe una spesa aggiuntiva, non gestibile.
Ma come? replica l’autore, lo stampatore non stampa se non lo paghi? E se io non scrivo?
No, risponde l’editore, tu scrivi lo stesso. Perché devi. Sei costretto a scrivere. Non puoi vivere senza. E quindi lo fai anche gratis. E’ questo il tuo vero compenso. In realtà non lo dice così apertamente, ma noi lo sappiamo, e lui sa che lo sappiamo.
A questo punto si porrebbe un’altra questione: Perché l’autore deve scrivere a tutti i costi? E’ malato? Sì, è una forma di malattia. Ma qui entriamo in un campo minato, qualcosa che affonda nel pozzo della psicanalisi, dell’incapacità di vivere la vita reale, e della trasfigurazione di tutti questi demoni nella scrittura. Qualcuno obietterà: Che? Sofferenza? Malattia? Ma che dici? A me scrivere piace. Già. Ma ti piace troppo. Altrimenti non accetteresti di essere l’ultimo dei paria. Insomma, è un’altra storia, una storia per certi versi tremenda, da affrontare per tentativi, per ipotesi ed esperienze. Non qui. Non ora.
Invece qui e ora ci interessa l’altro aspetto, quella della sofferenza materiale, che è quella che conta perché si riflette sull’atto del pubblicare, sul mercato drogato e le “specie protette”. Ovvero il mondo reale. Non quello trasfigurato.
Una soluzione iniziale, un rimedio, sarebbe pubblicare meno. Togliersi da questa ossessione del catalogo. Cercare la qualità disgiunta dalla forza contrattuale del personaggio, dei vincitori dei premi importanti ospiti da Fabio Fazio e così via. Una concezione diversa della scrittura stessa, forse una guarigione parziale dalla malattia. Pubblicare meno, e a costi inferiori che permettano di inserire anche l’autore nel procedimento. E col libro che non avrebbe una scadenza ravvicinata, due mesi e via.
Ovvero, un sistema diverso. Nuovo, in sostituzione di quello decrepito attuale. I costi di pubblicazione inferiori, i vari operatori della catena editoriale con paghe decenti. E i lettori più curiosi, più attenti, con più tempo libero. E quindi la mente più sgombra.
Ma qui torniamo al predicato iniziale: un cambiamento sociale. La lotta va indirizzata al Sistema madre/padre, perché concentrarsi solo su quello editoriale non serve a nulla. E’ contenuto nell’altro, quello principale che determina i prezzi alti, lo sfruttamento del lavoro, la suddivisione in classi o addirittura in caste. E’ questo che bisogna abbattere. Qui è l’impegno politico, non l’adesione a un partito. Gli autori hanno il talento? Hanno gli spazi, per quanto limitati? Li usino. Denuncino. Partecipino. Creino un cartello di opposizione. Per esempio, giorni fa un TG nazionale ha detto, mostrando delle foto: “Queste sono le prime immagini scattate dagli americani quando hanno liberato Auschwitz”.
Gli americani. Non bastava la disinformazione pelosa e in malafede. Anche l’ignoranza brutale. Ammesso che di questo si tratti, perché c’è chi parla di fake voluta, in nome del nuovo revisionismo di destra. Questi sono i media che comandano sull’Immaginario. Sono quelli che influenzano i gusti dei lettori. Non si cambiano i gusti dei lettori (e quindi non si cambia il sistema editoriale) se non si cacciano questi “influencer”. E se non si abbattono le disuguaglianze sociali, che creano sacche di disoccupazione, di precariato e di lavoro schiavistico.
Abbattere il sistema che ha al centro il profitto di pochi e sostituirlo con uno nuovo con al centro le donne, gli uomini e l’ambiente. Questa è l’unica rivoluzione possibile. Altrimenti, come dicevano i nostri nonni (i bisnonni per i più giovani) ogni altra forma di protesta equivale a inseguire se stessi correndo intorno alla tavola.
[Le immagini: in apertura, Salgado; al centro, Ligabue; in fondo, Avedon]