di Alessandra Daniele
In piazza con le Sardine c’è ancora un po’ di (quasi) tutto. Una base composita, perlopiù in apparente buona fede.
Non si può dire lo stesso degli organizzatori e portavoce ufficiali, soprattutto dopo il Programma in 6 punti che hanno compilato e poi presentato alla manifestazione romana, e che trasforma il “Vade retro Salvini”, servitogli come minimo comun denominatore per riempire le piazze, in una serie di precetti che vanno dall’inutile all’inquietante, come l’ingiunzione di equiparare la violenza verbale a quella fisica, ed eliminarla del tutto dalla politica e dal discorso pubblico, pretese censorie degne d’una distopia orwelliana.
Salvini è teratogeno, genera mostruosità sia fra i suoi seguaci che fra i suoi oppositori.
Il sesto punto concludeva chiedendo una revisione parziale dei Decreti Sicurezza, rettificata in abrogazione soltanto per le proteste della piazza romana. Perché a quanto pare per gli organizzatori delle Sardine “Salvini ha fatto anche cose buone”.
Ancora più significativo di quello che c’è in questo Programma, è quello che manca.
Non c’è nessun riferimento ai diritti sociali negati, benché il lavoro precario e schiavistico, con pensione irraggiungibile, sia il principale problema quotidiano innanzitutto delle generazioni che le Sardine si candidano a rappresentare.
Si prescrivono palliativi doveri social, mentre i diritti sociali vengono corrosi e sbriciolati come gli stralli del Ponte Morandi.
E nonostante il focus sui new media, il Programma sorvola anche sul traffico di dati personali, sulla sorveglianza globale, sulla sistematica manipolazione del consenso perpetrata dalle multinazionali della comunicazione. Il perimetro della critica ai social si restringe di fatto al microcosmo delle insignificanti baruffe nostrane.
Non c’è nessun accenno alle tematiche ambientali, né locali né globali, nonostante il tentato gemellaggio coi Fridays for Future.
S’ignorano del tutto le complicità italiane nell’inferno libico, nonostante le ripetute autocertificazioni di antifascismo e antirazzismo.
Se questo Esalogo è il selfie del suo vero volto, evidentemente l’operazione Sardine non è che un’altra truffa, un altro caso di phishing politico più efficace e moderno dell’ormai logoro e sputtanato Movimento 5 Stelle.
Un’altra trappola mediatica per catturare il dissenso e il bisogno di partecipare, e chiuderli nel recinto della protesta beneducata, telegenica e innocua, che ai ministri si limita a chiedere di non fotografarsi in mutande mentre continuano comunque a finanziare i lager libici, e a far manganellare e arrestare gli scioperanti.
E i manifestanti maleducati.
Non si sa ancora se le 5 Stelle marine avranno la stessa fortuna di quelle grilline.
Forse le Sardine s’inabisseranno dopo le elezioni regionali.
O forse fra 10 anni saranno al governo.
Con Salvini.