Paolo Lago, La rosa di Pola, Transeuropa, Massa, 2019, pp. 53, € 15,00.

[La rosa di Pola è una raccolta di poesie di viaggio scritte da Paolo Lago nell’estate del 2019. La prima sezione, La rosa di Pola, nasce, appunto, in Istria, fra Pola e Rovigno; la seconda, La fortezza del Nord, a Stoccolma; la terza, Desiderio di vento, sulle montagne del Trentino. In tutte e tre le sezioni appare la figura di una vampira (a metà tra personaggio fiabesco e orrorifico), ispirata a una venditrice di rose nella notte di Pola, la quale tormenta e consola dei personaggi che sono perduti in continui viaggi e spostamenti: marinai, migranti, figure costantemente perdute nelle erranze del destino che, forse, potranno incontrare la fine dei loro tormenti solo in un inverno di sogno, fra le braccia della vampira, dispensatrice di un dolore che si configura anche come una oscura e lontana felicità. La raccolta potrebbe essere letta come una fiaba in versi in cui si muovono tanti personaggi che solleticano il nostro immaginario – i marinai balcanici, i pittori di Rovigno, Strindberg, Cartesio e la regina Cristina, il fantasma elegante di Stoccolma, il pittore scandinavo, la fanciulla dei monti – e che danzano sullo sfondo di sognati paesaggi invernali].

 

Da La rosa di Pola

(Rovigno)

Accompagnami sulla vecchia strada in salita
fra i pittori silenti e perduti,
folli di verde e di giallo per gli occhi dei turisti
ed è una lenta salita
verso un tramonto-braciere

e quel pittore ebreo sefardita
dal nome italiano,
lui veramente perduto
in un tempo lontano,
amava salire fino al tramonto e al braciere,
fino alla chiesa di Santa Eufemia

e folle e perduto
dipinse una rosa e un tavolo sull’acqua
e una danza infinita di onde
e lei forse nata dall’acqua
a guardare in eterno la rosa

e accompagnami ancora
ad ascoltare l’odore della laguna,
fino a un tramonto in un bicchiere di notte
e ad aspettare l’inverno
che mi disegno in una carezza ghiacciata di Bora.

 

(Pola)

E se lei ti offriva una rosa istriana di sangue,
non domandare voci di vento
ai palazzi fantasma dagli sguardi di spettro.
Solo un petalo rosso
per un palazzo di Venezia ghiacciata
e il tempio di Augusto
imbambolato in un colore ocra pallido
ma vicino c’è il porto
e carcasse di ferro
e i marinai balcanici sorridono crudeli
con acciaio di sguardi.

Malandrina come la notte
lei passò nella piazza
ed era una farfalla di rose
che stringevano addii
per i migranti lontani
e per i nostri occhi feriti
dal sale del mare,
dal profumo dei porti…

Noi, feriti per sempre
da un petalo rosso,
da lei che stringeva nere parole di acqua.

Con un coltello di rose negli occhi
partiremo come luci sul mare.

 

 

Da La fortezza del Nord

(alla casa di Strindberg)

Vieni a gioirti con me nella mia torre blu
in cima a Drottinggatan,
si vedono guglie dorate
e le punte verdi dei campanili
sopra il Baltico cupo,

lupo iroso è la folla di strade
e torce di fuoco mi schiantano il cuore,
dolore è soltanto l’inferno di noia
sotto la mia stanza rossa
ma ora sto bene,
ho tanta voglia di scrivere,

vivere è ora un sussulto:
così scrisse August pensoso
a un tavolo buio,

e rintocchi dell’oro del sole
e sirene lontane
e un battello di luce,

ho parole argentate per dirlo,
ho silenzi per te nell’inverno,

sei neve, sei acqua, sei nube
e il mio sguardo ti ascolta arrivare.

Migranti ghiacciati alla fortezza del Nord,
perdemmo il sole dai nostri volti,
dalla pelle contorta dal freddo:

i nostri paesi abbiamo lasciato
a languire nel mare là a sud,
sabbie dorate e canti al tramonto
e solchiamo marciapiedi a gruppi o da soli,
ci riconosciamo negli occhi di funebre velo,
qui a nord,
fra i venti che ci gelano dentro.

E anche te abbiamo perduta,
figlia del fuoco,
regina gitana dei nostri cuori disfatti,
pensarti è una collana di pianto,
un gioco crudele che alla sera ci infuoca le vene,
una pena soltanto,
una ferita rossa languente.

 

 

Da Desiderio di vento

Vampira della torre antica,
allo scoccare dell’ora
ti volti in ritardo fin dalla frontiera
a scrutare i nostri cuori trafitti,
ti portiamo gioielli di neve
fra foglie malinconiche di paesaggi tristi,
di pomeridiano sole stanco
ed è un’ombra sporca
la linea del cuore,
pallida, stanca,
svigorita dal vapore
in una stazione dannata,
i tuoi sguardi tristi chiediamo
sulla ghiaia gialla della strada ferrata.

Stanotte i folletti del bosco intonano canti,
un blues di tristezze che tagliano cuori,
dolori cantati con voce di gioia,
veloci, irruenti, leggeri.

Ma voi boschi non sapete i neri
segreti di un blues,
di addii di fucine di corpi.
Mari lontani come mani
di inani poteri ci imprigionano
lenti su navi:

voi nulla sapete, boschi silenti,
perché noi ora siamo migranti,
siamo fra venti che attorcono vite
ferite fra navi e carene.

Catene di vita vogliamo,
fanciulla dei monti,
il tuo sogno di vento sia porpora lieve,
sia carezza di neve sul nostro tormento,
sia sfondo di rosso sui nostri ritorni,
volto di luna piangente
nel blues dei nostri giorni.


Illustrazioni di Silvia Mannocci

 

 

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