di Luca Cangianti e Ludovica Mutarelli
A quasi quattromila metri d’altitudine, al centro di un’immensa vallata ricoperta di edifici senza intonaco c’è un palazzetto rosa shocking, decorato con murales e bassorilievi colorati. È la Virgen de los deseos, la Vergine dei desideri, che sorge a La Paz nella centrale Avenida 20 de Octubre. «Nel 2005 abbiamo scelto questo edificio perché è facilmente raggiungibile da tutti i quartieri della città», ci racconta Julieta Ojeda davanti a un caffè bollente. «Il nostro è un femminismo pratico, “di strada”: qui abbiamo un ristorante, una caffetteria, una biblioteca, una radio; offriamo un alloggio alle donne vittime di violenza, un servizio ambulatoriale gratuito e uno legale per uscire da situazioni di abuso. Infine gestiamo un asilo nido su tre turni (mattino, pomeriggio e notte).»
La Virgen de los deseos è parte di Mujeres Creando, un movimento nato nel 1992 in opposizione al femminismo mainstream importato in America Latina dalla cooperazione internazionale: «Le ong hanno distrutto il movimento femminista latinoamericano», sostiene in Feminismo urgente María Galindo, una delle fondatrici del collettivo. «Queste organizzazioni sono parte di un progetto neocoloniale volto a connettere strettamente genere e mito dello sviluppo. Hanno travisato il soggetto “donne” per condurre sotterraneamente un discorso circa la “donna”. In questo modo hanno finito per banalizzarla, concependola da un punto di vista vuotamente biologico.» Un altro luogo comune che queste femministe contestano è la presunta assenza di relazioni patriarcali all’interno delle culture ancestrali: non solo oggi in Bolivia molte indigene formano parte del governo sottostando alle stesse logiche del potere statale e patriarcale, ricorda Galindo, ma le donne ai tempi della conquista, oltre a essere violentate in massa, venivano consegnate dalle loro stesse comunità agli spagnoli come simbolo di un’illusoria alleanza politica.
«In Mujeres Creando militano numerose donne indigene», dice Ojeda riscaldandosi le mani sulla tazza di caffè, «ma noi non mitizziamo le culture originarie. Tali comunità non sono affatto un paradiso di rapporti orizzontali tra uomini e donne.» Il discorso è convincente, ma dobbiamo confessare che a questo Eden un po’ ci speravamo. La nostra interlocutrice intuisce la nostra ingenua delusione e cerca di spiegarsi meglio: «Noi non andiamo in cerca di un soggetto unico, la donna in quanto donna, ma proponiamo un’alleanza tra soggetti oppressi in rivolta contro il dominio patriarcale; noi proponiamo un’alleanza tra indigene, puttane e lesbiche per scuotere il sistema.»
A questo punto siamo curiosi di capire se esista un canale di comunicazione tra queste femministe e un governo che in Europa gode di fama progressista, nonostante le controversie sull’attuale quarto mandato presidenziale: «Evo Morales all’inizio aveva suscitato molte speranze, specialmente con la legge 348 (“Ley integral para garantizar a las mujeres una vida libre de violencia”), ma poi riguardo al dominio patriarcale non si è rivelato differente dai suoi predecessori. Il suo impegno per contrastare la violenza contro le donne si è dimostrato meramente propagandistico, per non parlare di molti esponenti del suo partito che si distinguono per le reiterate dichiarazioni sessiste. Vedete, noi ci ispiriamo al pensiero anarchico, ciò nonostante abbiamo fatto proposte pratiche per migliorare quella legge e renderla capace di incidere effettivamente sui problemi delle donne. Niente da fare: siamo rimaste inascoltate.»
Secondo una ricerca condotta in dodici paesi latinoamericani dall’Organizzazione panamericana della salute, la Bolivia sarebbe al primo posto per casi di violenza domestica contro le donne. Tra i più alti sono ancora i tassi di mortalità materna e analfabetismo femminile, mentre, come nella maggior parte dei paesi del Centro e Sud America, non è stato ancora riconosciuto il diritto di abortire. A fronte di questa situazione Mujeres Creando interviene con progetti mutualistici che sostengono reti sociali esterne allo stato e con flash mob irriverenti, come quando lo scorso 9 agosto le militanti femministe lanciarono vernice rossa sul palazzo del governo per protestare contro l’inerzia politica rispetto al femminicidio. «Noi siamo convinte che un piccolo pugno di donne possa fare molto» ci dice Julieta Ojeda congedandosi. È sera, con il fiato rotto dall’altitudine, ci avviamo verso casa nel traffico cittadino, mentre sulle nostre teste sfrecciano silenziose le cabine della funivia. Su un muro, dietro una donna aymara che vende frutta leggiamo una scritta: “No saldrá Eva de la costilla de Evo”. Provenendo dal lugubre stagno europeo, non è facile farsi un’idea del processo politico avviato in Bolivia nel 2006. Possiamo immaginare che siano sempre in agguato i mostri della burocratizzazione interna e dell’intervento imperialistico esterno. Ogni rivoluzione sociale, tuttavia, non può mai evitare di confrontarsi con un’altra ancor più radicale, quella femminista: Eva non verrà fuori da una costola di Evo.