di Marc Tibaldi
Emanuele Termini, L’acqua alta e i denti del lupo, Exorma, 2019, pp. 189, € 15,00.
Se si volesse conoscere la vita di Josip Džugašvili (conosciuto con vari pseudonimi, tra cui Soso, Koba, David, Ivanovič, Besošvili, Galiašvili), bisognerebbe leggere almeno la biografia (pubblicata in Italia da Adelphi) scritta in presa diretta da un rivoluzionario marxista che combatté tutti i totalitarismi, un intellettuale e uomo d’azione oggi quasi dimenticato: Boris Souvarine. L’oggetto narrativo di Emanuele Termini L’acqua alta e i denti del lupo (Èxorma, 189 pagine, 15 euro) invece non racconta la vita di Džugašvili e nemmeno la leggenda del suo passaggio in Italia nel 1907, che qui diventa un pretesto per congegnare un intreccio di luoghi e tempi e creare un interessante labirinto narrativo. Quella di Termini è quindi una storia basata su un fatto inesistente, una leggenda tramutata in espediente letterario, ma proprio per questo è intrigante.
Il labirinto spazio-temporale, che nel corso dei capitoli produce un’uscita dall’automatismo della percezione (lo straniamento teorizzato da Šklovskij), inizia tra le calli di Venezia, in particolare sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, e prosegue con un’estenuante ricerca di una conferma del passaggio in Italia del giovane “anarchico” georgiano, che combatteva contro l’Impero russo e intraprese un lungo e tortuoso viaggio clandestino, partendo in nave da Odessa, facendo tappa ad Ancona, poi a Venezia, con l’obiettivo di arrivare a Berlino per incontrare segretamente Lenin. Di capitolo in capitolo si dipana un visionario filo d’Arianna tra archivi, biblioteche, librerie, incontri con storici, politici, giornalisti, religiosi, coltivando il sogno che piccoli indizi si trasformino in prove. Ma mentre si ricerca ci si perde, proprio come mentre si cammina a Venezia tra le calli (senza seguire i cartelli gialli per San Marco) ci si smarrisce piacevolmente nella città meravigliosa. Tra analessi e viaggi, tra Venezia, Bologna, Ancona, il Friuli e la Georgia, tra lingue, culture, religioni, i capitoli si susseguono creando piccoli mondi paralleli e una sorta di trance percettiva che viene alternativamente riportata alla storia. Indizi, induzioni, deduzioni e abduzioni.
Secondo Charles Peirce, l’abduzione è la forma di ragionamento che accresce il nostro sapere, permette di ipotizzare nuove idee, di prevedere. È anche vero che l’abduzione è soggetta a rischio di errore, ma qui sbagliare non è un problema, non c’è necessità di svelare il mistero. Il mistero del giovane georgiano, anarchico o meno che fosse, serve da nivola, quell’oggetto letterario “regno della libertà e delle possibilità infinite, luogo dello spirito nel quale a dominare sono il gioco, la confusione, l’indeterminatezza”, ideato da Unamuno in Nebbia, uno dei tanti libri citati dall’autore (che scrive in prima persona) nel suo vagabondare borgesiano e bibliofilo.
Non ce lo immaginiamo proprio Josif Džugašvili, allora ancora non conosciuto come Stalin, ma che nel 1907 aveva azioni più urgenti da compiere, nascosto nella stiva di una nave che parte da Odessa per arrivare ad Ancona e da lì, dopo aver lavorato come portiere notturno dell’albergo più importante della città, con l’aiuto degli anarchici del posto, raggiungere Venezia presentandosi alla soglia del Monastero di San Lazzaro degli Armeni, ospite dai padri mechitaristi. No, non ce lo immaginiamo.
Eppure Termini riesce, con tutti gli escamotage segnalati, a farci appassionare alla fabulazione che ci fa dimenticare per un momento i disastri compiuti nei decenni successivi da quel dittatore che ancora nel 1950 sulla Pravda scriveva (articolo poi pubblicato poi in Il marxismo e la linguistica), orwellianamente: “Il marxismo non ammette conclusioni e formule immutabili, obbligatorie per tutte le epoche e per tutti i periodi. Il marxismo è nemico di ogni dogmatismo”! Tra le enunciazioni di principio e l’applicazione del pensiero alla realtà, la storia ci ha insegnato che esistono voragini. Ma questo è già un altro discorso.