di Alexik
«Sempre più business leaders stanno prendendo coscienza che sostenibilità e profitto vanno insieme e che l’azione per il clima rappresenta la più grande opportunità commerciale dei prossimi decenni».
Credo che le parole di Anand Mahindra, presidente di una multinazionale indiana produttrice di SUV, rappresentino la sintesi migliore degli obiettivi del UN Climate Action Summit 2019, conclusosi a New York martedì scorso.
Ovvero il tentativo di contrastare anche attraverso la Green Economy il rallentamento della crescita della produzione mondiale, e più in generale di rilanciare l’accumulazione e dare ossigeno al saggio di profitto.
Il summit ha visto la partecipazione di oltre 100 ‘business leaders’, che hanno aderito al movimento globale nato per allineare gli obiettivi delle imprese a quelli definiti dall’accordo di Parigi.
Imprese che puntano su un mercato promettente, che risponde con nuove merci alla paura per la catastrofe che incombe.
Un mercato aggiuntivo, perché l’aumento delle produzioni ‘green’ andrà a sommarsi, e non a sostituirsi, alla crescita in termini assoluti delle produzioni climalteranti.
Una previsione in tal senso è oggetto dell’ OPEC 2017 Annual Report, che descrive come l’aumento del peso percentuale delle energie rinnovabili fra il 2015 e il 2040 possa convivere tranquillamente con un’ulteriore crescita in termini assoluti dell’estrazione e del consumo di petrolio, carbone e gas naturale.
Segnali simili, sul fatto che non vi sia in realtà alcuna inversione di tendenza, vengono anche dai settori della produzione agricola e alimentare.
Esaminiamo, fra questi segnali, quelli provenienti dal Brasile.
Sulla passerella del Climate Action Summit non si è presentato Jair Bolsonaro.
Il fascista brasiliano, piromane ed aspirante genocida di indigeni, è il soggetto ideale per permettere ad altri, al suo confronto, di far bella figura a buon mercato.
A cominciare dall’Unione Europea, che per bocca di Donald Tusk si è dimostrata, durante il summit, molto risoluta nel portare avanti l’agenda climatica.
Non abbastanza, però, da disconoscere, o almeno sospendere, i negoziati per l’accordo di libero scambio fra UE e Mercosur, a fronte dell’estendersi degli incendi dolosi in Amazzonia.
Perchè proprio questo accordo di libero scambio1, così pregno di affermazioni di principio sulla “responsabilità sociale delle imprese e sulla condotta imprenditoriale responsabile”, concorre alla trasformazione in cenere del principale polmone del pianeta per fare spazio all’espansione di nuovi allevamenti bovini e piantagioni di soia.
Una correlazione evidente vista dai satelliti della NASA, che mostrano come i maggiori focolai di incendio presentino una sospetta vicinanza agli impianti di trasformazione della carne, alle zone di allevamento o di coltivazione della soia ed alle reti di trasporto verso i terminal di esportazione.2
Particolarmente sotto accusa per gli incendi forestali la brasiliana JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo.
Proprio in prossimità dei suoi impianti sono stati riscontrati lo scorso agosto una miriade di focolai.
La JBS è stata coinvolta già in passato in processi per corruzione e per palesi violazioni della ‘Moratoria del bestiame’ voluta da Lula nel 2009, che impegnava le imprese a non acquistare carne bovina da allevamenti coinvolti nella deforestazione.
Non la troveremo nella lista delle imprese virtuose, quelle che sottoscrivono impegni colmi di eticità durante i Climate Summit.
Ma le multinazionali che garantiscono la sua rete di distribuzione si.
Loro ci sono.
C’è l’olandese Ahold Delhaize, che ha intrattenuto affari con JBS per 113 milioni di dollari nel 2019.
C’è la francese Carrefour, che possiede le più grandi catene di supermercati del Brasile. Ha collegamenti significativi con la catena di fornitura della JBS, nonostante si sia impegnata ad eliminare la deforestazione dai suoi prodotti entro il 2020. Ma la politica non si applica alla carne bovina congelata, proprio quella che JBS produce.
C’è Casino, un gigante francese dei supermercati, seconda catena di supermercati in Brasile.
C’è Walmart (USA), che ha condotto affari con JBS per un valore di 1,68 miliardi di dollari nel 2018.
Imprese che commercializzano tranquillamente merci ad alto impatto climatico, distruttrici di ecosistemi, specie viventi e comunità umane, per poi firmare dichiarazioni del tipo:
“Recognizing the urgency of the climate challenge, I am pleased to confirm thatmy organization, is joining the global movement of leading companies aligning their businesses with the most ambitious aim of the Paris Agreement, to limit global temperature rise to 1.5°C above pre-industrial levels“.
Altri giganti della distribuzione, come Sysco e Costco, si limitano a decantare sui loro siti web l’eticità delle loro catene di forniture, sebbene la prima nel 2019 abbia fatto affari con JBS per 525 milioni di dollari, e la seconda per 1,43 miliardi di dollari.
Passando alle sinergie fra i roghi amazzonici e la produzione di soia, gran parte dell’attuale ondata di incendi è avvenuta vicino a BR-163, l’autostrada utilizzata dai latifondisti per portare il prodotto a Santarem, il principale porto della Cargill.
Cargill (USA) è il principale trader di soia brasiliana ed è la più grande azienda alimentare e agricola del mondo. Nella classifica 2019 di Mighty Earth (una campagna globale di protezione della Terra, Oceani e Clima), si è distinta come la peggiore multinazionale del pianeta per la deforestazione selvaggia in America Latina e Sud Est Asiatico, per lo sfruttamento del lavoro minorile nella sua catena di fornitura, per l’inquinamento da agrochimica.
Nel 2014 Cargill ha partecipato al Climate Summit promosso dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, ed ha ratificato la “New York Declaration on Forests“, che l’impegna ad eliminare la deforestazione dall’allevamento di bovini e dalle produzioni agricole (come olio di palma, soia e carta) entro il 2020.
Ma visto che siamo ancora a fine settembre 2019, per tre mesi ancora l’Amazzonia può tranquillamente continuare a bruciare. (Continua)
Grazie all’accordo di libero scambio i paesi del Mercosur puntano ad incrementare le esportazioni di carne bovina verso l’U.E. di circa il 30%. ↩
Mighty Earth, The Companies Behind the Burning of the Amazon. ↩