di Gioacchino Toni
Oltre a ricostruire il ricorso al racconto illustrato a scopo propagandistico da parte della politica italiana nel dopoguerra [su Carmilla], il libro di Silvana Turzio – Il fotoromanzo. Metamorfosi delle storie lacrimevoli (Meltemi, 2019) – passa in rassegna anche l’uso che di esso è stato fatto nell’ambito della cultura alternativa in decenni più recenti. Mentre negli anni Settanta le formazioni politiche della sinistra ufficiale e del mondo cattolico tendono ad abbandonare le narrazioni illustrate tinte di “rosa” alla ricerca del consenso e le grandi testate del fotoromanzo continuano ad avere successo in edicola, le narrazioni illustrate iniziano ad essere utilizzate dalle pubblicazioni della cultura e della politica alternative italiane.
Non sono mancati interessanti sperimentazioni delle storie illustrate soprattutto in Francia e Stati Uniti: se Jean-Luc Godard, già nei primi anni Sessanta, vi ricorre a supporto della sua produzione cinematografica, Allan Sekula, attorno alla metà del decennio successivo, vi vede invece uno strumento di contro-narrazione politica. Attraverso il linguaggio del fotoromanzo This Aint’t China (1974), l’americano racconta una vicenda di sindacalizzazione dei dipendenti di un ristorante ispirata ad una storia vera.
Se in Francia il racconto illustrato satirico ha una sua tradizione, in Italia è negli ambienti della sinistra alternativa dei primi anni Settanta che inizia ad essere utilizzato come strumento di denuncia e di satira politica e culturale.
Nel 1972 escono tre fotoromanzi realizzati dal Gruppo Sturm (Architettura Strumentale) di Torino per la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” che si tiene al MoMa di New York. Si tratta di tre fascicoli graficamente innovativi per l’epoca che denunciano il degrado urbano, presentano proposte urbane utopiche ed illustrano metodi utili a cambiare lo stato di cose.
«Sollecitano la sovversione delle regole dell’architettura classica a sostegno delle rivendicazioni dei numerosi immigrati dal Sud che vivono a Torino in condizioni molto difficili. Il tema in effetti è scottante. Negli anni ’60 la città conosce infatti uno sviluppo improvviso e non pianificato che impone ai nuovi arrivati condizioni di vita al limite del decoro e della vivibilità: appartamenti fatiscenti in centro città e baracche in periferia con prezzi d’affitto insostenibili per un operaio» (p. 140).
In Italia il fotoromanzo è utilizzato anche dallo psicologo Luigi De Marchi per diffondere le sue idee controcorrente. A partire dalla fine degli anni Cinquanta «il suo lavoro si è incentrato soprattutto sulla sessuofobia sociale che capillarmente pervade le civiltà occidentali e sulle conseguenze socio-economiche di questa chiusura preconcetta scatenata dalla cecità e dalle paure dei rappresentanti dei governi davanti a questi temi. Secondo De Marchi questo è un atteggiamento mentale che precede di gran lunga la prassi politica, e dunque è presente nei partiti di destra e di sinistra, nelle congregazioni religiose e nelle strutture educative del mondo industrializzato» (p. 155).
In particolare il fotoromanzo La trappola (1975), firmato con lo pseudonimo Marco De Luigi, incentrato sui problemi di una famiglia con prole numerosa, viene utilizzato dall’istituto per le ricerche statistiche e l’analisi dell’opinione pubblica Demoskopea al fine di verificare l’incidenza della lettura di tale fotoromanzo sul ricorso alla contraccezione da parte degli operai dell’Italia settentrionale.
Silvana Turzio si sofferma anche su «Il Male», rivista votata ad una satira feroce nei confronti della cultura e della politica dominanti contraddistinta da un’impaginazione inusuale in cui i testi si mescolano allegramente con disegni e fotografie. «È nei primi anni della sua vita tormentata che compaiono alcuni fotoromanzi dove membri della redazione, amici, intellettuali e artisti partecipano alla realizzazione in veste di attori, sceneggiatori, fotografi. Un caso particolare è la breve serie di fotoromanzisketch ai quali aveva partecipato Franco Piperno, latitante all’epoca, ricercato come pericoloso sovversivo» (p. 164).
Ben presto il fotoromanzo, in un formato demenziale e dissacratore, compare anche su «Frigidaire» e «Frizzer».
Nel volume vengono passate in rassegna opere come Una flebo per due (1979), La Cieca di Manhattan. Storia d’amore e di sudore a Little Italy (1980), Larry l’aragosta (1985) e L’oca sapiente. Fotolomangio bellissimo!!! Il primo racconta la surreale relazione tra due giornalisti osteggiata dalle rispettive testate («Lotta Continua» e «Repubblica»), il secondo è ambientato tra gli immigrati italiani di New York, mentre il terzo ed il quarto, in un’escalation demenziale, si intrecciano redattori e personaggi pubblici vari.
La realizzazione da parte de «Il Male» di divertenti “falsi quotidiani” riportanti notizie strampalate, viene sfruttata da un piccolo editore per realizzare la “fotostoria” Un’idea è l’amante mia (1980): si tratta di un falso «Male» che crea «un vertiginoso ingranaggio nella comunicazione che, vera/falsa o falsa/vera, scompiglia a fondo il sistema: nessuno è più in grado di riconoscere l’origine delle informazioni e le vere reali testate che le pubblicano» (p. 175).
Fotoromanzi compaiano anche tra le pagine dei cinque numeri della «Lucciola» (1985-1986), una pubblicazione creata da alcune prostitute di Pordenone promotrici del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Qua compaiono, insieme ad esse, personaggi noti del mondo del cinema e della televisione, intellettuali, scrittori ed artisti.
«La scelta di arruolare figure conosciute al grande pubblico per mettere in scena temi scabrosi conferisce ai fotoromanzi un valore particolare, in equilibrio tra il gioco salottiero alla Altman e la sovversione delle identità classiste, tipicamente rappresentate invece nel contenitore popolare. È un ibrido vagamente teatrale dove la persona reale si incorpora nel ruolo dell’attore mentre la storia raccontata potrebbe far nascere l’idea che appartenga in parte alle vicende reali degli interpreti. Il tutto dà adito al dubbio e rivela da parte degli attori un atteggiamento quanto mai coraggioso, in un’epoca in cui le classi al potere – politico, religioso, istituzionale o privato – erano sotto l’egida di una morale pietrificata, tanto più chiusa e corazzata quanto più le nuove generazioni ne tentavano l’assalto» (p. 190).
In chiusura il volume si sofferma anche sul fotoromanzo Ricordami per sempre (2011), realizzato dal fotografo Marco Signorini e dallo scrittore Giulio Mozzi su richiesta del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. L’opera sembra rievocare, sostiene Turzio, «le pubblicazioni alternative degli anni precedenti: la vicenda affronta un problema sociopolitico e urbanistico tanto importante quanto poco o per nulla illustrato nel mondo contemporaneo della graphic novel» (p. 200).
Il territorio a Nord di Milano su cui è incentrato il fotoromanzo, è stato testimone di dure lotte operaie: la presenza di grandi fabbriche ha infatti comportato una forte ondata migratoria dal Sud con annessa espansione abitativa nei pressi degli insediamenti industriali che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, hanno poi dovuto fare i conti con la crisi dell’industria siderurgica. Diversi abitanti della zona sono stati chiamati a prendere parte al fotoromanzo con l’intento di indagare la storia del luogo e riattivare la memoria degli abitanti.
Ricordami per sempre è uno dei pochi fotoromanzi pubblicati in Italia dopo gli anni Ottanta e, sostiene Turzio, pur riprendendo la struttura tipica del fotoromanzo, in questo caso «i numerosi attori coinvolti nella storia sono i protagonisti reali della storia del luogo, che a sua volta assurge a ruolo centrale, come un personaggio a sé» (p 198). Inoltre, la narrazione prevede un salto nel passato attuato attraverso fotografie degli anni Settanta ed Ottanta.