di Gioacchino Toni
Paolo Bertella Farnetti, Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party, Mimesis, Milano-Udine, 2019, pp. 306, € 24,00
Dopo essere stato pubblicato originariamente da ShaKe nel 1995 (seconda ediz. 2006), torna in libreria, per Mimesis, il libro Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party di Paolo Bertella Farnetti, storico formatosi nell’ambito dell’esperienza di “storia sul campo” della rivista «Primo Maggio», studioso di storia sociale degli Stati Uniti nel Novecento ed in particolare della “black question”, attualmente impegnato nell’ambito della Public History e nel progetto Returning and Sharing Memory, per il recupero e la condivisione delle fonti, soprattutto private, della storia del colonialismo italiano.
Nonostante l’esperienza del Pantere Nere afroamericane – «la più grande minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti», secondo quanto affermato nel 1969 dall’allora direttore dell’FBI J. Edgar Hoover – abbia, per certi versi, mantenuto nel tempo un certo interesse mediatico, fino ad anni recenti non sono stati molti gli studi scientifici ad essa dedicati; tra questi vi è certamente il voluminoso libro di Paolo Bertella Farnetti che, nell’attuale edizione, presenta alcuni aggiornamenti rispetto alla prima uscita.
I primi dieci capitoli del volume ricostruiscono la storia dell’organizzazione indagandone: le radici (Dai diritti civili al Black Power), le origini (Un’organizzazione per i “fratelli di strada”), l’iniziazione (Da Oakland a Sacramento), l’affermazione (L’influenza di Eldrige Cleaver), la struttura (Organizzazione nazionale e quadri), l’assedio (L’attacco dello stato contro le Pantere), tre casi di repressione (Los Angeles, New York e Chicago), la resistenza (Contraddizioni con il movimento), la crisi (L’attacco finale contro le Pantere) e l’epilogo (Dalla scissione al tramonto). A questi si aggiungono poi un undicesimo capitolo, dedicato ad una riflessione sulla memoria a proposito dell’organizzazione afroamericana, ed una sezione con alcuni aggiornamenti, una cronologia (1965-1989) ed una preziosa bibliografia scelta.
Come più volte sottolineato nel volume, al fine di comprendere la parabola del Black Panther Party occorre fare i conti, oltre che con gli errori interni all’organizzazione, anche con la sconfitta dell’intero movimento entro cui le Pantere avevano avuto un ruolo di primo piano. La portata della sconfitta di cui si sta parlando è efficacemente resa dalle riflessioni della Pantera David Hilliard che, all’uscita di prigione, si scopre catapultato in un contesto totalmente trasformato durante la sua detenzione.
«Ho uno shock culturale mentre vado in giro. Per le strade non c’è più traccia di politica. Prima della mia andata in prigione la politica era una presenza costante del paesaggio. Non potevo percorrere un isolato senza incontrare qualcuno che vendeva un giornale o distribuiva un volantino che annunciava un raduno o una manifestazione; in più, naturalmente, Telegraph Avenue e l’area intorno a Barkeley erano un’ebollizione continua di ribellioni studentesche e di scontri di piazza fra poliziotti e manifestanti. Ora l’azione principale nelle strade è rappresentata da droga e prostituzione […] Quel genere di ragazzi – asiatici, bianchi, neri, latinoamericani – che quattro o cinque anni fa cantavano “Free Huey!” e “potere al popolo!” ora esibiscono i loro corpi senza pudore o spacciano agli angoli di strada. Oakland non è più la città delle Pantere, ma una “città aperta” del divertimento, un posto dove si viene da fuori per procurarsi donne o droghe. Anche la base economica della città è cambiata. L’Oakland della mia giovinezza era una città di lavoratori, gente che ci dava dentro dalle nove alle cinque. Ora la comunità sembra sempre più devastata» (p. 207).1
La lunga rimozione dell’esperienza delle Pantere Nere è figlia della scissione avvenuta nel 1971 e della sua successiva involuzione, fenomeni che però non possono che essere collocati all’interno di un generale declino del dibattito politico statunitense. «La sconfitta complessiva del movimento nato negli anni Sessanta, è stata particolarmente dura per la componente afroamericana. […] La massiccia introduzione di droga – soprattutto il devastante crack – nella comunità nera, nell’indifferenza, se non compiacenza, delle autorità, ha trasformato i ghetti in “terre di nessuno” dove l’attività criminale e l’appartenenza a una gang rimane l’unica forma di ascesa sociale e di riconoscimento, e la violenza dei neri contro neri ha raggiunto livelli intollerabili. Il “problema nero” è stato abbandonato a se stesso, al suo autocontrollo distruttivo, da una società americana sorda e insicura che ha rinchiuso i neri poveri fra le mura invisibili del ghetto e quelle, tangibili, delle prigioni» (p.216).
Quando anche le Pantere hanno conquistato qualche riga nei libri di storia americana, queste, scrive Bertella Farnetti, finiscono per essere ricordate come un esempio di estremismo degli anni Sessanta statunitensi da collocarsi in un’epoca “di eccessi” del tutto irripetibile fuori da quel contesto. «Il fatto che le condizioni sociali e politiche che hanno prodotto il Black Panther Party si siano mantenute e probabilmente ingigantite non sembra, apparentemente, turbare le autorità. La loro vittoria appare totale e la retorica violenta delle Pantere sembra sopravvivere solo nella “tradizione orale” del gangsta rap, un messaggio musicale muscolare e osceno, ma innocuo» (p. 208).
Negli anni più recenti qualche segnale di riscoperta della storia del BPP da parte della comunità nera c’è stato; è come se nel corso del lungo periodo di silenzio politico intercorso tra la dissoluzione del movimento ed oggi, vi fosse stato «uno strisciante ma significativo processo di riappropriazione della memoria di un’epoca che li ha visti protagonisti» (p. 209). Si pensi a quanto la figura di Malcom X sia stata recentemente affrontata dall’editoria e dal cinema.
«Come dice Cornel West, uno degli intellettuali neri più lucidi, l’eredità del movimento nero degli anni Sessanta continua ancora a perseguitare gli afroamericani ed è un nodo che va risolto, sia nei suoi aspetti positivi sia in quelli negativi. Da qui è necessario ripartire, perché nella storia afroamericana “gli anni Sessanta furono testimoni dell’indimenticabile comparsa delle masse nere sulla scena storica, da cui peraltro furono presto trascinate via – uccise, mutilate, messe in riga, imprigionate o comprate”» (p. 209).2
Con l’uccisione di Huey P. Newton da parte di uno spacciatore di crack nel ghetto di West Oakland nel 1989 e la fine dell’epopea reaganiana, il dibattito sull’esperienza e sull’eredità delle Pantere si è improvvisamente riaperto, soprattutto sulla “stampa bianca”, in un botta e risposta tra denigratori e difensori della controversa figura del leader del BPP. A rinverdire il ricordo delle Pantere hanno sicuramente contribuito la breve esperienza del People’s Organized Response, organizzazione messa in piedi da alcuni ex militanti dopo la scomparsa di Newton, e la messa in circolazione, per quanto a diffusione limitata, di due diverse pubblicazioni: «The Commemorator», che con i suoi 54 numeri cessa le pubblicazioni nel 2012, e «The Black Panther», durato soltanto dal 1991 al 1993. Un ruolo importante nella circolazione dei materiali vecchi e nuovi sulle Pantere è svolto, oltre che da siti in internet, dalla casa editrice Black Classic Press di Baltimora, fondata dall’ex Pantera Paul Coates.
Negli anni Novanta sono state pubblicate diverse autobiografie di ex militanti del BPP, tra queste lo studioso segnala quella di David Hilliard, dirigente della “vecchia guardia”, e quella di Elaine Brown, leader post scissione. Nonostante siano contraddistinte da omissioni difensive e da diversi errori nelle ricostruzioni degli avvenimenti, si tratta di testimonianze decisamente utili alla ricostruzione del percorso politico della struttura afroamericana e a contrastare le letture tese esplicitamente alla criminalizzazione dell’intera esperienza del BPP. Importanti contributi alla riscoperta delle Pantere sono stati sicuramente anche il film Panther (1995) diretto da Mario Van Peebles e scritto dal padre Melvin e la campagna mondiale in favore dell’ex Pantera Mumia Abu-Jamal, condannato a morte con l’accusa di aver ucciso un poliziotto nel 1982.
In apertura del nuovo millennio diversi storici e ricercatori hanno iniziato a collocare l’esperienza del BPP nel contesto storico in cui si è data e, nel giro di poco tempo, si sono accumulati parecchi studi finalmente basati su fonti solide e ricerche negli archivi e se, sottolinea Bertella Farnetti, «le Pantere sono finalmente state prese sul serio dagli storici, il loro mito, la loro presenza sottotraccia nella cultura africanoamericana non ha mai smesso di esistere per arrivare a esplodere in varie forme in concomitanza con la celebrazione dei 50 anni dalla fondazione del partito. La riapertura recente di un fronte di lotta per la liberazione nera e l’emergere di nuove organizzazioni militanti come reazione alla brutalità della polizia nei confronti della popolazione nera, un tema strategico e un obiettivo che il BPP voleva attuare immediatamente, sono diventati l’occasione per un confronto e un bilancio sull’eredità politica delle Pantere» (227) . Tra le questioni oggi indagate in maniera più approfondita occorre sicuramente segnalare quella relativa al ruolo delle donne all’interno del BPP alla luce delle critiche di maschilismo mosse al partito dal femminismo allora nascente.
Venendo ad anni più recenti, lo studioso ricorda come durante la finale del Super Bowl del 2016, nella sua performance, l’icona della pop music Beyoncé ed il suo corpo di ballo, si siano presentati sulla scena con un abbigliamento chiaramente ispirato alla storica divisa delle Pantere suscitando un certo scalpore. La settimana dopo la performance di Beyoncé le televisioni statunitensi hanno mandato in onda The Black Panthers: Vanguard of the Revolution (2015) di Stanley Nelson, documentario che ricostruisce la storia del BPP attraverso fotografie e filmati, spesso rari, con numerose interviste a vecchi militanti.
«La storia delle Pantere Nere viene celebrata e il loro messaggio politico dispiegato – e unito alle lotte recenti – facendo giustizia delle precedenti narrazioni mediatiche che le presentavano come un gruppo d’odio e anti bianco, o come una banda di puri e semplici gangster nascosti dentro un fumo rivoluzionario. La repressione istituzionale e di Cointelpro [Counter Intelligence Program – programma di infiltrazione e controspionaggio interno dell’FBI attivo formalmente tra il 1956 e il 1971] viene analizzata, mentre i filmati documentano la partecipazione di massa alle attività del partito e il successo delle loro iniziative a favore della comunità. Alle Pantere viene restituita la dignità di soggetto politico americano in una rappresentazione che sintetizza la potenza mitografica dei giovani e affascinanti rivoluzionari neri e la ricerca storica» (pp. 250-251). Il documentario ha ottenuto un grande successo di pubblico ma non ha mancato di attirarsi critiche sia per aver omesso episodi poco gloriosi della storia del BPP che, a detta di alcuni vecchi militanti, per aver svilito la portata rivoluzionaria delle Pantere a causa di una ricostruzione storica eccessivamente semplificata.
Se per certi versi la storia del BPP è riuscita ad uscire dalla rimozione collettiva, resta il fatto che la strada da compiere per una comprensione del fenomeno al di là del mito e della demonizzazione è ancora lunga. Secondo Paolo Bertella Farnetti «l’eredità e la memoria del Partito della Pantera Nera dipende dalla capacità degli afroamericani di riappropriarsi del proprio passato, con le sue conquiste, i suoi errori e le sue sconfitte; ma soprattutto dipendono dalla capacità di utilizzare questo passato nel cammino verso la liberazione, altrimenti la memoria diventa soltanto imbalsamazione. La storia del BPP è solo un tassello dell’esperienza degli afroamericani, ma è centrale a un periodo che ha affrontato tutti i nodi problematici della loro pressione: quei nodi, quel periodo, sono un passaggio obbligato per la comunità nera» (p. 216).
In David Hilliard e Lewis Cole, This Side of Glory. The Autobiography of David Hilliard and the Story of the Black Panther Party, Scarecrow Press, Metuchen, N.J., 1976, p. 384 ↩
In Bruno Cartosio, a cura di, Senza Illusioni. I neri degli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, ShaKe, Milano, 1995, p. 53 ↩