di Jack Orlando e Sandro Moiso
Per le vie capitoline la presenza di rifiuti e ratti non costituisce certo una novità attribuibile solamente all’attuale giunta.
Da anni, forse decenni, i rifiuti si accumulano non solo nelle vie della capitale, ma anche nelle pieghe delle sue diverse amministrazioni e del malaffare politico.
Ratti neri e rifiuti tossici che nelle condizioni attuali della vita politica italiana sembrano poter moltiplicarsi ed accrescere la propria presenza sul suo territorio e nelle province limitrofe in termini di danni ambientali (i ripetuti incendi delle discariche), violenza sulle donne (come a Viterbo) e di vere e proprie aggressioni, se non di attentati di stampo terroristico (come quello avvenuto nella notte tra il 24 e il 25 aprile ai danni della libreria-caffetteria La pecora elettrica di Centocelle) nei confronti di chi a tutto ciò si oppone con iniziative autonome dal basso.
Attaccare i partigiani, colpire la memoria resistenziale, vandalizzare i suoi simboli e farlo a ridosso del 25 aprile.
Che vi sia un esplicito lavoro di logorio culturale e ideologico sul patrimonio resistenziale di questo paese, da parte delle formazioni destrorse, è risaputo da tempo. Ma il clima torbido di questo periodo ha permesso ai camerati di alzare il tiro e allora ecco moltiplicarsi le corone di fiori bruciate, le lapidi e i monumenti sfregiati, le spacconate con striscioni provocatori.
La tradizione di vili tombaroli che i neofascisti si portano appresso, quest’anno, è stata messa a regime in un chiaro attacco all’antifascismo; un escalation lontana dalla violenza di strada di altri periodi ma che comunque segna la misura di un attivismo che vuole crescere e conquistarsi terreno tramite l’intimidazione e la guerra (per adesso) simbolica.
È questa situazione che potrebbe far scattare campanelli d’allarme anche su quanto successo la notte tra il 24 e il 25 aprile a Centocelle bastione rosso di Roma Est, da un po’ sotto le attenzioni degli squadristi, assumendo connotati inquietanti.
La libreria caffetteria La Pecora Elettrica è stata devastata da un incendio che ha divorato la gran parte dei libri e delle attrezzature; un incendio che chiaramente non è frutto di un corto circuito casuale. Non è stata una rapina o banale vandalismo, né l’atto probabilmente di un esaltato qualsiasi; anche se non è chiara la matrice sarebbe ipotizzabile un attacco premeditato e portato a termine con efficacia ad uno spazio che va oltre l’essere una semplice attività commerciale.
Chi gestisce La Pecora Elettrica è, infatti, un gruppo di ragazzi ben conosciuti in zona in quanto persone che hanno saputo fare del loro luogo di lavoro un punto d’incontro importante per la diffusione e la produzione culturale indipendente e spesso antagonista, dove l’intreccio di relazioni umane non è ancora alienato come in quegli avamposti della movida tinteggiati di grunge che affollano le borgate storiche. Ragazzi che hanno saputo tessere relazioni profonde con il quartiere ed essere uno dei rari, fortunati, casi in cui il sapere prodotto nel mondo militante è riuscito ad incrociare universi altri e differenti.
Questo è quello che La Pecora Elettrica rappresenta nel suo territorio ed il fatto che sia stata colpita dal fuoco, come statue e lapidi e corone, nella notte del 25 aprile, rende più buio e dubbio quanto accaduto.
Non ci sono svastiche sui muri o sulle sue serrande, né c’è stata rivendicazione alcuna e probabilmente è affrettato giungere a conclusioni definitive senza altri elementi certi ma, come si dice, se a pensar male si fa peccato, spesso ci si azzecca.
Ad ogni modo fuori dalle serrande divelte, già dal giorno della liberazione, si è creato un viavai di gente, di solidarietà e di supporto, qualcosa che è necessario ma non così scontato. Sono tanti e tante che si sono affacciati per farsi vedere vicini alla Pecora Elettrica, per dare il proprio contributo.
Una rete spontanea si è già attivata per mettere su una campagna di raccolta fondi e di iniziative solidali; Centocelle si è stretta attorno ai suoi figli, si difende e non cede all’intimidazione, ha tirato fuori la parte migliore di sé e mostrato che, a dispetto di quanto si dica, è ancora terra dal cuore grande e dalle mani forti.
Conscia del fatto che ormai, sia a livello locale che nazionale, malavita organizzata, mafie, formazioni di estrema destra che si spacciano per populiste, razzismo, mala politica e forze politiche istituzionali condividono interessi ed obiettivi talmente intrecciati tra di loro da impedirne qualsiasi significativa differenziazione all’interno dei diversi ruoli e delle differenti attività svolte. Tutte concorrono a impedire qualsiasi forma di riorganizzazione dei movimenti dal basso e a svolgere un ruolo di controrivoluzione preventiva nei confronti dello scontento delle classi meno abbienti, così come aveva già intuito nel 1921 Luigi Fabbri a proposito dell’allora nascente fascismo mussoliniano.
Così ancora oggi, dopo un secolo dalla prima guerra civile del 1919-1922 e a settant’anni dalla seconda che vide il fascismo cadere soltanto per continuare a vivere nelle strutture repressive autoritarie del “nuovo” Stato repubblicano, la funzione strumentale delle bande fasciste è rimasta la stessa.
Aggravata però dal fatto che coloro che si sforzano di sventolare la bandiera antifascista in chiave puramente elettorale altro non fanno che indebolire una reale e ferma opposizione all’azione combinata delle mafie politiche e finanziarie e del loro secondo braccio armato, essendo il primo costituito dagli apparati militari e repressivi dello Stato stesso.
Capitale e fascismo sono una cosa sola e se è possibile, in certi periodi, vederli come entità distinte lo è soltanto in grazia delle lotte e degli apparati organizzativi che la classe degli sfruttati sa darsi ed animare, mentre oggi è inevitabile cogliere come tra le scorrerie delle bande fasciste, l’affermarsi di un risorgente nazionalismo aggressivo e gli interessi di una classe imprenditoriale e politica ormai giunta nell’era del suo tramonto storico vi sia più di un punto di comune interesse.
Difendere la Patria, sventolare le bandiere della Famiglia e della Razza, esaltare l’imprenditorialità e la proprietà privata e il lavoro come elementi non conflittuali tra di loro ma uniti dall’azione comune dello Stato e dei sindacati confederali all’interno di un sempre risorgente Patto del Lavoro, costituiscono ideali rozzi e ormai superati dallo svolgersi della Storia che, come nell’immagine suggerita a suo tempo da Engels, avanza col suo carro, portatore di morte e distruzione, senza curarsi dei cadaveri che lascia per strada.
Oggi i cadaveri sono quelli dei confini degli stati nazionali, delle costituzioni di carta sorte tutte indifferentemente secondo vari gradi di compromesso, dell’unità delle classi all’ombra dell’idea di Nazione, della Famiglia autoritaria e patriarcale che ha fondato fin dalle origini la proprietà privata dei mezzi di produzione e la loro trasmissione ereditaria, della Religione rivelata, in tutte le sue diverse e omicide declinazioni, e dei Partiti politici destinati a rappresentare in maniere univoca la volontà, infinitamente varia, espressa dalla specie e dalla comunità umana.
Eppure, eppure…
Come in un antico rito dei monaci tibetani, tutte le realtà politiche e mediatiche, istituzionali e anche non, si forzano di insufflare ancora l’aria della vita in polmoni ormai imputriditi e rinsecchiti, pur di tenere in vita il mostro capitalista. Perché oggi come ieri il ritornante fascismo non è altro che l’estrema ratio di un modo di produzione già sconfitto in tutte le sue promesse e manifestazioni.
Per tutti questi motivi qualsiasi appello all’antifascismo che non rammenti tutto ciò non può che risultare un ostacolo, se non un’autentica trappola (come già lo fu negli anni Settanta), sul cammino dei movimenti che hanno come scopo quello di liberare la specie dalla schiavitù salariale, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sull’ambiente e sui generi diversi da quello esclusivamente maschile.
La liberazione e la costruzione di una reale e nuova comunità umana può fare a meno di appelli fasulli e generici all’antifascismo istituzionale, a presunti e mai meglio definiti diritti universali derivati dal liberalismo borghese e può fare anche a meno del piagnisteo e del vittimismo di matrice cattolica. Piagnistei, invocazione di diritti e all’unità democratica che preferiscono, comunque e sempre, rimuover l’azione vera del Fascismo armato (si pensi soltanto alla scarsa o nulla pubblicità data dai media mainstream all’attentato alla Pecora elettrica e all’attenzione rivolta invece da un Tg regionale alla commemorazione mussoliniana di Predappio) per non dover poi fare i conti con la possibile reazione niente affatto pacifica di chi ne potrebbe trarre più efficaci e convinte conclusioni, destinate a realizzare un radicale smaltimento dei rifiuti tossici (orpelli ideologici, pratiche intimidatorie e repressive, inquinamento politico-economico ed ambientale basato sulla mercificazione di ogni attività umana) che ancora ci soffocano.
Appelli generici e retorici all’antifascismo proposti da chi, poi, preferisce l’alleanza con lo stesso piuttosto che con i movimenti; proprio come è avvenuto significativamente per il PD in occasione della terza, ridicola e insignificante marcia SìTav del 6 aprile a Torino, durante la quale la sinistra “liberale” non ha esitato a farsi affiancare da Fratelli d’Italia, così come nelle precedenti dalla Lega di Salvini o dall’ormai morente Forza Italia. Oppure nella giornata del Primo Maggio di ieri, ancora una volta a Torino, durante la quale una sparuta minoranza dello stesso partito ha sfilato con Forza Italia e Fratelli d’Italia facendosi scortare dai reparti antisommossa della polizia di Stato che hanno ripetutamente caricato a freddo la nutrita rappresentanza NoTav scesa in piazza per l’occasione.
Liberazione della specie dal modo di produzione capitalistico, lotta contro la devastazione ambientale e climatica e battaglia antifascista sono oggi la stessa cosa e occorre non dimenticarlo mai, pena il cadere ancora una volta nelle trappole di chi vorrebbe farle ancora sopravvivere.
Fascism, wherever it appears, it is the enemy. (A Talk With Philip K. Dick, 1977)
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Il 30 maggio si sarebbe dovuta tenere presso la libreria di Centocelle la presentazione del libro La guerra che viene. Probabilmente l’evento si terrà ancora, ma non sarebbe una cattiva idea che altri saggisti e scrittori militanti aderissero all’iniziativa per parlare del proprio lavoro e allo stesso tempo dare il proprio contributo personale alla battaglia antifascista che occorre oggi condurre anche a partire dalla reazione ad episodi come questo.
La redazione di Carmilla on line e gli organizzatori di Una Montagna di libri contro il TAV e le grandi opere inutili si dichiarano a fianco dei compagni di Centocelle e della Pecora elettrica nella loro battaglia sia antifascista che per far risorgere più forte di prima la libreria come luogo di incontro e di proposta culturale di opposizione.
Tutti coloro che, infine, volessero dare il loro contributo solidale alla rinascita della libreria potranno farlo qui.