di Luca Cangianti
Barbara Bonomi Romagnoli, Marina Turi, Non voglio scendere! Femminismi a zonzo, Golena, 2019, pp. 86.
La presa di coscienza è un viaggio lungo. Può prendere una vita intera, non è detto che conduca a destinazione e qualora anche raggiunga il porto agognato, presto ci spingerà nuovamente a largo. Data questa premessa è quindi salutare che tali epiche navigazioni siano affiancate da passeggiate decisamente più giocose. Non voglio scendere! di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi è un agile pamphlet che svolge questa funzione in ambito femminista: la copertina raffigura il sistema riproduttivo femminile come fosse la piantina di una metropolitana e i capitoli sono sei linee che raggruppano le fermate salienti della prassi femminista contemporanea.
Le autrici alternano vari registri letterari, passando dalla piana scrittura giornalistica allo humor tagliente, dalla poeticità trasognata alla testimonianza lancinante che ci fa vivere il femminicidio in prima persona. In questo modo Bonomi Romagnoli e Turi bighellonano tra i temi del dibattito contemporaneo: desiderio, potere, intersezionalità, patriarcato, stigma, sesso, lavoro riproduttivo, sono alcuni di questi.
La tactical frivolity applicata a un contesto teorico consente alle argomentazioni di non essere mai escludenti, anche quando la presa di posizione è netta e scevra da fronzoli diplomatici. È il caso di quando le autrici si schierano contro quelle correnti di femminismo che dividono le donne perbene da quelle permale, coloro che ad esempio negano soggettività alle sex worker oppure si rinchiudono nell’autorefenzialità di un gergo accademico estraneo alla maggior parte della popolazione femminile. Le autrici (retoricamente) si chiedono poi se le rivendicazioni del movimento gay, lesbico e transessuale siano sulla via giusta quando inseguono il classico modello matrimoniale eteropatriarcale «anziché smantellare del tutto l’istituzione famiglia per come la conosciamo, con tutto il suo carico d’ipocrisie, violenze, coercizioni, ripensando un modello comunitario completamente nuovo».
Il femminismo che emerge dalle pagine di Non voglio scendere! non si fa schiacciare sugli stereotipi e rimanda in tutta la sua irriverenza al movimento di Non una di meno: «il protagonismo femminista radicale non vuole una guerra fra maschi e femmine, neanche misere vendette, ma pretende una società capace di superare il sessismo, il razzismo, le disuguaglianze di classe, lo sfruttamento dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi umani e non, eliminare ogni forma di autoritarismo e di discriminazione.» Si tratta di un pensiero e di una prassi che partendo dalla critica della violenza maschile sulle donne mette in discussione il capitalismo quale sistema che «ingloba il lavoro femminile e le capacità di cura attribuite alle donne, come surrogato di un welfare in via di smantellamento. È un sistema sessista che sviluppa razzismo e classismo, che confina nella precarietà, sublima la famiglia come unica opportunità di sostegno, vincolando possibilità di indipendenza e di scelta.»
Insieme ai movimenti di resistenza allo sfruttamento del territorio e alle lotte sindacali nel settore della logistica, il nuovo femminismo che continua a riempire le piazze è, nel nostro paese, uno dei pochi fenomeni di opposizione capace di creare società. Chi non accetta l’odierna vita misera e si è messo in viaggio per un riscatto a venire, è bene che investa le sue energie anche per esplorare le tappe metropolitane enumerate in Non voglio scendere! Sono descritte con leggiadria, ma non sono un’escursione domenicale. Anzi, grattando il velo d’ironia potremmo scoprire che questo pamphlet ci parla di una vera e propria rivoluzione. Forse l’unica capace di non tradire.