di Luca Cangianti
Quando baciamo con passione ci capita di chiudere gli occhi, ma nel riaprirli potremmo anche scorgere un altro mondo governato da leggi diverse, o da nessuna legge. Un mondo che potrebbe essere perfino una società comunista.
Nel midpoint, il punto centrale di una storia, l’eroe si rende conto di amare la persona che fino a quel momento aveva ignorato, oppure, testimone dell’ennesima ingiustizia, realizza che la sua coscienza non avrà pace se non si unirà ai ribelli in lotta contro un potere tirannico. La tensione drammaturgica subisce in questo modo una rottura. Dopo che l’elastico della trama si è teso fino al limite, si verifica un’illuminazione, un collasso gnoseologico: l’eroe riesce a vedere ciò che prima gli era invisibile, aderisce al punto di vista tematico della narrazione (ad esempio, banalmente: «l’amore è un’avventura» oppure «nessuno si libera da solo») e diventa l’opposto di ciò che è stato fino a quell’istante.
Questa struttura narratologica ha il suo corrispettivo epistemologico nella descrizione che Thomas Kuhn fa della scoperta scientifica. Entrambe valorizzano il concetto di esperienza pratica e in questo modo si connettono con l’archetipo del viaggio dell’eroe. Chi vuole agire collettivamente è spinto a chiedersi quale itinerario conoscitivo ed esperienziale debba percorrere il soggetto per diventar tale. A costui e a costei può esser utile sapere che le strutture della narrazione, della conoscenza e dell’azione sono strettamente connesse. Vediamo come.
La pluralità dei mondi. Il bacio che consente all’eroe di accedere al mondo nuovo è un’esperienza analoga all’operato dello scienziato rivoluzionario. Questo, spesso un immigrato da altri settori disciplinari o un giovane ricercatore insufficientemente socializzato al paradigma dominante, guarda nello stesso punto dei suoi predecessori e vede cose nuove e diverse. Come nelle immagini gestaltiche, prima si scorge un coniglio, poi un’anatra. Kuhn afferma che nella chimica del XVIII secolo, Lavoisier «Vide l’ossigeno là dove Priestley aveva visto l’aria deflogistizzata e dove altri osservatori non avevano visto assolutamente nulla.»1 Il filosofo della scienza statunitense sostenne così che «quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi… È quasi come se la comunità degli specialisti fosse stata improvvisamente trasportata su un altro pianeta dove gli oggetti familiari fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati ad oggetti insoliti.»2
Si tratta di uno scenario che ricorda il Sottosopra della serie Netflix Stranger Things. Non a caso, nel corso di un lungo dibattito, che dagli anni sessanta è arrivato fino al nuovo millennio, Kuhn fu accusato d’irrazionalismo da parte dei colleghi sostenitori della Standard view positivista. Secondo questi, per semplificare, un fatto è un fatto, la realtà è una sola e il soggetto non può che darsi da fare per conoscerla così come essa oggettivamente è, indipendentemente da questo. A detta di questi filosofi e scienziati, il mutamento scientifico concepito da Kuhn impediva il confronto razionale tra due teorie antagoniste al fine di decidere quale fosse la migliore: i paradigmi prima e dopo una rivoluzione scientifica risultavano incommensurabili. Insomma, si vedevano conigli o anatre senza poter decidere concordemente chi avesse ragione; ci si trovava nel mondo dell’Indiana degli anni ottanta o in quello del Sottosopra senza poter connettere razionalmente le due esperienze percettive.
Kuhn tuttavia aveva avvertito che le rivoluzioni scientifiche non cambiano solo il modo di vedere. La scienza è in larga parte un’attività pratica: gli «scienziati con paradigmi differenti si interessano di differenti manipolazioni concrete di laboratorio» che gli «procurano… elementi conoscitivi concreti… tali operazioni di laboratorio mutano con il mutamento di paradigmi. Dopo una rivoluzione scientifica, molte vecchie misurazioni e manipolazioni non sono più ritenute appropriate e sono sostituite da altre.»3 L’apparente e irrazionale pluralità dei mondi è così ricondotta alla pluralità delle azioni e delle pratiche all’interno dei differenti contesti sociali. In questo modo il realismo (secondo il quale la nostra conoscenza riguarda qualcosa di extra-soggettivo) si fonde con un costruttivismo (secondo il quale il soggetto costruisce o contribuisce a strutturare la realtà) che integra costrutti sociali, oggetti materiali e tecnologie.
Tornando all’immagine narratologica iniziale, possiamo affermare quindi che non è il solo contatto con le labbra della persona amata a catapultarci misticamente in un altro mondo, così come non è la mera illuminazione dello scienziato rivoluzionario a spiegare la scoperta scientifica. L’eroe viene investito dalla luce del nuovo mondo perché non riesce più a perseverare nel fatal flaw, cioè nell’«ostinato attaccamento a vecchi e consunti sistemi di sopravvivenza che hanno esaurito la loro utilità e la resistenza nei confronti dell’energia rinnovatrice…»4. L’accumularsi dei fallimenti ha inoltre fatto emergere alla sua attenzione un’alternativa esistenziale, che pur presente in precedenza, aveva trascurato. Similmente, nello schema kuhniano, la comunità scientifica difende tenacemente il paradigma dominante in crisi, mentre le anomalie si accumulano fino a quando la loro rimozione diventa estremamente problematica e permette l’emersione di un nuovo paradigma candidato all’egemonia. Quel bacio nel midpoint, quel sussulto di dignità a fronte dell’ennesima ingiustizia, rappresentano la goccia che fa traboccare il vaso ricolmo dell’esperienza fallimentare passata.
La metafora del viaggio. Sottesa a questa impostazione c’è una concezione della conoscenza come esperienza, superamento dei fallimenti, viaggio interplanetario, attraversamento di Stargate (per riferirci all’omonimo film di Roland Emmerich). Del resto la parola tedesca Erfahrung (esperienza) incorpora il verbo fahren (andare, viaggiare), mentre erfahren significa apprendere. Conoscere è quindi viaggiare, visitare nuovi mondi, fare esperienze pratiche, agire, far cozzare contro questo mondo la nostra soggettività, potenziandone così la forza.
Il tema del viaggio, rileva Pino Menzio, ricorre non a caso in molti sistemi filosofici come «schema interpretativo dell’esistenza umana in senso ontologico, psicologico ed antropologico».5 Kant usa questa metafora in senso teoretico: nella prima edizione della Critica della ragion pura, «l’indagine “dialettica”, avviluppata nei paralogismi e nelle antinomie della ragione, viene presentata come un temerario affidarsi ai flutti di un oceano senza rive; il procedere entro i limiti della conoscenza possibile, viceversa, è una sorta di navigazione mediterranea, condotta prudentemente lungo le coste continue dell’esperienza.»6 Anche Hegel impiega l’immagine della navigazione marina come espressione figurata del proprio modo di procedere teorico con particolare riferimento alla Fenomenologia dove lo sviluppo dello Spirito è concepito come un viaggio della coscienza.7
Il ruolo della metafora nelle teorie non si limita a una funzione meramente retorica, utile a render chiara o convincente un’argomentazione specifica. Secondo l’impostazione della Standard view positivista la scienza è costituita da osservazioni ed esperimenti sulle cui basi si elevano le teorie. Secondo Kuhn invece la conoscenza scientifica procede generando strutture che modellano e indirizzano la stessa osservazione. Tali costrutti incorporano concetti desunti dal linguaggio corrente, dall’esperienza pratica, dall’arte e dalla tecnologia. Spesso si tratta proprio di metafore e analogie che si comportano come modelli esplicativi: la rappresentazione di un circuito elettrico a mo’ di sistema idrodinamico; le molecole di un gas come palle da biliardo in movimento casuale; il rapporto tra il mondo economico e delle rappresentazioni ideologiche come relazione architettonica tra struttura e sovrastruttura; la legge del valore e del plusvalore come vampirismo.8 Grazie a tali dispositivi orientiamo le nostre future ricerche, stabiliamo correlazioni e azzardiamo previsioni. Le metafore costituiscono una delle porte attraverso le quali l’esperienza pratica fa ingresso nella costruzione teorica.
L’archetipo del viaggio dell’eroe. Per inseguire le radici del nesso tra conoscenza e viaggio ancora più in profondità dobbiamo prendere in considerazione la teoria del monomito avanzata da Joseph Campbell. Attraverso un’analisi comparativa sterminata, questo autore sostiene che in tutte le culture umane è presente il seguente mito: «L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale (x); qui incontra forze favolose e riporta una decisiva vittoria (y); l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini (z).»9
Tale struttura rappresenterebbe un archetipo radicato nell’inconscio collettivo e individuale umano dando sostegno all’affermazione junghiana secondo la quale la mitologia è il «sogno collettivo, sintomatico delle aspirazioni archetipe nelle profondità della psiche umana».10 Secondo Carl Gustav Jung, gli archetipi sono una sorta di controparte psichica degli istinti, sono strutture potenziali nascoste, articolate a seconda degli individui e delle culture di riferimento, che si attivano in congiunzione con determinate interazioni con il mondo esterno. Nell’ambito delle teorie evoluzioniste, una corrente dell’etologia ha dato fondamento maggiormente empirico alle entità teoriche degli archetipi e dell’inconscio collettivo. Secondo Anthony Stevens, ad esempio, l’evoluzione riguarda anche le modalità secondo le quali si strutturano le passioni e le immaginazioni: la nostra dotazione archetipica ci predispone ad affrontare la vita della nostra specie nell’ambiente in cui si è evoluta. In questo senso il vuoto, il buio, la presenza di estranei, un rumore improvviso o sospetto ci attivano reazioni di paura, difesa o fuga. Da questo punto di vista quindi gli stessi archetipi potrebbero avere un fondamento operativo di origine evoluzionistica11 e l’archetipo studiato da Campbell altro non sarebbe che una modellizzazione dell’agire umano evoluzionisticamente selezionato.
Narrare, conoscere, agire. Tiriamo le fila di queste considerazioni arditamente interdisciplinari. Il bacio dell’eroe e la scoperta scientifica dello scienziato rivoluzionario consentono l’accesso a nuovi mondi senza sfociare nella mistica perché entrambi si fondano sull’esperienza del soggetto in lotta con il fatal flaw (narratologia) o con le anomalie di un paradigma scientifico in crisi (epistemologia). La prassi a sua volta è modellata dall’archetipo del viaggio dell’eroe quale struttura evoluzionisticamente fondata. Narrare, conoscere e agire hanno la stessa forma. È questa la ragione che permette a chi vuole analizzare i processi di costituzione di un soggetto sociale antagonista di mescolare narratologia, epistemologia e critica dell’economia politica.12 Il viaggio dell’eroe in quanto archetipo dell’agency è un grimaldello teorico utile a studiare e far avanzare i processi necessari ad allineare i simboli dello Stargate. Quando ciò avviene il soggetto intravede un nuovo panorama oltre la porta stellare, anche se in direzione invertita rispetto alla narrazione del film. Poggiando ancora i piedi sul mondo dello sfruttamento scorge la possibilità di un futuro di liberazione. È una breccia che si apre ciclicamente nella storia: 1789, 1848, 1871, 1917, 1919, 1959, 1968, 1974, 1979, 1994, 2014. Si tratta di una selezione parziale e discutibile di date che tuttavia esemplifica una serie di momenti macroscopici di rottura politica e coscienziale occorsi a Parigi, Pietrogrado, Berlino, Avana, Praga, Lisbona, Managua, in Chiapas e nel Rojava. Si tratta di un’esperienza drammatica e appassionante, come un bacio che, senza esserne coscienti, desideriamo nel corso di tutta la vita. Quando riapriamo gli occhi i conigli si sono trasformati in anatre e hanno spiccato il volo.
[Nelle fotografie: Fuerteventura (Canarie, Spagna), Tilos (Dodecaneso, Grecia), Lisbona (Portogallo)]
Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1978, p. 147. ↩
Ivi, p. 139. ↩
Ivi, pp. 156 e 159. ↩
Dara Marks, L’arco di trasformazione del personaggio, Audino, 2007, p. 85. ↩
Pino Menzio, Il viaggio dei filosofi. La metafora del viaggio nella letteratura filosofica moderna, CIRVI, 1994, p. 108. ↩
Ivi, p. 25. ↩
Ivi, pp. 34 e 38. ↩
Cfr. Luca Cangianti, «FantaMarx. Critica dell’economia immaginaria», in Aavv, Immaginari alterati, Mimesis, 2018, pp. 84-90. ↩
Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Lindau, 2012, p. 41. ↩
Ivi, p. 443. ↩
Cfr. Anthony Stevens, «L’inconscio e l’archetipo del nemico» in Grazia Attili, Francesca Farabollini, Patrizia Messeri, Il nemico ha la coda, Giunti, 1996. ↩